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L'educazione delle donne: i women's studies


Le più recenti riflessioni sul tema dell'identità sono incentratre sulla critica della secolare tradizione culturale che ha voluto arbitrariamente rappresentare come universale e neutra la soggettività dell'essere umano. Grazie ai women's studies la soggettività è stata finalmente svincolata dalle vecchie forme di determinismo biologico che la considerava storicamente immutabile.
I temi che hanno contribuito ad arricchire e innovare i paradigmi dominanti nella storia sociale dell'educazione sono parecchi: ricostruzione di quanto avveniva, in tempi storici diversi, nella quotidianità degli spazi domestici, da sempre luogo privilegiato dell'educazione delle donne; il fenomeno dell'abbandono infantine visto come specificità di genere; il ruolo delle congregazioni religiose; la storia della scuola vista dal punto di vista femminile; le indagini sugli insegnamenti diffusi attraverso i galatei, i trattati educativi, i programmi scolastici, i libri di testo; i dibattiti sui periodici femminili; l'analisi della coatta equazione tra donna e insegnamento; l'attenzione alla discrepanza tra vissuti imposti e verità autobiografiche confessate.
L'educazione familiare, la scuola e le istituzioni educative hanno svolto un ruolo decisivo nel veicolare stili di vita finalizzati ad avviare bambini e bambine verso destini sociali ed affettivi radicalmente diversi, secondo norme implicite di rappresentazione dell'identità sessuale. Gli studi hanno permesso di restituire alla storia quella parola che per secoli è stata bandita da una prassi educativa fondata sulla svalutazione, non solo pedagogica, della voce femminile. Pensiamo ad esempio alla tradizione giuridica, che per secoli ha giudicato inattendibile la testimonianza di una donna.
Le conquiste ed il ruolo svolti nel Novecento dai movimenti delle donne sono stati definiti da molti l'unica rivoluzione pienamente realizzatasi nel secolo appena trascorso. In realtà c'è un altro grande aspetto poco considerato: il nuovo ruolo della parola femminile nella storia e la sua nuova autorevoelazza nella vita sociale, che rappresenta una radicale inversione di tendenza rispetto ad un costume secolare.
Soprattutto a partire dal primo Novecento è stata la scrittura letteraria, in particolare nella sua declinazione autobiografica, come forma di auto – rappresentazione sottratta ai paradigmi della cultura dominante maschile, a rappresentare uno dei luoghi più significativi di conquista di un diritto di parola su di sé e sulla propria storia. Pensiamo a Ida Baccini, Virginia Woolf, Kate Chopin, Sibilla Aleramo, Marguerite Yourcenar, Simone de Beauvoir.
Nella storia della cultura dominante sono stati molti gli aspetti dell'identità femminile correlati al silenzio. Pensiamo, ad esempio, al rapporto tra parola femminile e desiderio, ben esemplificato dal racconto Prima neve (1883) di Guy de Maupassant. In questo contesto il calorifero assume la funzione di una metafora polisemica: l'irrisolta antinomia tra modernizzazione e ruralità ma anche l'impossibilità di un desiderio declinato al femminile e la fragilità della parola che lo esprime, quest'ultima non sappiamo quanto colta in maniera conscia.
Spesso nei romanzi ottocenteschi il suicidio sembra l'unica petizione di riscatto, mente altre volte è la malattia, in genere la tisi, a trasformarsi in destino biologico ed irrevocabile verdetto morale, come nel caso di Effie Briest, eroina omonima del romanzo di Theodor Fontane. Nel secondo Novecento saranno i women's studies a fornire un'altra testimonianza altamente significativa delle capacità della parola femminile di esprimere un pensiero nuovo sulla società e sulla storia.
Ma anche fuori da dimensioni letterarie e di studio, troviamo numerose testimonianze relative alla fragilità della parola femminile, considerata quasi universalmente inaffidabile. Pensiamo al caso reale di Matilde Manzoni, che nei primi mesi del 1851, ospite della sorella Vittoria in Toscana, scrive un diario che espone in tutta la sua profondità l'io della ragazza e le sue frustrazioni.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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