La sintassi dei promessi sposi - A. Manzoni
La sintassi dei promessi sposi - A. Manzoni
L'incipit dei Promessi Sposi è maestoso, in primo luogo per la sintassi, che qui sembra dar ragione a chi, come Gramsci, giudica per questo aspetto il romanzo definendolo “difficile”. Nel primo periodo il verbo principale (vien... a ristringersi) arriva a ben due righe abbondanti dal soggetto iniziale, e tutto il primo paragrafo si può considerare come un unico periodo, stretto in quanto tale dalla rispondenza chiastica a seni e a golfi / in nuovi golfi e in nuovi seni. Nel secondo paragrafo il soggetto non è chi trova a lunga distanza il corrispondente verbo non lo discerna, e l'intero periodo che lo avvolge contiene tre subordinate implicite (formata, appoggiata, detto) e dopo i due punti, messi a rallentare il periodo, troviamo di fila una consecutiva, una implicita infinitivale, una concessiva, una comparativa, una relativa per chiudersi con una frase complessa arricchita da un inciso.
La sinuosità e abbondanza qui e in seguito della sintassi, che molto probabilmente è anche una mimesi della ricca sinuosità del paesaggio ritratto, è poi continuamente pausata da una punteggiatura estremamente analitica che, mentre sembra alleggerirla, in realtà trasforma frasi e sintagmi in incisi, in rientranze: mimesi nella mimesi.
Ma bisogna pur comprendere che tanta complessità, che nulla ha a che vedere con l'eloquenza, è anzitutto al servizio di una strenua volontà analitica, per dir meglio, di distinzione. Per cui le figure del brano, e un po' sempre di Manzoni, sono le coppie verbali o sintagmatiche di simili, di diversi, di opposti, differenti quanto si può dalle dittologie letterarie, spesso ridondanti, e governate invece dalla logica; si vorrebbe parlare piuttosto di biforcazioni, consone al generale intrico sintattico: a seni e a golfi...; prender corso e figura di fiume...un promontorio a destra...ecc; di nome più oscuro e di forma più comune...lento e continuo; in poggi...in erte e in ispianate...ecc;
Tale sintassi che sceglie nell'apparenza di non scegliere è però anche in funzione del punto di vista, che per la maggior parte delle descrizioni è un punto di vista dall'alto, non si saprebbe se più per scrupolo di oggettività o se perché così guarda l'occhio di Dio. La visione è quella del cartografo o del geologo, non del passeggero o del viandante caro ai romantici, così come aveva già detto De Sanctis.
Il punto di vista iniziale si rovescia solo al par. 5 (alzando lo sguardo, non iscoprite, seconda plurale inclusiva, e quindi allo sguardo e poi contemplate, passeggiate e la serie di vi) ma sempre con preminenza dell'oggetto sul soggetto. Non è un caso che in questi paraggi affiori un'animazione o antropomorfizzazione del paesaggio, che comporta anzitutto un linguaggio metaforico fin lì evitato se non per ironia (accarezzavan... le spalle): correvano (le strade) 5, spunta o sparisce fino allo splendido lucido serpeggiamento. Qui pure si reperiscono due casi di anticipo letterario dell'aggettivo, anche in coppia, rispetto al sostantivo: vasto a variato specchio e il citato lucido serpeggiamento.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
[Visita la sua tesi: "Le geometrie irrequiete di Fleur Jaeggy"]
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia della lingua italiana
- Docente: Gabriella Alfieri
- Titolo del libro: attraverso la prosa italiana
- Autore del libro: Pier Vincenzo Mengaldo
- Editore: Carocci
- Anno pubblicazione: 2004
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