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Cura di sè e metanoia cristiana



Nella conversione ellenistica non c’è rottura, c’è forse in relazione a ciò che circonda il sé, del sé rispetto al resto. Poi nella conversione ellenistica e romana lo sguardo dovrà esser rivolto verso il sé, ci sono espressioni come scrutare ed osservare se stessi, guardarsi, ecc. Infine, occorre muoversi verso il sé come andando incontro a una meta. È un movimento che significa anche tornare a sé. Non è chiaro però nell’ellenismo se il sé cui si torna è già dato in partenza(ritorno) o è una meta accessibile solo ai saggi. Si parla di proteggere, armare, rispettare, possedere, onorare, godere il sé. La metanoia cristiana è rottura all’interno dello stesso sé, la conversione ellenistica è un processo lungo di autosoggettivazione. Metanoia esiste come termine in grecia, ma ha sempre connotazione negativa, è pentimento inteso come qualcosa che si deve evitare. In filosofia ha significato positivo solo a partire dal 3-4° sec. nel pitagorico ierocle. C’è dunque un ambito tra epistrophe e metanoia che non è ne l’uno ne l’altro. Hadot parla di questi 2 come 2 modelli di conversione nella cultura occidentale. L’epistrophè come ritorno dell'anima alla sorgente, che ha nel risveglio il suo modello e nell’anamnesi la modalità del risveglio. La metanoia è invece uno sconvolgimento dello spirito che ha al centro la morte e resurrezione come esperienza di se stessi. In questa fase intermedia possiam chiamare il problema come di conversione dello sguardo. Il guardare se stessi di seneca ed epitteto è lo stesso di Platone? È un guardare in sé per scoprire i semi di verità o un guardare in sé per scoprire le tracce della concupiscenza? Nessuno dei 2 è diverso dallo gnothi seauton platonico e dall’esamina te stesso monastico.

Tratto da ERMENEUTICA DEL SOGGETTO di Dario Gemini
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