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La scuola di Toledo nel medioevo



La traduzione nel Medioevo si pone con una complessità nuova e assume una importanza assai più grande e generale che nell'antichità. Rinuncia al suo status di attività artistica, e l'importanza del tradurre si lega alla dissoluzione del latino e al contatto con le lingue extraeuropee. In Spagna, dove la fusione tra cultura araba, cristiana ed ebrea sarà condotta con successo, nascerà la prima vera scuola di traduzione: la Scuola di Toledo, diretta da Gerardo da Cremona.
Nel Medioevo la traduzione è strumento principe della predicazione e della cultura cristiana. Nel Medioevo si fissa quella corrispondenza ideale tra parola umana e parola divina che in Girolamo era già implicità: cristianizzare equivale a tradurre; basti pensare al venerabile Beda e Alfric in Inghilterra; a Notker il Balbo a San Gallo; a Cirillo e Metodio nei paesi slavi.
Il diffuso bilinguismo dell'epoca (latino e volgare) fa della traduzione una caratteristica fondamentale della cultura medievale. Uno stato di traduzione orizzontale (sincronica) cui si affianca uno stato di traduzione verticale, dove la lingua massima di partenza è il latino che è un modello ideale per il volgare di arrivo; due assi di traduzione che intersecandosi creano una larga varietà di casi che dimostra quanto poco il Medioevo avesse una idea coerente del tradurre: si va dal rifacimento poetico (Maria di Francia), ai volgarizzamenti didattici alle imitazioni.
Dante nel Convivio sentenzia che la traduzione di una poesia non mantiene lo spirito. Può certo trasferirne il senso (la sentenza) ma non la musicalità. Una teoria che avrà molto seguito. Solo nel romanticismo
si cercherà di passare dalle belle infedeli alle belle fedeli.

Tratto da LETTERATURE COMPARATE di Gherardo Fabretti
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