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La vita di Josè de Espronceda (1808 – 1842)

La vita di Josè de Espronceda (1808 – 1842)


La vita.

Come Larra, anche Espronceda incarna la tendenza più vitale del romanticismo europeo, assumendo la sua stessa vita come materiale di lavoro. Entrato di prepotenza nell’antologia della letteratura con La Cancìon del pirata e Canto a Teresa, non si nascose dietro il passato medievale e cavalleresco, cantando invece la ribellione sociale e l’elegia dell’amore calpestato e perduto. Pur pericolosamente accostato a giganti come Goethe e Byron, Espronceda, nonostante molte liriche mediocri, dimostrò intrepida dedizione al suo progetto e costante volontà di sperimentazione. Ricevette una educazione laica, neoclassica, liberale ed elitaria, risultato della quale furono le centoventisette ottave del poema eroico El Pelayo e il primo scontro col potere assolutista. Sconvolti dall’impiccagione di Riego, Espronceda e amici fondarono una adolescenziale società segreta, Los Numantinos, che gli procurò non pochi guai. Partito in volontario esilio nel 1927, conosce Lisbona, Londra e Parigi, esperienza decisiva che lo portò a leggere e conoscere autori inglesi e francesi, maturando un nuovo modo di essere liberale, vicino al byronismo: arroganza, disperazione e scetticismo. Conosce Teresa e la rapisce al marito, alimentando la sua aura di eroe romantico. Nel 1935 rompe con Teresa  e pubblica El Pirata, partecipando alla lotta contro Mendizàbal e i moderati. È l’anno della desamortizaciòn, motivo, per lui e per Larra, della crisi dell’ottimismo democratico, costringendolo a prendere posizione di fronte al nuovo mondo che nasce, quella della borsa e dell’industria. Un nuovo mondo che lo spinge a chiudere col neoclassicismo, spingendolo a trovare una poesia nuova, con un linguaggio che fosse veicolo della sua protesta e delle sue proposte. Ma anche Espronceda non aveva quell’humus filosofico che tanto gli sarebbe servito, ma creò comunque una poesia ricca di forme metriche, con una vaguedad, un uso crepuscolare e impreciso del linguaggio, una forte apertura semantica, che diede vigorosa voce alla delusione storica dell’epoca.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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