La concezione della monarchia in Dante

6.6 Dante, col suo trattato sulla “Monarchia”, ha voluto rivitalizzare questa forma di governo, l’unica capace di garantire la pace (necessaria per tutte le altre attività) perché fondata saldamente su un corpus di leggi.

6.7 Il potere imperiale non deve imporre, ma deve coordinare le altre istituzioni inferiori, con le quali condivide il fine fondamentale, cioè la pace, all’interno della quale si devono sviluppare tutte le diversità di fini che giustificano le altre autorità e che possono esserci solo a patto che esista e sia garantita la pace. Essa, in realtà, non è il fine della società, ma la sua premessa, poiché senza di essa non sono possibili né attività commerciali né intellettuali.

6.9 Come la pace, fondamentale è la libertà poiché permette all’uomo di essere felice, in cielo come in terra, e per questo essa è il dono più grande che Dio abbia fatto all’uomo. Essa non è garantita dalla benevolenza del monarca, ma dalle leggi: per questo, è primario lo studio del diritto, che per Dante rivela la storia di una civiltà in tutte le sue manifestazioni e, nel caso del diritto romano, rivela la sapienza del cammino della libertà nella sua progressiva affermazione.

6.10 Il diritto deve garantire i rapporti interni ma anche quelli internazionali: questo diventa difficile, quando si superano i confini del proprio Stato, e per questo si rivela la necessità di un Impero universale per riportare le relazioni all’interno dell’ambito della legalità e della pace.

6.11 Il potere imperiale deve essere laico: questa separazione fra religione e politica deriva dalla personale convinzione di Dante per cui teologia e filosofia hanno campi d’indagine diversi, e dunque godono di reciproca autonomia. Pertanto, il raggio d’azione della politica deve essere strettamente umano e, quindi, pratico, segnato dalla duttile capacità dell’agire fondamentale per trattare delle cose umane.