Funzioni dell'udienza preliminare
L'importanza dell'udienza preliminare discende dalle funzioni ad essa ricollegate, che sono essenzialmente tre:
1. realizzare un filtro delle imputazioni azzardate;
2. garantire una attuazione del diritto alla prova;
3. rendere possibile la scelta dei riti differenziati deflattivi del dibattimento più significativi del giudizio abbreviato.
La prima funzione appare la principale. Infatti, con l'udienza preliminare è stato introdotto un controllo giurisdizionale sull'esercizio dell'azione penale in modo da evitare il dibattimento, mediante l'emanazione di una sentenza di non luogo a procedere, ove si ritenga errato l'esercizio dell'azione penale. Questa funzione di controllo veniva effettuata con riferimento ai risultati delle indagini del p.m. senza attribuire al giudice dell'udienza preliminare nessun potere di iniziativa nell'assunzione di elementi probatori.
In origine, l'art. 425,1 c.p.p. consentiva l'emanazione della sentenza di non luogo a procedere in due gruppi di ipotesi:
a. se sussisteva una causa di estinzione del reato, se sussisteva una causa per la quale l'azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata o non poteva essere proseguita, se il fatto non era previsto dalla legge come reato;
b. se risultava evidente che il fatto non sussisteva o che l'imputato non lo aveva commesso o che il fatto non costitutiva reato o che l'imputato era persona non imputabile o non punibile per qualsiasi causa. Successivamente la Corte costituzionale aveva vietato il proscioglimento per difetto di imputabilità.
Così congegnata, la norma impediva all'udienza preliminare di svolgere una effettiva funzione di filtro delle imputazioni azzardate. Letteralmente intesa, infatti, essa consentiva il proscioglimento sol nelle ipotesi in cui vi fosse la prova dell'innocenza dell'imputato. La vera imputazione azzardata, che si tendeva ad evitare, non poteva essere quella basata su elementi probatori da cui emergeva l'innocenza bensì quella fondata su elementi contraddittori o insufficienti.
La legge n. 479/1999 ha lasciato immutato il comma 1. dell'art. 425 c.p.p., ma nel comma 3. Ha espressamente stabilito che "il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio.
La sentenza di non luogo a procedere conserva le caratteristiche di una sentenza meramente processuale (cioè una sentenza che deve accertare la necessità o no di passare alla fase dibattimentale) con una anomalia posto che l'ultima parte del comma 1. Dell'art. 425 c.p.p. stabilisce: "ai fini della pronuncia della sentenza il giudice tiene conto delle circostanze attenuanti. Si applicano le disposizioni dell'art. 69 c.p.". Per l'applicazione delle attenuanti generiche il giudice dovrà tenere conto dei parametri indicati nell'art. 133 c.p. tra cui la gravità del danno cagionato alla persona offesa, l'intensità del dolo o il grado della colpa. Tali parametri, presupponendo un giudizio di responsabilità in capo all'imputato, sembrano contrastare con la natura meramente processuale della sentenza di non luogo a procedere.
Va ricordato, infine, che il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbero conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.
La seconda funzione dell'udienza preliminare è data dalla necessità di realizzare una attuazione del diritto alla prova. Invero, può verificarsi che la possibilità di acquisire elementi probatori favorevoli all'indagato emerga dopo la chiusura delle indagini preliminari. Sarebbe, ovviamente, assurdo ed in palese contrasto con quell'attuazione del contraddittorio che si è intesa assicurare nell'udienza preliminare, il negare la possibilità di acquisire tali elementi probatori. D'altro lato, si è voluto evitare che il giudice dell'udienza preliminare potesse in qualche modo assumere la veste del giudice istruttore e nell'udienza preliminare si verificasse la rinascita di un'attività istruttoria.
Questo assetto normativo è peraltro mutato, in primo luogo, per effetto di un intervento della Corte costituzionale, che ha reso possibile l'incidente probatorio nell'udienza preliminare accentuando in tal modo l'attuazione del diritto alla prova nell'udienza in parola. Infatti secondo l'art. 24,2 Cost. e l'art. 3 Cost., ove sussistano le circostanze elencate nell'art. 392 c.p.p., l'anticipata assunzione della prova nel corso dell'udienza preliminare si appalesa indispensabile per l'acquisizione di elementi. La Corte costituzionale sottolinea che tale esigenza concerne il diritto alla prova tanto del p.m. che dell'imputato.
Successivamente, anche il legislatore ha notevolmente ampliato la possibilità di colmare nell'udienza preliminare le lacune delle indagini preliminari e conseguentemente la concreta attuazione del diritto alla prova. Infatti nel 1999 è stato inserito l'art. 421 bis c.p.p. il quale stabilisce al comma 1. che il giudice "se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare".
L'art. 421 bis non comporta una regressione dal processo al procedimento posto che il p.m. agisce unicamente come organo delegato dal giudice dell'udienza preliminare ma non ha più i poteri che gli competono a conclusione delle indagini stesse. In altri termini, una volta compiute le indagini preliminari, il p.m. ritrasmette gli atti al giudice stesso affinchè riprenda l'udienza preliminare nella data prefissata dallo stesso giudice senza avere la possibilità di chiedere l'archiviazione e neppure quella di riformulare una richiesta di rinvio a giudizio modificando l'imputazione. Le modifiche dell'imputazione che dovesse ritenere necessarie alla stregua delle indagini indicate dal giudice e compiute dallo stesso p.m. potranno essere effettuate soltanto una volta ripresa l'udienza preliminare.
Una ulteriore possibilità di colmare le lacune delle indagini preliminari è, inoltre, prevista dal comma 1. dell'art. 422 c.p.p. nella nuova versione del 1999, il quale stabilisce che il giudice dell'udienza preliminare, allorquando non ritiene di emanare l'atto conclusivo dell'udienza preliminare e nel contempo non ritiene di ordinare l'integrazione delle indagini preliminari, "può disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere". Da sottolineare che le nuove prove che il giudice può assumere anche d'ufficio, ove le ritenga decisive per l'emanazione della sentenza di non luogo a procedere, possono essere tutti quelli consentiti. Il comma 2. dell'art. 422 c.p.p. precisa che, ove non sia possibile procedere immediatamente all'assunzione degli elementi di prova, il giudice fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle persone indicate di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio. In ogni caso l'imputato può chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio per il quale si applicano gli artt. 64 e 65 c.p.p. Tale interrogatorio, su richiesta di parte, deve essere effettuato nelle forme previste per l'esame dell'imputato in sede dibattimentale.
La possibilità dell'attuazione del diritto alla prova dipende pur sempre dalla decisione del giudice dell'udienza preliminare di non poter provvedere allo stato degli atti all'emanazione dell'atto conclusivo dell'udienza preliminare e di emanare, invece, l'ordinanza per l'integrazione delle indagini oppure il provvedimento per l'assunzione d'ufficio di nuovi elementi di prova.
Infine, il difensore dell'imputato può integrare il materiale a disposizione del giudice dell'udienza preliminare sia producendo documenti, sia presentando al giudice gli elementi favorevoli al suo assistito raccolti nel corso delle indagini difensive.
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Dettagli appunto:
- Autore: Enrica Bianchi
- Titolo del libro: Lineamenti di procedura penale
- Autore del libro: Gilberto Lozzi
- Editore: Giappichelli
- Anno pubblicazione: 2008
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