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L'astrattismo di Chute de la maison usher - Epstein -




Il film di Epstein è a tutti gli effetti un film astratto, realizzato però non con i materiali della pittura, che danno luogo ad un cinema caleidoscopio, ma con i materiali propri del cinema, le immagini fotogeniche; in questo modo egli realizzava un esempio di cinema puro, in cui i personaggi e la narrazione, più che vivere di vita propria, hanno la funzione, come in una grande macchina cinetica, di tracciare le linee di forza, i percorsi geometrici di un movimento complessivo che è l’immagine di un tutto esorbitante le sue parti, eccessivo, incommensurabile con la narrazione. A questo aspetto simultaneista, che racchiude il film in un’unica, enorme immagine, corrisponde il grande movimento pendolare dell’energia vitale, che è il primus movens della distruzione della casa Usher: a ben vedere non proprio di una distruzione si tratta, quanto piuttosto di una trasformazione energetica, da castello brumoso che domina le vite dei singoli – forma attuale – a smisurato albero della vita – forma potenziale –.
È quello che Deleuze definisce “movimento assoluto”: una macchina gigantesca, assoggettata alle leggi del pendolo, che in un sistema conservativo, non antropico, non cessa di trasformare l’energia cinetica in energia potenziale, e viceversa. È questa la via attraverso cui Epstein trova una sintesi, anzi un’equivalenza, tra il vitalismo della tradizione francese e il macchinismo modernista e di derivazione futurista. Siamo in presenza di quella che Deleuze individua come una caratteristica propria della scuola francese, che fa corrispondere al massimo del movimento assoluto la formula del sublime matematico kantiano: “Il tutto è diventato il Simultaneo, lo smisurato, l’immenso, che riduce l’immaginazione all’impotenza e la confronta con il proprio limite, facendo nascere nello spirito il puro pensiero di una quantità di movimento assoluto che esprime tutta la sua storia o il suo cambiamento, il suo universo. È esattamente il sublime matematico di Kant.”.
Questo grande movimento simultaneo determina però anche uno scarto, un intervallo tra l’apparizione del castello e il suo crollo, intervallo che nel film prende la forma del ciclo o del periodo. In esso prende posto il narrato: è un “presente variabile” che si attua in un ralenti che costituisce comunque il massimo di movimento in una forma infinitamente distesa; ma questo infinito stiramento del presente non fa che ribadire la simultaneità del tutto.
La simultaneità della durata è ribadita anche dalle due serie di immagini degli elementi naturali e della galleria. Per tacitare la propria coscienza narratologica le si può anche pensare come immagini mentali, ricollocandole così nell’alveo del racconto; esse in realtà eccedono il presente variabile della narrazione: immagini di una risonanza del tempo, ne indicano direttamente la materia, la durata. È come se tutta la narrazione quasi collassi in un unico punto, come se tutta la storia di Roderick e Madeline avesse luogo nel tempo di un movimento di foglie spazzate dal vento, dell’oscillazione di un pendolo. Ancora in un’equivalenza di animato e inanimato, di organico ed inorganico, di fisiologico e meccanico, questo respiro ad orologeria, pendolare, non cessa di passare dall’infinito rallentatore dell’anima alla simultaneità del tempo, marcando il ritmo e il senso ultimo del film. Si è cercato qui di restituire alla Maison Usher la valenza di un atto che è cinema come irriducibile superamento del cinema già dato.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
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