Il ritratto fotografico come entelechia
In un saggio del 1967 Mario Praz vuole dissolvere il pregiudizio che "un ritratto eseguito da pittore sia un'interpretazione e quindi una deformazione, e che una fotografia sia invece obiettiva e dica la verità". Per cui Praz conclude dicendo che, a proposito dei ritratti di Shakespeare o Shelley, "un fotografo avrebbe potuto dare di loro versioni pi˘ saporite, ma difficilmente pi˘ attendibili".
Detto ciò, basta spostare la questione dal fisico al metafisico perchè la differenza tra pittura e fotografia si imponga. Nel ritratto fotografia si realizza un'attendibilità che restituisce il senso di quella vita, di quella storia in entelechia. En e telos significano dentro e scopo, a significare una sorta di finalità interiore. Esso indica uno stato di perfezione, qualcosa che ha raggiunto il suo fine.
La prima idea vaga del ritratto fotografico come entelechia balena a Sciascia leggendo La camera chiara di Barthes. E' un racconto sulla ricerca di un ritratto della madre in un cui si raccolga il significato della sua vita. Trova una fotografia vecchia: "Osservai la bambina e ritrovai mia madre. La luminosità del viso, la posizione ingenua delle mani; l'immagine di una innocenza assoluta.
Barthes scopre la vera immagine di sua madre, tra tante fotografie, nella fotografia di una bambina di cinque anni: una immagine di quando non c'era. L'immagine che lui cercava non aveva nulla a che fare con la sua somiglianza fisica. Era la ricerca di un'entelechia. Tuttavia, la parola entelechia arriva con delle foto di Pasolini. "Entelechia. E subito pensai: un uomo che muore tragicamente Ë, in ogni punto della sua vita, un uomo che morirà tragicamente".
Riprendendo Il libro degli amici di Hofmannsthal, ritrova quella definizione di entelechia. Valery riconosce nel ritratto fotografico un consegnarsi a mano altrui: alla morte, a Dio. E all'ignoto se stesso. Come Barthes: nel ritratto di una bambina, presente, passato e futuro si raccolgono.
Sciascia pensa all'Aleph, che Borges ha inventato come magica contrazione dello spazio e che implicitamente Ë sortilegio di contrazione del tempo. "Il diametro dell'Aleph sarà anche stato di tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto senza che la vastità ne soffrisse". Tra le cose magiche che senza magia conosciamo, vi Ë una analogia tra l'Aleph e l'obiettivo di una macchina.
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Dettagli appunto:
- Autore: Domenico Valenza
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere
- Corso: Lettere
- Esame: Letteratura italiana moderna e contemporanea
- Titolo del libro: Il ritratto fotografico come entelechia e Scrittori e fotografia in Id., Opere1984-1989
- Autore del libro: Leonardo Sciascia, C. Ambroise
- Editore: Bompiani
- Anno pubblicazione: 1991
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