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L’urlo di Medusa


Come succede in tutti i teatri della violenza fin qui conosciuti, gli uomini continuano a esserne i protagonisti indiscussi. Quando una donna si affaccia alla ribalta dell’orrore, la scena si fa però più cupa e, benché più sconcertante, paradossalmente più famigliare. Aumenta la ripugnanza e l’effetto si potenzia. Quasi che l’orrore avesse bisogno del femminile per rivelare la sua autentica radice.
La madre infanticida Medea, un’altra figura femminile dell’orrore dislocata ai confini della terra greca, le fa da millenni compagnia e la completa. Fra le due c’è, però, una specie di contrappunto. Nel caso di Medusa la maternità non entra nel quadro o, meglio, ci rientra nella forma subdola dell’omissione. Medusa non ha nemmeno un corpo, è appunto solo una testa mozzata. Separata dal corpo, la testa della donna mostruosa è scissa anche dal grembo.
Mediante la traumatica dislocazione del ventre materno fuori dal quadro Medusa è una madre sterile. Sempre raffigurata da una prospettiva frontale e mai di profilo Medusa è per di più un volto, ossia “il volto del vivo, nella singolarità dei suoi tratti”.
Racconta la leggenda che Perseo — il cui nome significa “il tagliatore” — con l’aiuto degli dei riuscì ad avvicinare Medusa senza guardarla negli occhi. Fu così che, con un falcetto affilato, afferrandola per la chioma, l’eroe le tagliò la testa.

Tratto da LA VIOLENZA SULL'INERME di Anna Bosetti
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