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La fiaba d'autore, Giorgio Cusatelli


L'approccio filologico e comparatistico alla riscritture d'autore delle fiabe popolari, ha contribuito a schiudere ed illuminare le diverse metafore dell'infanzia, insite nelle pieghe dei testi, permettendo di cogliere pienamente l'ingerenza della storia nel congegno narrativo, offrendo la corrispondente documentazione ideologica, rivelando le strutture economiche e sociologiche feudali come scenario di partenza: è il caso della puntuale e affascinante disamina dell'universo alimentare della fiaba d'autore elaborata da Giorgio Cusatelli, Ucci ucci. Manuale di gastronomia fiabesca. L'opera di Cusatelli scaturisce da una attenta comparazione di molti scrittori di fiabe con i rispettivi, differenti agganci alle tradizioni, alla mentalità, al contesto socio – culturale: cibo ammesso, vietato, sognato, cucinato alchemicamente eccetera.
Un sistema di comparazione altrettanto efficace è quello di Jack Zipes sul rapporto tra racconti popolari e fiabe d'autore, sull'appropriazione dei motivi popolari da parte di scrittori aristocratici e borghesi a partire dal 1500, fino a trasformarli in un nuovo genere letterario, con trame e valori in conformità ai conflitti ideologici tipici del periodo di transizione dal feudalesimo al primo capitalismo.
Così un motivo tipico della cultura popolare, i primitivi riti di fertilità in cui giovani uomini e donne erano sacrificati per placare l'ira e l'appetito del drago o del serpente che aveva provocato una carestia o qualche altra calamità, è ripreso nel Settecento nelle molteplici versioni de La Bella e la Bestia, trasformato completamente allo scopo di legittimare il modello di vita aristocratico in contrasto con i valori, ritenuti volgari e inadeguati, della borghesia in ascesa.
L'attenta comparazione e la storia della fortuna del Pentamerone di Basile in area tedesca e in clima romantico, magistralmente sviluppata da D. Richter nei suoi saggi, evidenziano quanto la riscrittura di fiabe tradizionali o d'autore non possa prescindere dall'idea di infanzia e dai princìpi dell'educazione che si insinuano nella scelta del tema, nella sua trattazione, finanche nella decorazione e nei dettagli di ogni attualizzazione del discorso fiabesco.
Nelle undici rielaborazioni delle fiabe di Basile da parte di Clemens Brentano, la concezione della fiaba come storia di bambini ma che fa appello all'ingenuità infantile insita anche nell'adulto, porta alla scomparsa della distanza ironica tra lo scrittore napoletano e i peccerille, seppure destinatari fittizi del suo Cunto, alla soppressione dello specifico storico baroco a favore di una nuova idea di Marchen (racconto folcloristico): l'autore corregge le trame secondo un principio di causalità che è sconosciuto al racconto popolare, associando il concetto di innocenza, rigettando le trovate stilistiche e le contaminazioni dal basso delle composite bizzarrie linguistiche del Seicento, intensificando il Marchenhaft, il meraviglioso irrazionale e la descrizione del desiderio, della sua attesa, nei toni malinconici di una romantica Sehnsucht.
La fiaba, dunque, è il genere narrativo che più è adatto alla manipolazione, alla riscrittura in funzione di una fruizione che privilegia l'inventio lectoris rispetto all'intentio operis. Pensiamo, per fare un ultimo esempio, al Pinocchio di Manganelli, che significativamente chiude dicendo che nessun libro finisce poiché non esistono libri lunghi, ma solo larghi.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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