Affrontare il razzismo negli Stati Uniti
Gli individui, che condividono alcuni peculiari caratteri somatici (di cui il più rilevante è il colore della pelle) ed alcune ricorrenti regole di comportamento, per ragioni storiche, sono stati raggruppati in razze, cui si è attribuita un'identità collettiva e sociale, dettata dalla Natura stessa, piuttosto che dal pregiudizio umano. Non è quindi possibile riferirsi alla "superiorità" o "inferiorità" di una razza rispetto ad un'altra, poiché ciascuna si è adattata ad un determinato ambiente, ma ciò non esclude la sua capacità di adeguarsi a qualunque altra cultura, non essendo finora risultate differenze a livello di intelligenza fra i gruppi umani.
La razza, tuttavia, consente l'utilizzo di queste caratteristiche fisiche e morali, quale espressione di significati sociali, che spesso assumono nel tempo un carattere stereotipo e deleterio per un rapporto egualitario tra le diverse etnie.
Nel momento in cui l'evoluzione di queste convenzioni umane diviene eticamente sconveniente, il livello mentale cosciente le trasferisce e le affonda nell'inconscio, ove la tendenza razzista continua a plasmare il comportamento degli individui, che la manifestano apertamente nella discriminazione.
Senza dubbio, quest'interpretazione equivoca della suddivisione etnica ha intriso un'ampia parte della storia culturale americana e ne ha soggiogato, di generazione in generazione e sempre più marcatamente, le principali linee di pensiero filosofico e sociale riguardo al valore dei neri.
In particolare, il presidente degli Stati Uniti Lindon B. Johnson, a seguito dei violentissimi scontri razziali scoppiati nell'estate 1967 (se n'annoverano 160 in soli nove mesi, di cui i più drammatici avvennero a Detroit e New York con l'omicidio di 68 neri), convocò un'autorevole Commissione Nazionale, allo scopo di indagare sulle cause scatenanti degli incontrollabili disordini civili.
Il rapporto finale, pubblicato nel marzo 1968, stabilì che la motivazione generale non andava ricercata nel crescente tasso di disoccupazione, né nell'eccessivo sfruttamento dei lavoratori, come si sarebbe potuto ipotizzare in base al tumultuoso panorama mondiale contemporaneo.
Al contrario, si riscontrò che soltanto il «razzismo bianco, l'insidioso e penetrante senso dei bianchi dell'inferiorità dei neri» aveva scosso tanto disastrosamente l'opinione pubblica; per questo motivo, la Commissione Nazionale biasimò la società bianca, rimproverandole che «ciò che gli Americani bianchi non hanno compreso realmente è che…le istituzioni bianche hanno creato il ghetto, lo mantengono e la società stessa lo assolve».
In seguito a questa dichiarazione deliberatamente infamante e provocatoria, in America non è più lecito dichiarare in pubblico l'inferiorità della razza nera, ma, anche se da allora la maggior parte dei bianchi è convinta di non essere più razzista, la realtà dimostra il contrario; di conseguenza, è ragionevole definire questa convinzione inconscia come un rifiuto patologico di massa verso il fenomeno discriminatorio.
L'individuo di colore, in qualunque bianco si imbatta, nota paura e diffidenza nei suoi confronti e si sente sottovalutato ed umiliato, nonostante i suoi indiscutibili talenti; per questo motivo, è pienamente consapevole di essere un "problema" per la maggioranza della popolazione americana, ormai tradizionalmente organizzata in due società svincolate ed antagoniste: la bianca e la nera.
Infatti, nonostante la maggioranza bianca reputi equa e doverosa una parificazione dei diritti civili tra le razze, i due terzi di essa considerano una prerogativa irrevocabile l'allontanamento della minoranza di colore dall'area residenziale bianca.
Secondariamente, pur predicando la pari dignità morale e culturale di tutti gli uomini, l'opinione pubblica giudica i soggetti neri meno diligenti e più pigri di quelli bianchi; dati statistici accreditabili dimostrano che il 30% dei bianchi attribuisce le cause delle pessime condizioni di vita dei neri alla dilagante povertà, mentre il restante 64% alla loro incapacità di gestione del patrimonio.
Quale ulteriore aggravante discriminatorio, i mezzi di comunicazione di massa, che da sempre svolgono un ruolo essenziale nella trasmissione delle convenzioni sociali, hanno volutamente trascurato la rieducazione dell'inconscio collettivo americano e, nel timore di perdere audience, hanno ancor più alimentato le già invasive tendenze razziste.
Anteponendo il proprio interesse alla responsabilità morale, gli stessi mass media, quindi, si sono rivelati affetti dalla cosiddetta "Sindrome di Pompeo"; questa denominazione risale ad un aneddoto tratto da "Antonio e Cleopatra" di Shakespeare, in cui un luogotenente si rivolge a Pompeo, che ha appena ottenuto il controllo dei mari, e gli chiede il permesso di tagliare la gola ai nemici. Il comandante risponde come segue: «Avresti dovuto farlo e basta, senza chiedermi il permesso; se io ti dicessi di farlo sarebbe un'infamia, mentre se tu lo facessi sarebbe un buon servizio…Se lo avessi fatto a mia insaputa, in seguito mi sarei compiaciuto della tua azione, ma adesso ti devo condannare…».
Senza dubbio, queste parole esprimono un'ottima interpretazione anche dell'ipocrisia e dell'arrivismo contemporanei, per cui, pur di conseguire scopi alquanto meschini, la discriminazione razziale è ignorata, evitando volutamente un confronto a viso aperto sulle problematiche che ne derivano nel contesto sociale.
A questo proposito, è utile analizzare quello che la televisione americana, così come i più autorevoli quotidiani ad ampia diffusione, definisce il "problema della criminalità nera", definizione intrisa di un'evidente impronta pregiudiziale: qualsivoglia delitto, se commesso da un bianco, è menzionato come un episodio a sé stante e a capo di un singolo delinquente, mentre, se compiuto da un nero, è subito catalogato come rischio per l'intera società, essendo attribuito ad un individuo appartenente, sin dalla nascita, ad una cultura dai principi fondamentalmente insani e criminosi.
Le seguenti ricerche statistiche, al contrario, evidenziano che più del 75% degli atti criminali è riconducibile ai bianchi, una realtà di fatto che non sradica affatto le convinzioni discriminatorie degli stessi agenti di ordine pubblico durante le indagini.
Ad esempio, nonostante il tasso percentuale del possesso di sostanze stupefacenti ammonti solo al 14% tra i neri, la polizia identifica abitualmente il consumatore o spacciatore medio di droga in un delinquente nero: in particolare, annualmente i negri costituiscono il 35% dei fermi per possesso droga, il 55% dei condannati per uso, il 64% degli incarcerati per eccessivo possesso.
In realtà, un sistema di Giustizia più imparziale, semplicemente analizzando le ricerche via internet, potrebbe accertare che più del 74% dei consumatori di droga è di razza bianca e che il numero degli adolescenti inclini alle droghe legali supera del doppio quello dei coetanei neri (rispettivamente, per la marijuana del 100% in più e per la cocaina del 160% in più).
Così, sarebbe anche opportuno sottolineare che il fenomeno dell'alcolismo, diffuso nei college, ha in media un'incidenza tre volte superiore tra gli studenti bianchi; questa constatazione spiega la ragione per cui i principali responsabili delle risse negli incontri di football americano siano adolescenti non di colore.
Un ennesimo e sconvolgente esempio di discriminazione razziale è attestato da uno studio condotto su un centro urbano di vasta dimensione; è stato rilevato che le vittime degli omicidi ivi commessi dai bianchi erano per il 75% appartenenti alla minoranza di colore: la polizia locale, nella maggior parte dei casi, ha lasciato indenne e libero il colpevole.
Nella realtà quotidiana americana, "essere nero" è sinonimo di misera disuguaglianza economica e sociale, specialmente nell'ambito delle attività lavorative e dell'accesso al capitale pubblico, della residenza abitudinaria e dell'istruzione scolastica.
Le statistiche annuali rilevano che le ore di servizio prestate da un soggetto nero non corrispondono all'esiguità della paga salariale: il suo guadagno di 730 $ è, infatti, l'equivalente oggettivo di 1000 $ incassati da un individuo bianco.
Essendo sottovalutata e diffidata per le scarsità di abilità e competenze tecniche, la minoranza di colore ricopre, inoltre, soltanto il 3% dell'area occupazionale relativa alle carriera medica e forense, contrariamente alla maggioranza bianca che annovera più del 57% delle attività dirigenziali nelle maggiori compagnie statunitensi.
Di conseguenza, la restante forza lavoro nera è impegnata nel 25% delle attività domestiche statunitensi e nel 30% di quelle manuali, percentuali molto consistenti, se si considera che questo gruppo etnico rappresenta soltanto il 12% della popolazione intera.
Infine, si constata che, parallelamente a questa disparità di trattamento, il tasso di disoccupazione in capo ai neri è tre volte più consistente di quello dei bianchi.
Considerando ora le condizioni di domicilio nero, è innegabile che nessun gruppo etnico, durante l'evoluzione storica americana, non ha mai sperimentato una così rigida ed umiliante segregazione urbana: oggi, infatti, più del 75% della popolazione nera risiede in quartieri isolati; questa ghettizzazione non ha che frenato le già sporadiche possibilità di integrazione politica e culturale.
Senza dubbio, la gravità del fenomeno è il risultato di un graduale, ma inarrestabile isolamento razziale, che nel 1890 interessava solo il 7% dei negri; tuttavia, già nel 1940, il tasso percentuale era superiore al 32%, finché, nel 1970, per l'influenza esercitata dalle politiche locali e federali, a loro volta condizionate dalle contemporanee violenze e pressioni sociali, l'istituzione dei ghetti neri è stata definitivamente sancita, quale premessa alla situazione attuale.
Delineando infine il quadro generale dell'educazione elementare e secondaria, è indiscutibile che le opportunità a disposizione degli studenti di colore sono notevolmente inferiori a quelle dei bianchi; le scuole dei neri, infatti, scarseggiano di adeguato personale competente e delle indispensabili misure di sicurezza e manutenzione edile.
Essendo, anche in questo ambito, enfatizzata una loro presupposta inferiorità culturale, gli insegnanti si aspettano a priori uno scarso rendimento scolastico dagli adolescenti di colore, che spesso, per questa stessa ragione, sono assegnati alle trascurate cure di classi ad hoc; ne consegue che il livello dei risultati accademici da loro raggiunto è così mediocre che più del 40% del corpo studentesco nero, a differenza del solo 10% dei coetanei bianchi, è virtualmente analfabeta.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Corso: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Pubblico comparato
- Docente: Palici Di Suni
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