La disciplina del nome di famiglia negli USA
Nel caso degli Stati Uniti d’America, si era affermata una regola consuetudinaria, secondo cui la moglie ricorreva al cognome del marito in tutti i documenti legali, principio talmente radicato nell’ordinamento, che era vincolante per le eventuali decisioni giurisprudenziali in materia.
Famoso, a questo proposito, è stato il caso Forbush contro Wallace del 1971, in cui si trattava di una donna che era stata obbligata ad usare il cognome di suo marito per ottenere la patente di guida; il soggetto interessato, invece, riteneva di potersi firmare con il proprio cognome. I giudici ritennero che questa richiesta non potesse essere avanzata, in nome di una legge secondo cui sulla patente delle donne sposate doveva essere trascritto il cognome del marito.
A questo punto, la donna si appellò contro la presunta incostituzionalità di questa discriminazione, ma il suo ricorso fu respinto, avendo il tribunale dichiarato che la disposizione in oggetto aveva un fondamento nazionale consuetudinario. Secondariamente, l’adeguamento a questa regola razionale da parte di tutti gli uffici competenti era stato per anni e sarebbe continuato ad essere una convenienza amministrativa: nel caso in cui fosse stata modificata la formulazione della disciplina in proposito, ne sarebbe derivato uno scompiglio organizzativo senza paragoni.
Già da molto tempo erano state sollevate insistenti obiezioni da parte dell’opinione pubblica e, in particolare, nell’Ottocento una certa L.Stone aveva cercato, in ogni modo, di opporsi; da quel momento, negli Stati Uniti d’America erano state fondate varie associazioni, allo scopo di consentire alla donna l’assegnazione del proprio cognome, anche dopo il matrimonio.
A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, finalmente si ottennero i primi risultati anche in via giurisprudenziale.
Il 1975, ad esempio, fu l’anno del caso Dunn contro Palermo, in cui l’avvocatessa Palermo aveva deciso di ricorrere, nella sua attività professionale, al proprio cognome da nubile, anche dopo essersi sposata; comunicando all’anagrafe il suo cambio di residenza, quindi, impose che fosse trascritto il nome della famiglia d’origine.
Per la prima volta, i giudici accolsero questa richiesta ed ammisero che il common law effettivamente aveva creato questa consuetudine, che, tuttavia, la donna aveva la facoltà di non rispettare.
Nonostante questa innovativa modalità di orientamento giurisprudenziale, la prassi ed il costume sociale americano non sono state modificate in maniera radicale, in quanto tra il 90% o il 95% delle donne statunitensi è ancora prevalente, se non esclusiva, l’abitudine di nominarsi con il cognome del marito, quasi ad indicare un simbolo di status sociale, prima ancora che di subordinazione.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Corso: Giurisprudenza
- Esame: Sistemi Giuridici Comparati
- Docente: Palici Di Suni
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