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L’esperienza dell’io corporeo


La differenza tra l’argomentazione scientifica e quella filosofica è data da un diverso accesso alla corporeità: la prima prende in considerazione il corpo come un corpo-cosa e lo stesso si può dire della mente – il cervello -; la seconda cerca di descrivere il corpo a partire dal nostro sentirci corpo dal nostro percepirci come io corporeo. La filosofia, cerca di descrivere il corpo – inteso come unità di corpo e mente – muovendo dall’esperienza che l’io fa direttamente di sé, dalla percezione che ha di sé come io-corporeo. La scienza ricostruisce la mente a partire dallo strutturarsi della materia, la filosofia descrive il nostro sentirci materia entro la vita della mente. La vita della mente si rivela, dunque, primariamente nella vita dei corpi e perciò la si attinge nel viversi corporeo di ognuno, nell’essere Leib “corpo vivo”. Il corpo è il perimetro che segna la differenza tra sé e l’ambiente, che permette ad ognuno di percepirsi come io e insieme come altro.
La distinzione tra sé e l’ambiente rinvia il sé a se stesso e gli permette di percepirsi come un io. Ma comprensione di sé come “io” si istituisce nella presa di distanza dalla propria immediatezza corporea. Dal momento che l’io si comprende come una differenza non può coincidere in assoluto con la sua corporeità: in quanto riferimento a se stesso si porta oltre di sé come pura e semplice cosa. Solo a questo titolo l’io può dire il corpo è mio. Ma nel momento in cui l’io può dire “il corpo è mio” non coincide totalmente con il proprio corpo, che infatti, gli appartiene. È dunque nell’intervallo vuoto d’oggetto, nello spazio della relazione di sé con sé, e quindi nell’autoriferimento, che l’io depone sé come corpo, ma è proprio in questa distanza che l’individuo può paradossalmente riconoscersi come un “oggetto” del mondo, nel mondo. L’io se non si differenziasse in se stesso, se non si percepisse come un’entità distinta nell’ambiente, non potrebbe neppure percepirsi come corpo.
“Essere al mondo” coincide con l’essere posti in esso come un’apertura in esso su di esso, e perciò come una prospettiva finita sull’infinito: è questo un modo d’essere singolari e insieme assoluti. Essere io-corporeo significa perciò cogliersi come punto d’apertura e insieme come limite, confine di esclusione. Il corpo è segno della nostra finitezza.
La mente non può pensarsi mai separatamente dal corpo, la mente si riferisce a sé attraverso di esso e mai senza.

Tratto da GUIDA ALLA FORMAZIONE DEL CARATTERE di Anna Bosetti
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