E. R. Curtis e la tradizione della cultura occidentale
Nato nel 1886 a Thann, in Alsazia, fu professore di filologia romanza a Marburgo, Heidelberg e Bonn. Si dedicò particolarmente allo studio della cultura francese e del suo influsso sulla cultura europea. Il suo capolavoro è La letteratura europea e il medioevo latino, in cui indica nel medioevo latino anziché nel rinascimento e nella classicità le fonti di un nuovo umanesimo.
È uno dei capisaldi della storia e della critica letteraria. In esso Curtius proietta uno sguardo al passato capace di abbracciare la lunga tradizione della cultura occidentale, seguendone la continuità, e confrontandola insieme con il presente, evidenziando sia ciò che la minaccia e rivendicando ciò che è utile alla sua sopravvivenza.
Uno dei caratteri principali della tradizione letteraria occidentale è quella di costituirsi entro una civiltà del libro e della lettura, e quindi entro un rapporto tutto particolare con il mondo dato dalla comunicazione letteraria. Il libro infatti crea una comunicazione atemporale che rende presente il passato, in uno scambio sempre libero e attuale anche tra esperienze lontanissime nel tempo e nello spazio, anche nate nei contesti più diversi.
La forza dell’opera di Curtius sta nella sua partecipazione al nuovo senso di rovina che l’accelerazione della modernità fa pesare su questa civiltà del libro. Curtius, del resto, ebbe un legame molto forte con quella letteratura della crisi del secondo Novecento, quella che nell’intera tradizione culturale europea sentiva un forte nucleo di valori e di esperienze, nate sotto il segno dei concetti di “memoria” e “bellezza”, e che si confrontava con la sua possibile fine, sotto i numerosi colpi delle innumerevoli barbarie del XX secolo. Alla luce di ciò si capisce il perché di quel “Letteratura europea” che da il titolo al libro: una letteratura globale, apoteosi della civiltà del libro, eppure analizzata nella sua fine, nella sua condizione postuma, perché la posteriorità è la condizione essenziale dell’epoca di Curtius, il terribile Novecento. Le catastrofi del XX secolo, con le distorsioni e gli orrori reali di cui si compongono, sembrano minacciare effetti analoghi e ancor più devastanti di quelli dati dal crollo del mondo antico, paventando l’avvento di un nuovo Medioevo. Ma il Medioevo seppe ricostruire dalle macerie del mondo antico la grande civiltà del libro e della parola, e un sistema di simboli, valori e categorie che ancora oggi costituiscono l’ossatura della continuità e del valore a fondamenti della unità culturale europea.
È una tradizione che si è sviluppata da una catastrofe, riuscendo comunque ad affermare se stessa, riorganizzando le membra sparse della latinità, che ha offerto ancora per secoli le categorie essenziali per la costruzione dell’uomo, per la definizione dei rapporti col mondo, per la conservazione della memoria, per la ricerca della libertà e della bellezza. La tradizione che si è sviluppata da una catastrofe, si muove tra due estremi: quello del thesaurus e quello della tabula rasa; quello, cioè, dell’ossessione onniconservativa, della cristallizzazione maniacale di ogni esperienza, in modo da congelarla per salvaguardarla dalla minaccia del tempo, e quella della costrizione a ricominciare daccapo, dello sgomento di fronte al vuoto del passato, della spinta a cercare il nuovo e il moderno.
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia della critica e della storiografia italiana
- Docente: Rosario Castelli
- Titolo del libro: I confini della critica
- Autore del libro: Giulio Ferroni
- Editore: Guida
- Anno pubblicazione: 2005
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