Gli investimenti e la condizione giuridica dello straniero in Italia
Che cosa è un investimento estero?
Acquisizioni di partecipazioni nel capitale sociale di società straniere in un ottica di medio/lungo periodo (nozione giuridica).
Nozione economica → investimento considerando tutto ciò che non viene destinato dall’impresa ad attività di consumo. Ci sono tantissime definizioni.
A che cosa servono questi investimenti esteri?
Consentono all’impresa nazionale di espandere la propria attività di solito mediante la costituzione oppure con l’acquisizione del controllo ovvero di una partecipazione rilevante in società straniere. Questo è uno dei modi, non l’unico. Lo scopo è quello di realizzare la permanente presenza sul mercato estero e controllare una data combinazione di fattori produttivi. Quindi non si vuole fare un intervento veloce, ma si vuole portare avanti una strega finalizzata alla presenza permanente sul mercato estero che è stato scelto, controllando anche una data combinazione di fattori produttivi.
I fattori produttivi sono il capitale e il lavoro.
L’imprenditore avvia una sorta di internazionalizzazione della propria attività. Come lo fa? Invece di ricorrere a sporadiche esportazioni, fiere, creazione di una rete di distribuzione; decide di intervenire in vari modi: per esempio può farlo costituendo una joint venture (= è un’associazione temporanea di imprese, imprese che firmano un contratto per realizzare per esempio un opera, come una diga in un paese straniero), dove sono tanti le forme di intervento e i ruoli che si richiedono. Quindi queste persone possono creare in vista di un obbiettivo comune, creando una joint venture. Oppure si può costituire sul posto una filiale, quindi si può scegliere la joint venture o di aprire una filiale, dove si possono svolgere attività di post-vendita.
Per esempio per attività di post vendita posso avere il mantainance bond.
Il presupposto per parlare di investimenti diretti esteri è che l’investitore deve essere straniero, deve essere un operatore economico proveniente da uno stato diverso da quello in cui l’investimento viene realizzato. Si confrontano due realtà nazionali diverse: quella che ospita l’investimento che è contenta da una parte (crescita, lavoro, opportunità) ma allora stesso tempo anche: possono mettere in discussione la mia autorità? Ci sono opportunità ma anche rischi. Da nessuna parte è scritto che esiste un diritto dell’investitore o dell’impresa investitrice dell’operatore economico a immigrare in un altro paese né di stabilirsi sul territorio di questo paese per esercitare un’attività economica e di conseguenza non esiste un legittimo diritto a investire in capo al privato per investire in uno stato estero. Quindi non esistendo questi diritti: di investire, di immigrare, essere ospitati, esistono però clausole singole che sono contenute in trattati internazionali e che possono essere invocate utilmente, in particolare la disciplina deriva da un complesso articolato di fonti normative e questo complesso, è destinato ad incidere in modo diverso sulla materia che ci interessa. Queste fonti normative possono essere: diritto internazionale, accordi bilaterali, accordi multilaterali e i contratti stipulati tra stati e stranieri.
Lo studio degli investimenti diretti esteri ci coinvolge e ci interessa da tre punti di vista:
1. AMMISSIONE E TRATTAMENTO DI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: comprende delle norme di origine sia interna che inter-statuale, queste norme precisano il regime di ammissione, trattamento, localizzazione, ammontare, regime di scale e rimpatrio di profitti. Prendono in considerazione tutti gli aspetti collegati all’investimento estero, perché quando si va a fare l’investimento molti aspetti entrano in rivelo: dove? localizzazione, l’ammontare, quanto, il regime fiscale, regime di ammissione, trattamento, il rimpatrio dei profitti. La disciplina deve contemperare due opposti interessi: stato ospitante → quello dello stato che ospita a salvaguardare la propria sovranità sul territorio rispetto a centri di potere economico che possono influenzare la gestione della cosa pubblica (incidere anche sull’equilibrio politico del paese che ci interessa). Per esempio multinazionali in paesi in via di sviluppo → si mette in crisi regime/forma recente che si è determinata. Lo stato ospitante da un lato ha la sua convenienza ad ospitare questo tipo di investitori e investimenti ma allo stesso tempo ci va cauto perché non vuole che l’ingresso di questi poteri economici forti possa incidere, squilibrare la realtà politica del paese ospitante. Quindi la legge può prevedere ad esempio che alcuni settori di rilevanza strategica siano preclusi agli stranieri, si può impedire ad un investitore straniero di compiere investimenti che riguardano materia di banche, armi, energia perché potrebbe avere come conseguenza: di incidere sulla stabilità politica di quel paese lì. Oppure può imporre determinate forme societarie. Per esempio per investire in Cina si dovevano fare o joint venture o partecipare a delle società che dovevano avere una partecipazione capitale cinese. Lo stato ospitante può imporre limiti: uso certi strumenti giudici o di forme societarie, assunzione di personale locale, settori di liberi accesso cioè può stabilire i settori in cui l’accesso deve essere controllato o anche per esempio dei performance requirements dove si può svolgere una certa attività di impresa però si deve trasferire/condividere con lo stato ospitante per esempio una certa tecnologia oppure può stabilire che si possa fare il disinvestimento di questi investimenti solo decorso un certo periodo di tempo o solo per certe quantità (non si può arrivare, investire e portare via tutto e di più). Per evitare un ottica di sfruttamento, il paese ospitante può richiedere che un certo investimento venga accompagnato da una serie di limiti che possono essere temporanei, quantitativi, di varia natura…per evitare abuso a livello economico ma anche di sovranità perché uno stato si fonda sempre su tre elementi (popolo, territorio e sovranità che diventa nazione quando c’è anche una base culturale, religiosa, etnica comune, elementi di natura soggettiva; quindi nazione dato di fatto mentre stato è un discorso formale). Dall’altro lato c’è l’esigenze dell’impresa straniera che va ad investire in questi luoghi di ridere tuteli rispetto ai beni che sono localizzati nello stato ospitante. può succedere che nel momento in cui si investe, la situazione politica può cambiare (es. colpo di stato) o militare, economica.. tutta una serie di situazioni per cui l’investimento può rilevarsi un’esperienza fallimentare. Nella scelta si deve tenere presente questo fatto. Quando si va ad investire in un paese straniero, il paese ospitante normalmente nei confronti degli ospiti deve rispettare una sorta di duplice principio generale cioè principi generali di diritto inter statuale. Lo stato territoriale cioè colui che ospita non può chiedere al privato straniero dei comportamenti che non siano giustificati da un collegamento dello straniero dei suoi beni con il territorio. Il fatto che ci sia questo stato che ospita lo straniero pone lo stato in una posizione di chiedere qualcosa allo straniero ma quello che può chiedere deve essere ragionevolmente giustificato da un collegamento dell’attività dello straniero, della persona dello straniero, dei suoi beni con il territorio.
Esempio: trattamento fiscale, dovranno sicuramente essere pagate delle imposte, obblighi fiscali (c’è un collegamento che giustifica comportamento dello stato ospitante visto il legame che lo straniero (termini personali) e i suoi beni (termini di beni) hanno con il territorio che ospita la sua attività). Diritto penale per esempio, si rispetto quello dello stato in cui ci si trova. Alcuni comportamenti sono ammessi in alcuni paesi e altri no, le norme cambiano a seconda del luogo (e del tempo). Altra cosa che l’ospitante deve fare → ha l’obbligo di prevenire e reprimere le offese contro la persona o i beni dello straniero. Non si può lasciare da solo lo straniero, se magari si ha bisogno di essere protetti, al sicuro. Lo stato rimane libro di ammettere o non ammettere investimenti stranieri e di regolarne lo statuto giuridico entro il proprio territorio statale. Quindi lo stato da questo punto di vista è libero. Nel diritto internazionale non esistono diritti ad immigrare in un certo paese, a stabilirsi sul territorio di un certo paese per esercitare attività economica quindi non esiste un legittimo diritto ad investire in uno stato estero in capo al privato e lo stato dal suo punto di vista risulta libero di adottare le misure dissuasive o incitative che ritiene opportune.
Non esistono diritti ma esistono singole clausole che sono contenute in trattati e convenzioni multilaterali o bilaterali nonché a livello nazionale su queste materie che possono venire di volte e in volta utilmente invocate e quelle più frequenti di solito attengono a 4 aspetti fondamentali. Se cerchiamo di arrivare ad un’astrazione di clausole che sono contenute in questi trattati/convenzioni bilaterali o multilaterali e anche in normative nazionali, di solito ci si rivolge a 4 principi: clausola del trattamento nazionale secondo la quale agli investitori stranieri è dovuto lo stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali; clausola del trattamento giusto ed equo (fair and equitable) dove lo scopo è quello di evitare un trattamento ingiustificato ed arbitrario, che sia contrario alla buona fede, alle legittime aspettative dell’investitore e a garantire la certezza del diritto; clausola della piena protezione e sicurezza (full protection and security) intesa in senso fisico da parte degli organi dello stato ospitante (forza militari a tutela degli oleodotti); clausola della nazione più favorita secondo la quale all’investitore di un dato stato si rende applicabile il miglior trattamento da quelli che sono accordati agli investitori di altri paesi.
Questa materia dopo il tratto di Lisbona, per quello che riguarda l’UE, è diventata di esclusiva competenza unionale quindi questi aspetti non li tratta l’Italia da sola ma vengono trattati a livello di unione europea.
2. PROTEZIONE DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: l’instabilità dei governi può essere molto dannosa (italiani che hanno investito in Venezuela, può nazionalizzare impero presenti sul territorio).
Nazionalizzazione → si realizza il trasferimento dalla sfera privata a quella pubblica della titolarità ovvero del controllo di beni o attività economiche, del godimento e dello sfruttamento di risorse naturali. Si viene a realizzare una pubblicizzazione dell’assetto economico del paese, o di singoli settori di esso. Per la tutela della sovranità dello stato, lo stato può decidere: determinati settori, anche se attività in questione svolte da imprese private può o devo nazionalizzarle per non mettere in rischio la sovranità o l’equilibrio economico del paese.
Per esempio in Italia non si può produrre l’energia elettrica, settore strategico di importanza nazionale. In passato anche settore delle telecomunicazioni. Anni '80 → nasce canale 5: prima stazione televisiva a diffusione nazionale, poi cambiata la norma. Oppure c’è anche difesa e produzione armi. Ci sono dei settori che ogni stato può decidere di volere escludere il capitale straniero come il Cile lo esclude in materia di estrazione del rame, lo zinco in Bolivia. Quindi o si vogliono evitare attività di un certo tipo o sfruttamento di risorse naturali, le sfrutta solo lo stato o imprese statali o imprese a cui lo stato ha dato ok ma non è ammesso l’intervento del privato in questi settori. Questo succede perché nasce la necessità della protezione, quindi la questione della nazionalizzazione, nasce dal fatto che si crea un conflitto di interessi: da un lato lo stato nazionalizzatole che tende a disporre di situazioni giuridiche che rientrano nella propria sfera giurisdizionale e dall’altro lo stato di appartenenza dell’impresa o del soggetto che si vede spossessare del proprio investimento. Agli investitori deve essere riconosciuto almeno uno standard minimo di protezione, che debba essere tutelato e quindi perseguibile sia con i ricorsi interni ma anche per le vie diplomatiche. È vero che si tratta di un privato che va ad investire in uno stato ospitante, ma questo privato ha uno stato di appartenenza. Lo stato di appartenenza dell’investitore di fronte ad evidenti soprusi, nazionalizzazioni, perdite economiche non resta mai inattivo. Prima vengono attivati i canali di difesa giurisdizionale poi si passa alle vie diplomatiche
Esempio = paesi in via di sviluppo nel secondo dopo guerra quando a seguito della decolonizzazione, coloni se ne sono andati, hanno lasciato sul posto industrie, imprese accompagnato da un pagamento di un indennizzo, ma poveri spesso e non in grado di pagare. Di questo si discusse e si cercò di trovare una soluzione anche in sede di carta dei diritti e dei doveri economici degli stati che fu discussa in sede di nazioni unite. Non si poté giungere ad una decisione diversa da quella secondo la quale il potere di nazionalizzare deve essere considerato quale un corollario naturale della sovranità degli stati perché è inconcepibile pensare che una sovranità possa essere limitata se non da un altra sovranità perché senno non sarebbe sovranità (non esiste uno stato che dice: tu non puoi nazionalizzare, non esiste un potere superiore da poter avere la facoltà di rivolgersi uno stato e decidere cosa deve e non deve fare perché senno non sarebbe uno stato). La sovranità deve essere piena pero allo stesso tempo quindi deve essere corollario naturale quello che i paesi sono ognuno libero di regolare gli investimenti diretti esteri a proprio piacimento. Quindi se uno stato vuole nazionalizzare, nazionalizza. Il problema è che questo principio venne approvato in sede di nazioni unite però ci furono 6 potenze che votarono contro tra cui UK e USA. Quindi il principio che si volle far passare fu quello secondo il quale l’ordinamento internazionale però se da un lato esiste la libertà degli stati l’ordinamento internazionale pone dei limiti all’esercizio del potere di nazionalizzazione degli interessi patrimoniali stranieri.
Cioè quando si può nazionalizzare? Deve avvenire quando si persegue interessi di natura pubblica, lo si deve fare in maniera tale da non realizzare delle discriminazioni e poi nel momento in cui si decide di nazionalizzare, a fronte della nazionalizzazione si deve pagare questo indennizzo. Questo indennizzo deve essere pronto (=in tempi veloci), adeguato (=proporzionale al valore di quello che si va a nazionalizzare) e effettivo (=non deve essere nominale o formale ma sostanziale). Qualora lo stato nazionalizzante si discosti da questi principi cioè dal perseguimento dell’interesse pubblico, della misura discriminatoria, dell’indennizzo del tipo 20% di ciò che vale lo stato di appartenenza dello spossessato potrà sostenere questo suo cittadino/impresa nella reazione collegata all’adozione di tutte quelle che possono essere le misure sopratutto diplomatiche previste dall’ordinamento internazionale. Si può sempre far valere la responsabilità internazionale dello stato nazionalizzante. Si vuole stigmatizzare a livello internazionale un certo tipo di comportamento, in maniera da sottolineare il comportamento non coretto tenuto ma anche funzione dissuasiva. Non si può dire ad uno stato: non si può fare cosi però si può intervenir portando la situazione all’attenzione della comunità internazionale. Finora abbiamo considerato l’ipotesi in cui c’è uno stato ospitante e uno straniero va a fare questo investimento in questo stato. Il problema è quando lo stato in questione, è la controparte contrattuale. Quello che normalmente è un accordo fra privati, diventa un accordo fra privato e stato, ma in questo caso lo stato non opera come soggetto di diritto pubblico (come soggetto pubblico che impone qualcosa) ma opera come contro parte di diritto privato come contro parte contrattuale.
3. GARANZIA DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI: si fa riferimento a quegli strumenti sia di diritto interno che di diritto inter-statale che consentono di trasferire le conseguenze finanziare del cosiddetto rischio politico (rischio-paese). Si vuole fare in modo che se si decide di investire e di assumere il rischio di fare un investimento in un certo paese. Siccome il rischio può essere serio, l’investitore cerca di fare in modo che il rischio si trasferisca su altri soggetti. Soggetti diversi cioè dall’investitore privato in maniera tale che così si incentivano gli operatori ad investire all’estero. Di solito i fattori di rischio sono imputabili a misure statali cioè divieti, restrizioni, misure fiscali e quindi investire in un paese piuttosto che in un altro può essere + rischioso o rischioso.
Come oriento le mie scelte? Ci sono delle agenzie di rating che fanno una sorta di countries ratings, dove riclassificano continuamente i paesi sulla base del quadro politico della situazione economica e finanziaria di ciascun paese. Vengono realizzate da agenzie specializzate. Oltre a questo studio preventivo, può essere utile fare ricorso a delle agenzie specializzate come la SACE, SIMES, MIGA le quali sono delle persone giuridiche di diritto internazionale le quali hanno come funzione quello di assicurare questo rischio. Queste agenzie con operazioni di assicurazione e riassicurazione cercano di garantire l’investitore privato da un rischio di questi fattori. Se lo stato mette a rischio l’investimento, l’investitore dovrebbe agire nei confronti di chi? Dello stato che lo ha danneggiato ma one evitare di perdere tempo in sede legale, diplomatica ecc.. l’investitore attiva la propria assicurazione. L’importante funzione di garanzia che viene realizzata attraverso contratti internazionali di assicurazione da parte di queste agenzie.
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Dettagli appunto:
- Autore: Alice Lacey Freeman
- Università: Università degli Studi di Macerata
- Facoltà: Mediazione Linguistica e Culturale
- Corso: Diritto del Commercio Internazionale
- Esame: Diritto del Commercio Internazionale
- Docente: Fabio Pucciarelli
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