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Il contributo dell'opera di Thomas Guillaume Raynal (1772)


L'opera di Herder, il più famoso allievo di Kant, fu forse la più feroce condanna del coatto sradicamento dei popoli e la più eloquente difesa della particolarità e della dignità di ciascuna cultura. Ma le più fondate critiche del Tardo Illuminismo a questi e a molti altri aspetti del moderno imperialismo europeo sono nell'opera dell'abate Thomas Guillaume Raynal, al quale le parole di Herder devono forse più di quanto non sia ancora stato riconosciuto. La sua Storia filosofica e politica degli stabilimenti e del commercio degli Europei nelle due Indie, fu pubblicata per la prima volta nel 1772 e apparve in forma anonima ad Amsterdam. E ciò la diceva lunga sul radicalismo del contenuto. Divenne presto un best seller già dal titolo, che nella prima parte voleva chiarire il suo essere un'opera storico politica e storico filosofica, e nella seconda parte voleva annunciare una storia che avrebbe trattato delle due parti del pianeta, oriente e occidente, e che avrebbe riunito le due sfere dell'attività coloniale europea in una sola opera, impresa mai tentata prima.
Raynal era un gesuita spretato che a dispetto della vena radicale di gran parte della sua opere, risultava essere un semplice riformatore moderato dai modi di intendere più vicini all'ordine costituito che alla giustizia. L'opera se divenne poi il manifesto della libertà, lo divenne grazie all'ultima versione pubblicata, nel 1780, che vedeva i contributi dei più importanti illuministi dell'epoca, tra cui Diderot. La pochezza morale di Raynal salta infatti fuori leggendo il suo Essai sur l'administration de St Domingue, dove parla della schiavitù come della terribile legge del più forte, senza parlare pro o contro di essa.
Un contributo fondamentale.
L'opera di Raynal era nel contempo una celebrazione degli effetti umani e civilizzatori del commercio internazionale e una condanna dell'avventura coloniale europea. Sia Diderot che Raynal vedevano le due cose come antitetiche. Il commercio poteva avere effetti liberatori non solo per il tipo di attività che rappresentava, ma anche perchè chi la praticava restava legato saldamente alle terre che gli avevano dato i natali. Invece il colono ne era sradicato, e allontanandosi dalla civiltà avrebbero creato solamente società frammentate, instabili e alla fine letali per tutti coloro che sarebbero stati costretti a stabilirvi contatti. Il bersaglio della Hystoire dunque non era tanto il processo coloniale in sé ma l'individuo sorto da quel processo. Per Diderot la decadenza morale dei coloni era l'effetto della decisione stessa di emigrare. Se la civiltà spettava soltanto alle comunità stabili, coloro i quali avevano scelto di abbandonare tali comunità erano senza dubbio esseri di cui non era affatto facile stabilire i connotati di umanità. Diderot ragionava secondo lo schema che l'abbandono della civitas, dello spirito nazionale che si formava e costituiva l'identità sociale di ciascun individuo. E molti sanno che egli dedicò molte pagine a proposito della fragilità umana. Una volta che una persona è separata dalla sua madrepatria, la già labile presa sulla propria interiorità, svanisce definitivamente, spersonalizzandolo. Le spedizioni di lungo corso avevano trasformato gli uomini in una generazione di nomadi selvaggi; gli uomini che visitano troppi paesi finiscono per non appartenere a nessuno. Questi erano i prodotti dei numerosi misfatti della civiltà. Queste creature covavano nel profondo il germe della depravazione, che fiorivano indisturbati nelle colonie. Le società fondate da loro non erano altro che consorzi di gente iniqua. La sola probabile eccezione condivisa da Raynal e Diderot è quella degli inglesi. L'anglofilia che traspare dall'opera è un parto quasi completo di Diderot che vedeva nella società inglese l'unica che si era spinta oltreoceano senza gli impulsi dell'avidità o della sete del'oro, e senza neppure la volontà di imporre la loro fede agli altri. Gli inglesi si erano mossi in cerca di libertà; gli altri erano diventati dei degenerati. Per Diderot non erano mai esistiti governi buoni e governi cattivi; ce n'erano alcuni semplicemente che erano più saggi, semplici e sobri in quanto a costumi e ambizioni. Diderot parla con ammirazione della colonia della Pensylvania, vista addirittura come un modello per la ricostruzione degli stati europei. Gli si potrebbe rinfacciare che anche le colonie non erano state estranee a massacri vari ma teniamo conto che Diderot non era un utopista, semplicemente se non trovava esempio di città ideali, si individuava la migliore di quelle indirizzate in quel verso.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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