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Lesioni da arma bianca: Ferite da punta e taglio


Sono rappresentate da soluzioni di continuo della cute e dei tessuti circostanti provocate da strumenti dotati di estremità acuminata e di almeno un filo tagliente.
Questi possono essere tipici (spade, pugnali, coltelli da cucina, ecc…) oppure atipici (schegge di vetro, frammenti ossei appuntiti e taglienti, ecc…).
Il meccanismo lesivo si attua attraverso la contemporanea azione penetrante della punta e recidente del filo tagliente.
Le caratteristiche morfologiche principali sono:
a. nettezza e irregolarità dei margini;
b. divaricazione degli stessi;
c. prevalenza della profondità rispetto alla lunghezza;
d. presenza di un’estremità acuta della ferita: corrispondente al filo tagliente dello strumento; e di un’estremità relativamente mussa: corrispondente al dorso della lama; se la lama è bitagliente, entrambe le estremità della ferita sono ad angolo acuto.
La forma della ferita dipende dal movimento impresso all’arma della penetrazione o nella estrazione.
Una lesione a stampo è osservabile eccezionalmente solo quando il mezzo entra ed esce dalla cute senza che si produca alcuno spostamento sull’asse di penetrazione.
Ciò avviene ben di rado: più spesso, nella fase di estrazione, la lama si fa strada sulla parte del filo tagliente, e a causa degli spostamenti trasversali che subisce, la ferita risulta in definitiva più lunga rispetto alla larghezza della lama.
Lo strumento da punta e taglio non divarica, ma recide.
Il tramite non corrisponde quasi mai all’asse maggiore della lama; è più lungo se la parte colpita è cedevole (come l’addome), più corto se l’arma incontra resistenze ossee, ove si possono formare intaccature a stampo.
L’eventuale lesione di uscita quale si osserva nelle ferite trapassanti, è in genere di dimensioni minori rispetto a quella di ingresso, in quanto prodotta dall’estremità dello strumento di norma a sezioni inferiore rispetto al resto della lama.

Tratto da MEDICINA LEGALE di Stefano Civitelli
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