Il significato di fotogenia
Si pongono due serie di questioni diverse:
1. riguarda il significato e l’uso di una parola, il suo valore euristico all’interno del discorso sul cinema nella Francia degli anni venti;
2. riguarda, per l’essenziale, che cosa è cambiato dal 1920 ad oggi, cioè quale sia il rilievo e l’interesse della nozione di fotogenia rivista rispetto ai problemi cui cerca oggi di rispondere la teoria del cinema.
Sarà bene partire dalla questione del termine-ombrello: indubbiamente la parola fotogenia ha una diffusione vastissima in tutta la prima metà degli anni venti, ben oltre gli scritti di Delluc; può indicare le qualità compositive, plastiche o luministiche delle immagini cinematografiche, ma anche degli attributi che un’attrice deve possedere per ben figurare sullo schermo; serve a dire ciò che il cinema deve essere, ma anche per indicare il potere di illuminazione di una lampada.
Ci si può però chiedere se esiste un denominatore comune cui ricondurre le diverse accezioni. Epstein si proponeva di chiamare fotogenico ogni aspetto delle cose, degli esseri e delle coscienze che accresca la sua qualità morale attraverso la riproduzione cinematografica; questa definizione è apparsa vaga ed ermetica, soprattutto in ragione del richiamo ad una non meglio specificata qualità morale. Per il momento è interessante notare come la definizione di Epstein si adatti perfettamente a tutti gli esempi di fotogenia appena forniti e che apparivano così diversi tra loro: ciò che in entrambi i casi appare potenziato è il valore intrinsecamente cinematografico.
Fotogenia è dunque un termine-ombrello, una parola alla moda, tuttavia
essa fa riferimento ad un universo discorsivo tutt’altro che
disomogeneo, quello della specificità del cinema, sulla quale è
opportuno fare alcune considerazioni:
a) essa appare, nel periodo di cui ci occupiamo, come la specificità di un arte;
b) la questione su di essa viene posta nei termini di una qualità:
esiste cioè una qualità specificamente cinematografica, che nella sua
accezione più ampia è quella di produrre immagini in movimento,
suscettibile di un accordo con le qualità del materiale riprodotto; il
risultato di questo accordo tra qualità analoghe del cinema e del mondo
non è nient’altro che la fotogenia.
La fotogenia non pertiene agli oggetti del mondo più di quanto non sia
propria del dispositivo cinematografico: essa è una qualità immanente
dell’immagine cinematografica; in realtà non è l’oggetto fotogenia ad
essere misterioso, sono piuttosto le sue leggi, i suoi procedimenti e,
almeno nel caso di Epstein, il suo valore più ampio a necessitare lo
svelamento o quantomeno l’immagine. Adesso, sarà utile chiarire alcune
differenze tra le formulazioni proposte dai principali teorici.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Esame: Semiotica dei media
- Docente: Guglielmo Pescatore
- Titolo del libro: Il narrativo e il sensibile. Semiotica e teoria del cinema
- Autore del libro: G. Pescatore
- Editore: Hybris - Bologna
- Anno pubblicazione: 2001
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