I riflessi della l. 353/90 sugli interventi
La novella del 1990 è destinata a fare sorgere problemi riguardo alla disciplina degli interventi:
Riguardo all’intervento volontario l’art. 268 c.p.c., dopo aver stabilito al primo comma che il termine ultimo per l’intervento è quello della precisazione delle conclusioni (manifestando con ciò un chiaro favor nei riguardi dell’intervento), al secondo comma dispone: “il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte”.
Allo scopo di evitare che un intervento “tardivo” del terzo stravolga il regime di preclusioni previsto per le parti, l’art. 268 c.p.c., se da un lato consente in astratto che il terzo possa intervenire volontariamente durante tutto il corso del giudizio di primo grado, dall’altro lato costringe il terzo ad accettare il processo nello stato di avanzamento in cui si trova.
Ciò significa che lo stato di avanzamento del giudizio di primo grado:
- può impedire l’intervento al terzo che, affermando di essere titolare di un diritto autonomo e incompatibile con quello oggetto del processo originario, voglia far valere tale suo diritto allo scopo di prevenire il formarsi di un giudicato inter partes che, pur non potendo avere efficacia giuridica nei suoi confronti, possa pregiudicarlo a causa della situazione di oggettiva incertezza in cui pone il diritto di cui egli si afferma titolare o a causa dell’eventuale esecuzione;
- non impedirà ai terzi creditori e aventi causa soggetti all’efficacia riflessa della sentenza che va ad essere emanata nel processo pendente inter partes, di intervenire nel corso del giudizio di primo grado, ma potrà impedire loro l’esercizio di qualsiasi attività difensiva diversa dalla proposizione di eccezioni rilevabili d’ufficio; in particolare potrà impedire loro esercizio di qualsiasi potere istruttorio;
- può impedire, nel caso che un diritto sia stato legittimamente fatto valere da alcuni contitolari, l’intervento degli altri contitolari, i quali intendano far valere in giudizio, contro il convenuto originario, lo stesso diritto allo scopo di prevenire il rischio (ed i danni) derivanti anche dalla mera possibilità del formarsi di giudicati praticamente contraddittori sullo stesso diritto di cui si affermano contitolari;
- può impedire l’intervento al terzo che, affermandosi titolare di un diritto connesso per mezzo entità di fatto costitutivo (un fatto costitutivo o causa petendi) con il diritto oggetto del processo originario, voglia far valere tale suo diritto in via di intervento nei confronti di una sola delle parti originarie, in funzione prevalente di economia di attività processuali (solo in questa ipotesi le limitazioni del potere di intervento non sembrano porre problemi).
Continua a leggere:
- Successivo: Chiamata in causa su istanza di parte: artt. 167 e 269 c.p.c.
- Precedente: L’intervento “iussu iudicis” nel corso del giudizio di secondo grado
Dettagli appunto:
-
Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto processuale civile, a.a.2007/2008
- Titolo del libro: Lezioni di diritto processuale civile
- Autore del libro: A. Proto Pisani
Altri appunti correlati:
- Diritto processuale penale
- Diritto processuale civile
- Lezioni di diritto processuale civile - prima parte
- Diritto processuale civile
- Procedura civile
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- Le preclusioni nel nuovo processo civile. Confronto tra processo ordinario e processo del lavoro
- L'attuazione degli obblighi non pecuniari. L'astreinte italiana nel sistema delle tutele
- Sequestro probatorio e processo penale
- Gli anni settanta e il diritto del lavoro
- I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c.
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.