Cinema europeo negli ultimi decenni del '900. Reti figurative e tv
I film degli anni 60, di genere storico oppure no, erano permeati da elementi significanti che acquistavano forza grazie all’eco che avevano nei film stessi. Chiameremo “reti figurative” gli elementi che gli spettatori possono collegare a piacimento, riunendo componenti disseminati in tutto il film ma stilisticamente affini. Molti di questi frammenti hanno una funzione nella storia, ma se vengono estratti dalla continuità del racconto e riferiti ad altri elementi non trasmettono un significato. Diventano figure, ovvero immagini e suoni che catturano l’attenzione dello spettatore grazie alla loro apparente estraneità che permette però di riferirsi ad altri.
Negli anni 70 i critici scrissero che era la fine del privilegio assegnato alla sceneggiatura, cioè al discorso lineare e continuo. In realtà alcuni dei film prodotti in questo decennio furono straordinariamente provocatori e il fatto che non abbiano incontrato una risposta popolare non prova nulla. In generale possiamo dire che furono vicini per montaggio e regia alle tecniche televisive che si stavano imponendo nello stesso periodo. Anche i film più radicali degli anni 70 erano incentrati su un attore, un nome di richiamo o personalità note. Gli attori avevano tutti uno pseudonimo e gli elementi di una possibile biografia. Erano anche definitivamente inseriti in uno sfondo cinematografico. Gli scenari sono stati spesso presentati come costruzioni artificiali, superfici piatte prive di profondità. La novità consisteva nel fatto che i personaggi non erano presentati come soggetti funzionali, dotati di coscienza e capaci di pensare e di riflettere il mondo per il pubblico. Erano invece forme vuote create dalla macchina da presa, con l’unica funzione di dare agli spettatori un’impressione di continuità durante la proiezione. Mentre gli attori/personaggi venivano trattati come segni, il film ordinava la successione delle immagini.
Nell’ultimo ventennio del XX secolo il cinema europeo, senza rinunciare alla frammentazione e alla metafora, si è allontanato dai modelli televisivi. Trent’anni di programmi televisivi hanno trasformato la gente comune in un popolo di intervistati, che ha imparato a osservare il passaggio della telecamera e a condensare qualunque opinione in affermazioni brevi adatte a un consumo veloce;la maggior parte dei problemi sul piccolo schermo ha assunto un carattere soprattutto informativo e non ha proposto immagini innovative. E’ stato in seguito che il cinema ha riscoperto le sue risorse visive e sonore. I programmi dal vivo rendono impossibile il montaggio originale, quello del lungometraggio; le riprese televisive senza movimento hanno di rado uno sfondo interessante e significativo. Grazie alla velocità, le sequenze elaborate dal cinema sono capaci di offrire intriganti suggestioni sullo spazio, sui limiti della percezione cosciente e sull’ambiguità del tempo.
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Autore:
Laura Righi
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- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Esame: Cinema e studi culturali
- Docente: Michele Fadda
- Titolo del libro: Cinema e identità europea
- Autore del libro: Pierre Sorlin
- Editore: La nuova Otalia
- Anno pubblicazione: 2011
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