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Aumento della tensione interpersonale in seduta: fase compressiva

Aumento della tensione interpersonale in seduta: fase compressiva    


Si parla dei litigi tra padre e figli. Il contesto di rifiuto tra padre e figlio, con la madre che si affanna a gestire la situazione e a fare da cuscino, prepara e consente il successivo intervento provocatorio del terapeuta, il quale cerca di dar voce al conflitto nascosto e di mettere in evidenza la funzione della madre, preparandosi ad assumere temporaneamente il posto all’interno del triangolo: infatti fa spostare la madre dalla sua posizione e mette padre e figlio uno vicino all’altro. Il padre viene sollecitato a mostrare come si avvicina al figlio e che cosa fa per conquistare la sua fiducia, ma il figlio si ritrae, con atteggiamento sempre più seccato, ogni volta che il padre cerca di tirarselo vicino.    
La provocazione del terapeuta culmina con: “ Tutto questo è troppo triste… Quindi abbiamo un piccolo mostro, un fratello gravemente handicappato, una psicologa grassona e un padre depresso”.
La provocazione sta inizialmente nelle parole che usa e che sono evocatrici di immagini che condensano la tensione già esistente sul piano contestuale: essa comincia con le prime domande a Jimmy riguardo ai suoi sentimenti negativi verso il padre, prosegue con la definizione della funzione della madre, aumenta progressivamente nel tempo con lo spostamento di quest’ultima e col confronto diretto tra padre e figlio e le definizioni che l’accompagnano. La provocazione diventa in realtà un processo di provocazione, in cui la percezione di una differenza e di una separazione tra genitore e figlio viene amplificata ed esasperata.    
E’ proprio l’aspetto apparentemente irreversibile delle immagini proposte, legato al tema della separazione, che determina il potenziamento della tensione sul quale si basano gli interventi successivi.    
La situazione appena descritta fa parte di quel tipo di provocazione che va a toccare aspetti fortemente conflittuali del rapporto, aspetti che suscitano emozioni contrastanti: esse vengono combattute attraverso il silenzio o  la creazione di una distanza spaziale, la rinuncia a un confronto che metterebbe a nudo ferite molto profonde. Questa è la rigidità della struttura relazionale che la provocazione si propone di rompere attraverso l’aumento della pressione interna al sistema, conseguente al movimento di compressione.    
Il passo seguente consiste nel creare alla tensione che si è così generata dei canali di deflusso alternativi a quelli abitualmente impiegati, spostando l’indagine su un piano trigenerazionale.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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