I molteplici schemi della apocrifia del canzoniere di Ermanno Raeli
Dalla prima stesura del romanzo alla prima edizione a stampa, e poi alla seconda stampa successiva, danno riferimenti biografici ogni volta incerti e frammentari, difficili da ricondurre ad una storia compositiva unitaria, sia che la si voglia costruire seguendo la linea fantastica del personaggio Ermanno Raeli, sia che si voglia seguire la linea delle esperienze reale di De Roberto.
È necessario, dunque, ricostruire i due percorsi, dalla loro iniziale autonomia fino alla loro confluenza unitaria nella cornice della costruzione fantastica dell'ultima redazione del romanzo; solo così daremo corpo e identità al canzoniere di Ermanno Raeli, che si rivela per quello che è: strumento prima accessorio e poi fondamentale della vicenda narrativa. Urge dunque una lettura obbligata: il progressivo allontanarsi di ciascun componimento o gruppo di componimenti dalla effettiva occasione della sua creazione (quindi dal suo VERO autore e dal suo VERO tempo) alla loro collocazione, in fasi e modi diversi, nella costruzione del romanzo, con una paternità e una fisionomia nuova. Sullo stesso componimento finiscono per incrociarsi elementi autobiografici ed elementi fantastici, apparentemente discordanti e contraddittori, che la ricostruzione affidata alla seconda Appendice del romanzo, comparsa nell'edizione del 1923, mette insieme e compone in un quadro unico, anch'esso pieno di pause, reticenze ed esitazioni. Queste reticenze ed esitazioni derivano in parte dal nuovo autore (non più De Roberto compositore delle poesia ma Ermanno Raeli), a cui viene attribuita una vita travagliata e drammaticamente convulsa e a cui vengono attribute poesie che erano, in realtà, nate in situazioni contemplative, o per ispirazione autonoma (quelli originali) o per simpatia (le traduzioni). Questo reimpiego delle poesie comportava una collocazione sensata, una storicizzazione, nel sistema narrativo del romanzo, e De Roberto gliela dà, a larghi tratti e sommariamente, in fasi sucessive. Ma le reticenze di cui si parlava prima derivavano anche, in parte, dagli stessi ripensamenti di De Roberto, che ripudiava quelle che dovevano essere prove poetiche giudicate infelici per resa formale o incoerenti per collocazione temporale.
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