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Cenni di Psicoanalisi e Psicosi

Cenni di Psicoanalisi e Psicosi


Freud: il concetto di narcisismo serve inizialmente a distinguere le psicosi dalle nevrosi --> esso implica: disinvestimento della realtà esterna, un esame di realtà indebolito, riduzione delle relazioni affettive. La differenza fra il deficit dell’Io dei nevrotici è quello degli psicotici è quantitativa non qualitativa:
• il nevrotico tende a modificare se stesso
• lo psicotico rinnega la realtà e la sostituisce con percezioni allucinatorie, pensieri deliranti

Abraham e Ferenczi: il modello esplicativo viene generalizzato a forme diverse di patologia, sfumando le differenze fra nevrosi e psicosi --> i conflitti psichici sono alla base di tutti i disturbi.

Federn (1929): amplia l’ipotesi freudiana, sostenendo che il ritiro dell’investimento libidico non avviene solo dal mondo esterno ma anche dall’Io stesso. In questo modo avviene una regressione dell’Io a stadi anteriori dello sviluppo, osservabile nella destrutturazione delle funzioni cognitive e nella disintegrazione delle emozioni.

Melanie Klein: opera un’analogia fra le operazioni mentali e affettive (ad es. scissione o identificazione proiettiva) compiute nel primo periodo dello sviluppo normale e quelle compiute dai pazienti psicotici.

“In breve la schizofrenia ha un significato unicamente in un contesto interpersonale; e le sue caratteristiche possono definirsi soltanto con uno studio delle relazioni che intercorrono fra lo schizofrenico e altre persone schizofreniche, meno schizofreniche, e non schizofreniche” (Sullivan).

“La psichiatria è lo studio dei fenomeni che hanno luogo in configurazioni fatte di due o più persone, una delle quali può essere più o meno completamente illusoria” (Sullivan).

Per trovare un'alternativa all’elettroshock, Sullivan studiò pazienti al primo episodio schizofrenico, dunque negli adolescenti, in modo da facilitare il trattamento (poiché se un paziente si cronicizza, data la presenza della schizofrenia da molti anni, è difficile da recuperare), tutti maschi, scegliendo anche personalmente gli operatori e gli infermieri, anch’essi tutti maschi che lavoravano con questi soggetti, che venivano raccolti in un reparto, con pochi letti; lo scopo era aiutare i pazienti a riprendere la propria vita. A quei tempi le diagnosi venivano svolte in modi diversi e molti pazienti diagnosticati come schizofrenici oggi verrebbero chiamati borderline. Tali esperimenti furono condotti a Londra e nella Costa Est degli Stati Uniti.

Sullivan si oppone ai trattamenti di decorticazione parziale in voga nella sua epoca, soprattutto alla lobotomia di Freeman, e alle teorie compulsive, come l’elettroshock, ecc. che producono risultati “benefici” perché riducono la capacità di “essere esseri umani”; questi trattamenti non fanno altro che evidenziare che è meglio essere un imbecille contento (cioè soggetti lobotomizzati, con le relative perdite di memoria) piuttosto che uno schizofrenico; ciò è dato dalla paura del paziente così diverso, secondo gli psichiatri (non secondo gli psicoanalisti), e dall’impotenza rivolta a sintomi così gravi che portava a questi trattamenti estremi.

Domanda: La decorticazione portava a una perdita totale di funzioni oppure qualche funzione cognitiva rimaneva?
La lobotomia portava in alcuni casi alla morte del paziente, in altri casi, invece, il paziente si calmava a causa di perdite di funzioni del lobo frontale; i disturbi più frequenti erano quelli legati alla memoria e all’apprendimento.

Domanda: In seguito le persone lobotomizzate riuscivano a riacquisire le facoltà perdute?
I pazienti non recuperavano queste funzioni, però non abbiamo studi follow up poiché siamo negli Anni '40; tale pratica però raggiunse un livello critico quando veniva adoperata anche su bambini ritenuti “difficili” (esistono delle interviste fatte a soggetti lobotomizzati o sottoposti all’elettroshock qualche anno dopo).

Nonostante i sintomi piuttosto bizzarri, gravi e ritenuti del tutto causali, senza significato, Sullivan si rifiuta di considerare i pazienti psichiatrici come una manifestazione di un disagio biologico, poiché essi rappresentavano almeno parzialmente l’espressione del gruppo sociale a cui appartenevano (la schizofrenia è il risultato di interazioni interpersonali inadeguate nell’ambiente passato e attuale del paziente) --> per questo motivo i comportamenti più bizzarri risultano intellegibili se ricollocati all’interno delle interazioni fra paziente e altri significativi.

Occupandosi di pazienti molto gravi che non parlavano o lo facevano in modo confuso, disorganizzato, che perdevano ogni comportamento organizzato, notò che le manifestazioni più bizzarre ebefreniche, come il maneggiare le proprie feci, apparentemente senza senso, indicano una disperazione tale che i pazienti sono spinti a non occuparsi più che dei divertimenti offerti dalle loro zone di interazione (aree corporee erogene), per esimersi dai rapporti con i loro simili: dunque anche i comportamenti più bizzarri hanno valenza relazionale, interpersonale, e quando il paziente si imbratta di feci, lo fa perché usa le zone corporee per allontanare gli altri (e non per scaricare tensioni pulsionale), a causa dell’angoscia che prova in presenza delle altre persone. Dunque Sullivan sostiene che tutto ciò che fanno i pazienti psicotici o nevrotici ha un significato di natura relazionale.


Tratto da PSICOLOGIA DINAMICA di Mariasole Genovesi
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