Linguaggio e società
A. La natura sociale del linguaggio
Che cos’è il linguaggio? Il linguaggio è il più importante sistema di comunicazione umana, la principale forma di mediazione simbolica attraverso cui si costruisce e si trasmette il significato. Il linguaggio è uno strumento con cui costruiamo e legittimiamo la realtà che ci circonda; costituisce anche la prima fonte di socializzazione. Esso, da un punto di vista strettamente linguistico è un sistema di suoni e simboli, analizzato entro 4 sfere tradizionali: la FONETICA (suoni), la SINTASSI (frasi), la SEMANTICA (studio del significato) e la PRAGMATICA (studio del modo in cui il linguaggio viene usato dai parlanti).
Saussure sottolinea come il linguaggio sia una rappresentazione collettiva e come esso vada distinto in langue e parole -> langue (lingua): insieme di abitudini linguistiche che ci permettono di comprendere e di farci comprendere (regole linguistiche), si tratta di un prodotto sociale, collettivo e indipendente; parole (l'eloquio) -> realizzazione concreta e pratica della lingua.
Lo sviluppo del linguaggio. Nell’introdurre il modello di società a cui si riferiscono implicitamente alcuni studiosi del linguaggio, il sociolinguista Hudson delinea un mondo immaginario -> questo mondo è delimitato da confini non ben definiti e invalicabili; in questo mondo fittizio tutti i membri della comunità parlano la stessa lingua, senza differenze; tra queste persone il contesto non ha alcuna influenza su ciò che esse dicono. Non può esistere una società del genere -> ma questo è il modello su cui fanno riferimento gli studiosi del linguaggio che dedicano l’attenzione alla lingua che una comunità parla, senza facendo riferimento alla società in cui è inserita.
Chomsky usa questo approccio: afferma che possedere un linguaggio significa possedere un sistema di regole che generano una lista di coppie suono-significato. Tale lista di regole costituisce la competenza linguistica, ovvero la conoscenza delle regole sintattiche, diversa dall’esecuzione (performance) che costituisce l'uso effettivo della lingua. La competenza linguistica comprende la conoscenza delle regole sintattiche, tra cui le regole di riscrittura, che generano la struttura profonda (universale) sottostante a ogni frase, e le regole di trasformazione, che trasformano appunto tale struttura profonda in struttura superficiale. È infatti per questo procedimento che la grammatica di Chomsky viene chiamata “generativo-trasformazionale”. La teoria di Chomsky però dà poca importanza al significato della comunicazione e al contesto.
Non tutti gli approcci psicologici al linguaggio tralasciano in maniera così netta lo studio del contesto in cui si dà il linguaggio, cioè nel momento in cui il bambino sviluppa oltre alle competenze linguistiche anche quelle cognitive. Infatti due psicologi sociali quali Bruner e Vygotskij attribuiscono al contesto sociale un'importanza centrale nello sviluppo linguistico e cognitivo del bambino.
Bruner: tutti i processi mentali, incluso il linguaggio, hanno un fondamento sociale, sono influenzati dalla cultura e si realizzano attraverso le relazioni sociali.
Vygotskij: il linguaggio ha una funzione sociale e tramite la comunicazione, stabilisce nuove connessioni cerebrali e organizza qualitativamente le categorie del pensiero.
Secondo Goffman lo studio dell'apprendimento del linguaggio nel bambino è fondamentale: il linguaggio potrebbe essere all'origine della socializzazione del bambino e all'acquisizione di un “self”.
Tesi della relatività linguistica (Whorf): il linguaggio determina forme e modi di pensiero, motivazioni e modelli cultuali, e quindi, le strutture sociali. La relatività linguistica sostiene la diversità e l'arbitrarietà delle lingue; che ogni lingua è un sistema di riferimento per il pensiero e il comportamento e che i sistemi di riferimento sono diversi e arbitrari.
La nascita e lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione costituiscono un processo eminentemente sociale.
In conclusione, da una parte, il linguaggio costituisce sia il contenuto sia lo strumento più importante della socializzazione e, dall'altra, che la natura stessa del linguaggio è profondamente radicata nel proprio contesto sociale e interazionale.
B. Il linguaggio come interazione sociale
Linguaggio come azione sociale. Per comprendere il significato di quanto espresso dal linguaggio è necessario conoscere le regole del gioco entro il quale il linguaggio stesso viene usato; e dal momento che le regole del gioco sono stabilite socialmente, ne deriva che l’analisi del linguaggio costituisce uno strumento per la comprensione dell’azione sociale.
L’unità tra linguaggio e azione è il presupposto fondamentale della teoria degli atti linguistici di Searle e Austin secondo cui enunciare una frase significa anche compiere un'azione• vengono distinti tre atti linguistici:
- Atto locutorio: azione che si compie nel parlare stesso, nonché la capacità del linguaggio di descrivere cose;
- Atto illocutorio: es. ordinare, promettere, consigliare…
- Atto perlocutorio: produzione di conseguenze sulla situazione, si tratta di un fenomeno extralinguistico (es. allarmare, convincere, ecc..).
Gli atti linguistici mettono in risalto l’importanza della conoscenza delle regole sociali che sottostanno all’esecuzione di atti comunicativi.
Goffman: il fare è dire / Austin: il dire è fare.
C. Il linguaggio tra negoziazione e conflitto
L'origine sociale del linguaggio è solo un aspetto della relazione tra linguaggio e società: la realtà, creata socialmente, si fonda su una base linguistica che è data per scontata e negoziata, nei balletti rituali dell'interazione quotidiana. Per Goffman il linguaggio è importante come azione, per Garfinkel invece è importante il rapporto tra il senso di ciò che si comunica e il contesto, la situazione in cui avviene l'uso del linguaggio. Per l'etnometodologia il linguaggio riveste un'importanza centrale perchè è alla base della riflessività dei metodi con i quali riusciamo a rendere intellegibile la realtà. La riflessività è una pratica quotidiana e linguistica: questo significa che l'uso quotidiano del linguaggio rappresenta sia una descrizione delle scene di interazione sociale sia un elemento di queste stesse scene che esso rende ordinate. D'altra parte, il linguaggio è alla base dell'ulteriore caratteristica della conoscenza di senso comune studiata dall'etometodologia, l'indicalità. Essa consiste nel dare per scontato che le persone. In ogni situazione, conoscano il contesto necessario per la comprensione di una qualsiasi cosa particolare. È proprio nel linguaggio che l'indicalità si rende più evidente, manifestandosi soprattutto ei discorsi e nelle conversazioni.
Gli studi dei conversazionisti si focalizzano sugli aspetti negoziali della conversazione, come il meccanismo della presa dei turni e i meccanismi di entrata e uscita da una conversazione. In questo senso, l'analisi delle conversazioni si lega a quello che è lo scopo principale dell'etnometodologia, e cioè capire come gli individui rendono intellegibile il mondo sociale.
L'aspetto negoziale del linguaggio va integrato a un spetto complementare: la dimensione del conflitto. Per considerare il linguaggio in questo suo aspetto è utile rifarsi all' “ecologia sociale” del linguaggio proposta da Goffman, e cioè a una prospettiva che veda il linguaggio come parte di una cornice (frame) interazionale più ampia. Il linguaggio è incassato nel rituale, e noi interagiamo mediante esso mostrando agli altri il nostro self. La dimensione conflittuale entra in gioco nel momento in cui la “definizione di situazione” diviene fondamentale per sostenere il nostro self nell'interazione con gli altri; si tratta di una sospensione delle ostilità, dove i rituali della conversazione, permettono di instaurare (e mantenere) l'interazione sociale. Il linguaggio è conflittuale anche al livello stesso della sua produzione, prima ancora che al livello della partecipazione intersoggettiva.
Goffman -> formato di produzione -> parlante -> distinzione fra animatore, autore e mandante
Goffman -> schema di partecipazione -> ricevente -> scomposto in ascoltatori ratificati e non ratificati -> possono essere astanti (presenti alla conversazione pur senza farne parte) e origlianti (spie/ficcanaso).
D. Linguaggio e contesto sociale
Linguaggio e potere.
Hymes: concetto di “competenza comunicativa” che si riferisce alla “competenza riguardo a quando parlare e quando tacere, e riguardo a che cosa dire,a chi, quando, dove, in quale modo”. Competenza che ogni bambino acquisisce interiorizzando “la conoscenza delle frasi non soltanto in quanto grammaticali ma anche in quanto appropriate”. Competenza su tutto il balletto rituale della comunicazione, nei suoi vari aspetti strategici, conflittuali, negoziali, emozionali, corporei e gestuali.
La competenza comunicativa può essere vista come risorsa, come un capitale linguistico che i parlanti investono nei giochi contrattuali della vita sociale. Secondo Pierre Bordieu (sociologo francese), il mercato linguistico consisterebbe in un certo numero di leggi di formazione dei prezzi dei prodotti linguistici. Egli afferma che se è legittimo considerare i rapporti sociali come interazioni simboliche, come rapporti di comunicazione che implicano la conoscenza e il riconoscimento, non si deve però dimenticare che i rapporti di comunicazione per eccellenza, quali sono gli scambi linguistici, sono anche rapporti di potere simbolico. Parole e discorsi sono anche segni di ricchezza destinati ad essere valutati e stimati segni di autorità. Le classi inferiori sono ridotte all’astensione o al silenzio -> l’atto linguistico si dà solo nel momento in cui chi lo pronuncia è legittimato a farlo. L’ atto linguistico può al limite esprimere e rappresentare l’autorità.
La teoria di Bourdieu del capitale (e del mercato) linguistico si lega anche alla teoria degli atti linguistici. La questione della legittimità del potere per avere il potere è necessario anche che chi è sottoposto a tale potere ne riconosca l'autorità (es: l'atto linguistico “io ti battezzo” ha effetti sullo status del ricevente solo se quest'ultimo riconosce la legittimità di pronunciare l'atto da parte del parlante). L'atto linguistico è un “rito di istituzione” nel senso che sancisce un determinato stato di cose e modifica lo status del ricevente dell'atto (es: il cavaliere riceve l'investitura, il laureando viene proclamato dottore). Gli atti di istituzione lasciano credere agli individui consacrati, che essi hanno motivo di esistere, che la loro esistenza serve a qualcosa. Inoltre, l'atto linguistico, e quindi il linguaggio, può esprimere e rappresentare l'autorità, che però viene dall'esterno.
Disuguaglianze.
Secondo Bernstein, esiste una relazione tra disuguaglianza linguistica e disuguaglianza sociale; le diverse pratiche di socializzazione, legate anche alla classe di appartenenza, influenzano lo sviluppo del comportamento sociale del bambino, tramite l’uso di determinati “codici” linguistici. Talvolta il linguaggio stesso può essere utilizzato come risorsa e strumento di differenziazione sociale o culturale (es appartenenza etnicak rap). La comunicazione interculturale: è uno scambio comunicativo tra parlanti con background culturali diversi, a cui non è alieno spesso il fenomeno di fraintendimento e quindi fallimento della comunicazione.
Nel presentare una possibile teoria della competenza comunicativa interculturale, vengono formulate 3 teorie, ognuna delle quali può essere utile per cercare di individuare qualche caratteristica di questo concetto.
1° teoria: teoria di Wiemann
Competenza comunicativa come:
a) abilità nel scegliere, tra i comportamenti comunicativi a disposizione in una situazione b) la strategia migliore per conseguire obbiettivi di carattere strumentale c) salvare la faccia d) mantere l'allineamento dei propri interlocutori
2° teoria: teoria di Spitzberg
Egli riprende lo schema di Wiemann e lo inserisce in un modello basato su tre dimensioni dell'agire comunicativo: motivazionale, pratica e cognitiva.
3° teoria: teoria elaborata da Gudykunst (noto anche come AUM) questo modello teorico si basa su 4 livelli analitici:
1) individuale: riguarda motivazioni e interpretazioni individuali
2) interpersonale: l'attore agisce in nome e per conto di se stesso
3) intergruppo: l'attore agisce in nome e per conto di gruppi e organizzazioni collettive
4) culturale: gli attori possono comunicare in modo simile o differente dai membri di altre culture.
In generale, la comunicazione interculturale si trova a fare i conti con una serie di produzioni discorsive che vanno considerato con attenzione per la loro ambiguità di fondo.
- Linguaggio politicamente corretto: esso reca con sé il rischio di demonizzare in modo eccessivo certi termini;
- Retoriche del multiculturalismo: esiste un grande equivoco, cioè di considerare gli individui di diversa provenienza geografica che confluiscono in un stessa società come portatori di una sorta di purezza culturale da salvaguardare, da proteggere e soprattutto da rispettare.
In realtà l'identità stessa è una costruzione negoziale e situazionale a tutti i livelli, da quello individuale a quello collettivo, prodotto da continue definizioni e ridefinizioni. Il fatto è che esistono persone non culture.
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