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Politiche genocidiarie nella russia sovietica


Con Lenin, il concetto di terrore di massa diventa fondamentale. I dirigenti bolscevichi concepiscono questo terrore come una violenza eliminatoria a cui il proletariato ricorre sotto il controllo e la direzione del partito ma esso ha anche uno scopo rigeneratore al pari del periodo di terrore della rivoluzione francese. Nel 1918 c’è il decreto sul terrore rosso che sosteneva di voler proteggere la repubblica sovietica dai suoi nemici di classe isolandoli in campi di concentramento. Questo decreto fu promulgato il giorno dopo che Petrovskij (commissario del popolo per l’interno) aveva impartito a tutti i soviet l’ordine di ricorrere a esecuzioni di massa e al sequestro di ufficiali e borghesi. Così, interi gruppi giudicati membri di una classe nemica o estranea alla società sono resi responsabili dei disordini e del malfunzionamento dello stato. Benché il desiderio di riscatto sociale sia all’origine della richiesta di ricorrere all’omicidio da parte di molti cechisti di base, non sono rari i riferimenti a una rigenerazione e a un impresa demiurgica. La morte fisica del borghese è l’atto finale del processo di annientamento minuzioso di un gruppo che è colpito perché considerato dannoso. Espropri di beni,  imposizione di alti tributi, soprusi e umiliazioni di ogni genere, stupri su vasta scala, internamento nei campi e esecuzioni di massa. I rifugiati sono schedati e devono rispondere a domande sulla loro appartenenza sociale e suddivisi in 3 categorie: fucilare e impiccare, richiudere nei campi o risparmiare. I cosacchi, emblema dei nemici di classe, vedono annientata la loro identità in seguito a un’operazione pianificata dai massimi vertici dello stato. Vengono privati del loro status giuridico, le loro terre sono confiscate e le assemblee sciolte, sono costretti a consegnare le armi e viene adottata una politica del terrore nei confronti dei ricchi che dovranno essere sterminati e liquidati fisicamente sino all’ultimo.
Il terrore di massa del 1918 è specifico e volontaristico e non universalmente condiviso.
Il terrore di massa è una politica di igiene sociale che viene accelerata ma non provocata dalle circostanze della guerra civile russa.
Come tutte le operazioni genocidi arie, l’ultimo nodo da sciogliere è quello della inibizione dell’aggressore nel commettere inaudite violenze di massa contro vittime mirate e indifese. Lenin dice che bisogna a epurare e pulire la terra russa dagli insetti nocivi che la infettano. Per coloro che saranno risparmiati e giudicati degni di una rieducazione, Lenin raccomanda di munirli all’uscita di prigione di una tessera gialla in modo che tutto il popolo possa sorvegliare queste persone dannose sino a quando non si saranno emendate. Lo sterminio dei borghesi, dei cosacchi e dei contadini ricchi è il prezzo da pagare per accedere sia al paradiso comunista, sia a quella pace eterna di un mondo senza classi né stati. La violenza è la lavatrice della rivoluzione. Poiché il popolo era il proletariato, tutti gli altri gruppi sociali rappresentavano il nemico del popolo. Il potere staliniano mette sullo stesso piano rivali politici, classi condannate e potenze straniere capitalistiche. Il terrore di massa leninista ha aperto la strada a quella politica di pulizia sociale che Stalin intraprende nel corso di questa seconda rivoluzione. Nel 1929 egli lancia la collettivizzazione delle terre e dà il via al processo di annientamento di tutti gli elementi socialmente ed etnicamente dannosi.

Tratto da IL SECOLO DEI GENOCIDI di Filippo Amelotti
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