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Dire senza dire



Tanto nel rappresentare la realtà, quanto nel definire relazioni tra gli attori dell'interazione, non tutte le informazioni devono necessariamente essere comunicate esplicitamente, ma è possibile, e talvolta preferibile, lasciare qualcosa nell'implicito. Le presupposizioni hanno una componente linguistica esplicita mentre il linguaggio figurato e i tempi verbali sono altre modalità espressive che consentono, senza modificare il contenuto proposizionale degli enunciati, di influire sulla rappresentazione dei fatti. Si possono esercitare manipolazioni ideologiche, infatti ogni modalità linguistica che permette di comunicare contenuti “senza dire” (senza cioè che questi facciano parte di un affermazione confutabile) viene sfruttata per modificare l'insieme di conoscenze e credenze del ricevente.

Atti indiretti e impliciti
Si hanno quando la forma tipica di un’illocuzione viene usata per esprimere una diversa forza (preghiera, domanda, ordine, verdetto ecc..). Gli usi indiretti possono essere trovati in qualsiasi prodotto mediale che metta in scena delle interazioni tra soggetti (talk show).
Lo stesso meccanismo opera nelle domande retoriche, quando un informazione viene trasmessa attraverso una domanda. I messaggi mediali possono poi veicolare implicature conversazionali, disattendendo le massime conversazionali di Grice (veridicità, pertinenza, esaustività e non ridondanza).
Implicature convenzionali possono essere generate dall’uso di alcune espressioni linguistiche come ma, eppure, purtroppo, che danno una valutazione implicita del fatto presentato.

Presupposizioni
Come nelle implicature anche nelle presupposizioni l’informazione veicolata non fa parte della proposizione.
Ma a differenza delle precedenti, in questo caso al destinatario non è richiesto alcun percorso inferenziale per la comprensione: il contenuto è espresso esplicitamente nell'enunciato.
Forme linguistiche che veicolano o attivano le presupposizioni:
- sintagmi nominali definiti, cioé gruppi di parole aventi come testa un nome e introdotti da un determinante, che presuppongono che esista un referente per quel sintagma (presupposizioni di esistenza);
- verbi fattivi, cioè che implicano la fattualità del complemento o del soggetto (credere, essere certi, comprendere, approvare, apprendere, sapere, ecc.);
- verbi di cambiamento di stato (aprire, chiudere, entrare, uscire, continuare, ecc.);
- frasi relative, siano esse restrittive (nel cui caso ci si richiama al comportamento dei sintagmi nominali definiti) o appositive, che invece presuppongono un predicato che si aggiunge all’affermazione del predicato principale;
- domande (wh-questions), che pongono in primo piano l’argomento;
- frasi scisse (è X che Y), dove viene messo in evidenza l’elemento X presupponendo condiviso Y;
- epiteti, che spesso entrano nel sintagma nominale definito, diventando presupposizioni di esistenza.

Presupposizione e linguaggio giornalistico
La presupposizione introduce nel testo informazione nuova, senza interrompere il flusso comunicativo.
In un quotidiano può essere molto utile per richiamare -senza dover perdere tempo e spazio a spiegarla di nuovo - una conoscenza condivisa o per incuriosire il lettore e spingerlo ad informarsi sugli antefatti.
Alla funzione informativa si aggiungono però effetti retorici e persuasivi: il contenuto della presupposizione non è asserito dallo scrivente, che quindi è deresponsabilizzato rispetto ad esso. Inoltre spesso attraverso le presupposizioni è possibile esprimere una rappresentazione valutativa della realtà.

Espressioni figurate e ideologie
Il linguaggio figurato è un ulteriore esempio di discrepanza tra significato convenzionale e significato indiretto, che richiede un lavoro di interpretazione da parte del lettore, alla luce delle proprie competenze.
Le metafore sono figure retoriche che permettono di concettualizzare un evento nuovo in termini di esperienze già note. Il nostro stesso sistema concettuale, come osservano Lakoff e Johnson, è di natura metaforica, cioè utilizza la metafora per organizzare la comprensione della realtà.
Inoltre, nell'uso di determinate metafore sono insiti aspetti ideologici.
Da ciò l'interesse all'interno dell'analisi del discorso (soprattutto mediale) per l'adozione o meno di metafore, data la loro influenza e opacità nel trasmettere punti di vista ideologici e dato che esse mettono in primo piano un particolare aspetto del fenomeno, lasciandone in ombra altri.

Narrare e commentare
La scelta dei tempi verbali in un brano non risponde solo all’ordine cronologico degli eventi; i tempi infatti esprimono anche la disposizione del parlante rispetto a ciò che viene raccontato. Due grandi categorie di tempi verbali, la prima orientata alla narrazione di un avvenimento (imperfetto, passato remoto, trapassato remoto, condizionale); l’altra al suo commento (presente, passato prossimo, futuro). Nella narrazione gli eventi sembrano raccontarsi da soli, mentre nel commento sono molto presenti indicatori che rimandano alla situazione enunciativa e quindi al parlante. Di conseguenza si può dire che l’uso dei tempi contribuisce all’articolazione ideologica del discorso, perché ciò che viene presentato come narrazione è più facilmente accettato come condiviso e come base per la prosecuzione del discorso.

Tratto da IL DISCORSO DEI MEDIA di Sara Consonni
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