Apparire ed essere : Shakespeare e Paolini
Prima venne l'opera teatrale di Shakespeare, poi quella cinematografica di Welles, infine quella di Pasolini, che le contiene entrambe. Ed è da questa che conviene partire per risalire controcorrente le torbide acque del mondo di Otello, fino alla sorgente; acque torbide perché in esse vi si mescolano cinema, teatro, la pittura cerebrale di Velàzquez, l'arte popolare di Totò, il dramma elisabettiano, il teatro epico di Brecht, il teatro dei burattini. Il luogo di questa mescolanza è Che cosa sono le nuvole?, terzo dei sei episodi che compongono Capriccio all'italiana, film del 1968 ma realizzato, in una sola settimana, nel 1967. In realtà il cortometraggio avrebbe dovuto far parte di una serie di dodici episodi con protagonisti Totò e Davoli, mai realizzato per la scomparsa improvvisa di De Curtis, qui interprete del suo ultimo film. L'Otello di Pasolini è teatro (di Shakespeare ma anche dei burattini) nel cinema, un palcoscenico nell'inquadratura. Ma non da subito, non nel prologo, e nemmeno alla fine, nell'epilogo. Prologo ed epilogo fanno da sfondo e cornice ad un'opera dei pupi shakespeariana, mostrando i burattini di dimensioni umane fuori dal palcoscenico, interpreti di sé stessi e contemporaneamente mai dimentichi del tutto del personaggio di cui vestono i panni. Ecco allora Iago, satanico e verde di bile fuori ma buono come il pane dentro, così buono che Otello lo elegge immediatamente come maestro. Notiamo così una doppia antitesi: l'opposizione tra apparire ed essere (presente anche nel testo shakespeariano nei termini di cecità e visione) e il contrasto tra ciò che i burattini sono (o sentono di essere) e ciò che emerge loro malgrado per il testo da interpretare.
Limitatamente alla prima antitesi notiamo come in realtà l'opera di Shakespeare e il corto di Pasolini siano l'una il contrario dell'altro: in Shakespeare appare buono e onesto ciò che è cattivo mentre in Pasolini si vede come chi è cattivo dietro il palcoscenico sia in realtà buono.
Quanto alla seconda antitesi occorre dire che l'esistenza di questi attori di legno e feltro può essere sì autonoma (come di fatto mostra il prologo e successivamente il loro discorrere dietro le quinte) ma non può non risultare condizionata dalla loro memoria letteraria. E non solo in quanto frutto dell'esperienza che spettacolo dopo spettacolo i burattini sono costretti a reiterare come fosse pena infernale. Basti vedere lo sguardo assente di Cassio che all'entusiasmo di Otello di essere al mondo oppone il suo annichilimento. Ma non è solo questo. L'esistenza di questi burattini è piuttosto il prodotto di un corpo a corpo, di un conflitto, tra ciò che essi sono o vorrebbero essere e la letteratura di cui sono emanazione. Una memoria inconsapevole dunque, principalmente letteraria, la quale per manifestarsi ha compiuto un lungo viaggio, di secoli di scrittura, di parole d'inchiostro, di voce e di luce. La parola scritta di Shakespeare e quella guardata di Welles. Iniziamo dalla prima, alla luce del film pasoliniano.
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia e critica del cinema
- Docente: Stefania Rimini
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