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Soggettività del clinico


Per quel che riguarda invece la soggettività del clinico, essa è stata spesso ritenuta, soprattutto in una prospettiva di tipo positivistico, una variabile di disturbo da aggirare. Tuttavia, all'interno di una visione più complessa dell'incontro, essa può essere considerata una risorsa: per includerla nel processo diagnostico, anzichè bypassarla, è necessario sistematizzarla attraverso una preparazione clinica adeguata.
Nelle diverse edizioni del DSM non vi è alcun riferimento ai possibili sentimenti sperimentati dal clinico durante i colloqui, omissione perfettamente logica all'interno di un approccio alla diagnosi di tipo descrittivo-oggettivante; nel Manuale Diagnostico Psicodinamico invece, l'asse P prevede una descrizione, seppur non sistematica ma solo orientativa, dei possibili sentimenti controtransferali  che emergono nell'incontro con pazienti con specifici stili/disturbi di personalità.
Una sistematica analisi dell'esperienza soggettiva del terapeuta permetterà: una più fine comprensione delle dinamiche interne del paziente, in quanto spesso le emozioni risvegliate nell'analista sono molto più vicine al nocciolo del problema di quanto non lo sia il suo ragionare; una maggiore comprensione delle proprie risposte interne acute, altrimenti difficilmente spiegabili e comprensibili, che potrebbero trasformarsi in esperienze croniche nel futuro della relazione; una più motivata comprensione delle risposte e dei comportamenti degli altri significativi del paziente, poichè le emozioni sperimentate dal terapeuta spesso sono generalizzabili ad altre persone della vita del paziente.

Tratto da LA DIAGNOSI IN PSICOLOGIA CLINICA di Salvatore D'angelo
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