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Valvole biologiche (bioprotesi)


Xenoinnesti:
I primi xenoinnesti (cioè di origine animale) sono stati impiantati in posizione aortica da Binet, Duran, Carpentier e Langlois nel 1965. Molto rapidamente  è stato notato che la durata degli xenoinnesti era inferiore a quella delle protesi meccaniche. Tale durata viene oggi stimata di circa dieci anni, ma può essere ridotta in caso di pazienti giovani e di impianto in posizione aortica. Il suo principale interesse risiede nel non necessitare un trattamento anticoagulante cronico.
Gli xenoinnesti vengono pertanto indicati in pazienti anziani la cui aspettativa di vita sia inferiore a 10 anni circa e in pazienti con controindicazioni relative o assolute al trattamento anticoagulante (dialisi cronica, donne in età fertile).

Omoinnesti (homograft):
Più recentemente gli omoinnesti (valvole prelevate da cuore umano) hanno mostrato un rinnovato interesse. Vengono utilizzate prevalentemente in posizione aortica in caso di endocardite infettiva. Le loro caratteristiche sono riassunte di seguito:

Ross e Barratt-Boyes nel 1962 introdussero la tecnica di sostituzione valvolare aortica con homograft per poter ridurre al minimo i rischi tromboembolici. All’epoca le valvole prelevate da cadavere venivano sterilizzate con betapropiolattone e reimpiantate dopo un breve lasso di tempo. Questo procedimento dava però risultati deludenti con numerosi casi di malfunzionamento. Nel 1968 la tecnica di conservazione fu modificata con l’introduzione di soluzioni antibiotiche per la sterilizzazione. È questa la tecnica tuttora in uso. La buona qualità dell’innesto è correlata all’età del donatore e al tempo intercorso tra il decesso e il prelievo.

I vantaggi di tale tecnica sono i seguenti:
- periodo di anticoagulazione di 1 o 2 mesi dopo l’intervento;
- tasso di recidive infettive inferiore che con altre protesi in caso di endocardite, grazie all’assenza di materiale estraneo;
- gradiente transvalvolare aortico inferiore in caso di diametro anulare inferiore a 21 mm.

Gli svantaggi sono rappresentati da una tecnica chirurgica più difficile con tempi di clampaggio aortico conseguentemente più lunghi, un rischio di insufficienza aortica centrale postoperatoria e uno sviluppo di calcificazioni maggiore con possibili difficoltà tecniche aumentate in caso di reintervento.
La mortalità operatoria è paragonabile a quella dell’intervento convenzionale di sostituzione valvolare, circa del 3% per l’impianto di una protesi in sede aortica. La sopravvivenza a lungo termine è simile e i processi degenerativi sono più lenti rispetto alle bioprotesi (15% di malfunzionamento a 10 anni, 50% a 20 anni).

Tratto da APPUNTI DI CARDIOCHIRURGIA di Alessandra Di Mauro
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