Management e controllo delle aziende sanitaria :
Appunti - completi di esempi, casi aziendali, analisi del contesto esterno di riferimento - delle lezioni del corso di laurea magistrale di Strategia e politica aziendale.
Il corso è volto a definire e argomentare l'evoluzione nel tempo del SSN e del SSR, le successive differenze nei modelli regionali che si sono create; successivamente si definisce l'analisi e la valutazione delle performance delle aziende sanitarie, le modalità di redazione del bilancio d'esercizio con particolare attenzione al trattamento contabile delle poste di bilancio peculiari a questa realtà.
A.A. 2019/2020
Dettagli appunto:
- Università: Università degli Studi di Pisa
- Facoltà: Economia
- Corso: Economia Aziendale
- Esame: Management e controllo delle Aziende Sanitarie
- Docente: Simone Lazzini
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Management e controllo delle aziende sanitarie Appunti di Martina De Luca Università: Università degli Studi di Pisa Facoltà: Economia Corso di laurea magistrale in Economia aziendale; Strategia management e controllo, costi performance Esame: Management e controllo delle Aziende Sanitarie Docente: Simone Lazzini Anno Accademico 2019/202028.2 La salute come bene è fortemente correlata al benessere del paese, infatti possiamo notare che dal 1960 al 2000 si è avuto un aumento dell’aspettativa di vita nei paesi più sviluppati. La salute è fortemente correlata alla disponibilità di risorse. Se pensassimo che la salute non avesse un tetto di spesa, allora la situazione sarebbe abbastanza semplice: qualsiasi bisogno troverebbe immediata risposta. Nella realtà però non è così, ogni stato ha un tetto massimo di risorse da destinare alla sanità: c’è scarsità di risorse. Qui nasce il primo problema di gestione della sanità perché il primo problema che ci dobbiamo porre è come gestire nel modo migliore le risorse che abbiamo per garantire la tutela della salute, qui nasce il problema manageriale. Se il problema è come gestiamo e come eroghiamo il servizio è necessario capire una serie di cose: 1. Le caratteristiche degli erogatori in ambito sanitario, qual è l’approccio economico aziendale che possiamo dare 2. Quali sono i modelli di gestione della sanità che ci sono nel mondo, in particolare come i connotati della gestione manageriale cambiano in funzione del modello scelto 3. Evoluzione storica in Italia Il tema della gestione della sanità è tutt’oggi in continua evoluzione e c’è un continuo dibattito sulla regionalizzazione della sanità e su come questa viene gestita. AZIENDALIZZAZIONE Tema che caratterizza la sanità. È un concetto ampio che ha origine nel paradigma del New Public Management: questa è una corrente di pensiero che si è sviluppata negli anni ’80 in Inghilterra che parte dal presupposto che si doveva risolvere il problema per cui le imprese pubbliche apparivano e/o erano meno efficienti delle imprese private. La Tatcher con il questa nuova politica del NPM propose di ovviare a questo problema facendo in modo che le competenze dei manager pubblici potessero essere simili/assimilabili a quelle dei manager privati. Concretamente ci fu un’enfasi strumentale verso gli adottati gli strumenti di pianificazione gestionale tipicamente privati (budget, report, previsione, …). Dietro a questo approccio strumentale si reggeva un approccio ideologico sulle modalità di conduzione dell’azienda: si deve far riferimento all’oggetto dell’azienda, ovvero all’unico fine di qualsiasi unità economica cioè l’equilibrio economico a valere nel tempo. Si ritorna quindi alla definizione di Giannessi del sistema di azienda, per la quale ciò che conta è la finalità dell’equilibrio economico a valere nel tempo che qualsiasi organizzazione privata o pubblica deve avere. Da qui si può evidenziare la perfetta sintonia con il concetto del NPM e per la prima volta venne ipotizzata la gestione delle aziende pubbliche con gli stessi criteri delle aziende private. Infatti, alla fine, non c’è differenza: tutti hanno lo stesso fine ovvero perdurare nel tempo. Prima di questa impostazione aziendalistica il mondo era diviso in due grandi elementi: - Le aziende private con finalità di lucro, quindi che devono non solo creare utili ma crearli per una misura tale da garantire anche la remunerazione dei soci e degli investitori - Le amministrazioni pubbliche, concepite come aziende di erogazione che non avevano finalità di lucro e che potevano avere delle perdite. Tale perdita doveva essere tollerata da sistema in ragione della presunta finalità sociale per cui tali perdite erano state generate Dal nuovo punto di vista questo è totalmente sbagliato. Il nuovo concetto di organizzazione e di azienda parte dal presupposto che nessuna di queste può permettersi di essere in perdita indipendentemente dal fatto che sia pubblica o privata: ci deve essere sempre la ricerca dell’equilibrio economico durevole nel tempo. Nelle aziende pubbliche se questo non succede e gli esercizi chiudono sempre in perdita si ha che ne risente la collettività. Le perdite generate da un lato danno un ipotetico beneficio ma da l’altro deturpano la ricchezza della collettività: il maggior beneficio pubblico non è sufficiente a compensare i danni economici che produce. Qui si fonda l’idea del NPM: le pubbliche amministrazioni devono essere in equilibrio economico e per fare questo sono necessari strumenti idonei a consentire la commisurazione di tale equilibrio, ma anche degli strumenti che riguardano le modalità con cui si gestiscono i servizi. Ciò ha implicato non solo l’adozione degli strumenti privatistici per la gestione ma anche l’adozione di tecniche di gestione precedentemente utilizzate solo tra aziende private quale l’esternalizzazione di attività. Non è necessario fare tutto all’interno, ciò che non crea valore può essere esternalizzato in modo che l’azienda pubblica possa concentrarsi meglio sulla creazione del valore. Per noi quindi parlare di management pubblico vuol dire concepire “l’azienda ospedale” come un’azienda vera e propria con tutti i crismi dell’azienda privata, che sono: - L’ordine di composizione - L’ordine combinatorio - L’ordine sistemico In abito sanitario ci sono alcune definizioni. La sanità è un sistema di servizi. Questo può essere spiegato dal fatto che quando facciamo riferimento alla sanità non ci si riferisce ad un solo servizio, ma ad un insieme di servizi molto eterogenei tra loro. Ad esempio, nelle ASL ci sono i servizi veterinari, le attività di prevenzione, le degenze per acuzie, attività di controllo nelle attività commerciali, …. Sono tanti servizi perché in Italia la salute viene vista come elemento sistemico, complessivo. L’azienda, anche se è sanitaria, ha un contatto con la collettività che è strumentale. Vuol dire che “l’azienda” è lo strumento migliore e più efficace per fornire servizi anche se pubblici. Un terzo elemento caratterizzante la da la definizione di Borgonomi. Si deve fare attenzione quando si parla di vincoli e di finalità economica. Una cosa è dire che le strutture devono essere in equilibrio economico, una cosa è accertarne e accettarne una preminente funzione di remunerazione dei costi. L’obiettivo in ambito sanitario è la tutela della salute, nel gestire questo si deve utilizzare le risorse nel modo migliore. Il nostro obiettivo non è ridurre i costi, se lo facessimo potremmo circoscrivere l’attitudine dei servizi a soddisfare un certo bisogno tanto da perdere di vista l’obiettivo primario della tutela della salute. L’elemento principale di attenzione non deve essere il costo: se l’elemento preminente diventa il costo della sanità (il governo può anche decidere di ridurre questo costo globalmente del 50%) e vengono ridotti i costi si va anche a ridurre la capacità e l’attitudine di questo sistema ad assolvere alla tutela della salute. Le risorse destinate alla salute dallo stato hanno una certa entità perché si ritiene che tale entità sia il minimo sufficiente e necessario per garantire tale servizio. Al di sotto di tale entità di risorse si rischia di compromettere l’attitudine a soddisfare i bisogni. In questo ambito le risorse non sono il fine, sono il mezzo. Queste le dobbiamo controllare per capire quanto ci costa in modo da gestire meglio il servizio: l’obiettivo non è ridurre i costi ma garantire la tutela della salute. Quindi teoricamente anche se si spende di più ma si riesce a garantire meglio la tutela della salute, va bene. Entrano in gioco tre concetti che sono imperversati nelle pubbliche amministrazioni e sono diventati come un mantra: 1. Efficienza 2. Efficacia 3. Economicità La prima norma che ha introdotto l’aziendalizzazione è stata la legge 142/1990 che disciplinava gli enti locali. Tra i primi articoli si sancisce che “gli enti locali conformano la propria gestione sui principi di economicità, efficienza ed efficacia”. Questo è stato sintetizzato nel modello che l’aziendalizzazione deve voler dire efficienza, efficacia ed economicità. EFFICACIA DI UN SERVIZIO PUBBLICO Un servizio pubblico è efficacie quando soddisfa il bisogno per cui è stato istituito. Se noi cittadini finanziamo un servizio con le imposte e tasse, ci aspettiamo che questo ci soddisfi. L’efficacia è l’attitudine di un servizio di soddisfare un bisogno EFFICIENZA DI UN SERVIZIO PUBBLICO Si fa riferimento all’utilizzo razionale delle risorse. Si ragiona in termini comparativi: una cosa è più efficiente di un’altra se a parità di output ottenuti utilizza meno input, o a parità di risorse genera più output ECONOMICITA’ DI UN SERVIZIO PUBBLICO È la conseguenza economica, la sintesi del perseguimento dell’efficienza e dell’efficacia. Un servizio è economico quando è al contempo efficacie ed efficiente. Non è una terza dimensione da cercare di ottenere: ciò che si deve ottenere è l’efficacia e l’efficienza nei servizi offerti, se si riesce in questo allora si raggiunge l’economicità. Un servizio è più economico di un altro se è in grado di erogare dei livelli di efficacia ed efficienza più elevati. Essere più economico non vuol dire che deve costare meno, una cosa è considerata economica anche se a fronte di un costo maggiore risolve un problema sociale precedentemente irrisolto o solo parzialmente risolto. Quali sono state le risposte alla gestione della sanità che si sono affermate negli anni? Si sono susseguiti diversi modelli sanitari. I modelli sanitari sono la risultante di alcune scelte, si fa riferimento a ciò che esiste oggi. Visto l’esigenza di tutelare la salute, visto il problema di gestione delle risorse scarse, visto che l’aspetto fondamentale è la tutela della salute e del beneficio che da essa traiamo, ci sono state delle risposte che si possono sintetizzare in dei modelli. SISTEMA DI WELFARE STATE È una delle risposte al problema di gestione della sanità. Sistema attualmente presente in Italia. In questo sistema non c’è alcuna correlazione con il contributo che l’individuo fornisce al finanziamento del sistema e la fruizione del servizio stesso. Questo vuol dire che ciascun cittadino o lavoratore riconosciuto finanzia il sistema attraverso il pagamento delle imposte, quindi ciascun cittadino non finanzia direttamente il sistema ma attraverso il pagamento delle imposte: le imposte confluiscono nel sistema, alimentano il gettito, il gettito poi viene allocato dal governo al servizio sanitario. Quindi a prescindere dal fatto che si goda o no di una prestazione sanitaria, il cittadino finanzia: le imposte vanno pagate anche se non si fruisce del servizio. Il finanziamento della collettività è del tutto scollegato dall’avvenuta fruizione del servizio: il welfare state si basa proprio su questo. Ad esempio, in questo modello per la determinazione dei posti letto si fa una proporzione di un posto letto ogni 1400 cittadini: ci si basa sull’idea che non ci sarà la fruizione contestuale di tutti i cittadini. In situazioni di emergenza sociale può verificarsi il problema che il picco di domanda non possa essere soddisfatto dall’offerta. L’obiettivo di questo sistema, ciò che ci si aspetta da questo è che ci debba essere un requisito fondamentale cui il sistema sanitario debba assolvere: l’accessibilità alle cure. Generalizzazione delle cure: tutti hanno diritto ad avere le cure L’impostazione italiana è una delle più avanzate. La nostra prerogativa non è la sola cura del cittadino e questo lo sancisce anche la Costituzione che dice infatti che “la tutela della salute è un diritto della persona”. Abbiamo il massimo livello di accessibilità che viene esteso anche ai non cittadini (quindi non finanziatori del sistema) poiché riconosciamo il diritto alla salute come elemento imprescindibile per ogni persona. I cittadini finanziano il gettito, poi non c’è una correlazione con il consumo e la fruizione del servizio anche per il fatto che hanno diritto alle cure anche i non cittadini. In questo modello la gestione è pubblica dato che il finanziamento è pubblico. IL SISTEMA MUTUALISTICO Parte da un presupposto completamente opposto al precedente: la società è fatta di individui che hanno un lavoro, quindi tutti gli appartenenti ad una certa categoria di lavoratori finanziano con il proprio reddito un fondo destinato a far fruire dei servizi sanitari a coloro che lo hanno alimentato. Mentre nel sistema di welfare i cittadini finanziano lo stato con le imposte il gettito, il quale andrà a confluire del sistema sanitario nazionale, nel sistema mutualistico il cittadino paga un contributo ad un ente chiamato “mutua”, che costituisce un fondo di risorse. I lavoratori venivano suddivisi in corporazioni (metalmeccanici, agricoltori…) e per ogni corporazione corrispondeva una certa percentuale di contributo correlata al reddito chiamata premio da prelevare da questo che andava poi a confluire in una mutua specifica per la sua corporazione. Quando poi il cittadino ha necessità di fruire di un servizio sanitario e si reca all’ospedale, sarà la mutua a pagare il corrispettivo del servizio richiesto. Questo modello si chiama anche “modello Bismark” o “modello tedesco” perché di origine tedesca dei primi del ‘900 e ancora presente in Germania, Olanda, Francia. Con questo modello ottiene la copertura solo chi partecipa al fondo, c’è una correlazione tra colui che paga e colui che riceve il servizio. C’è quindi una correlazione tra ottenimento dei servizi sanitari e il presupposto di avere un lavoro ed un reddito (appartenere ad una corporazione). Per coloro che non hanno lavoro e non hanno reddito c’è una mutua pubblica che garantisce una certa universalità dei servizi: non è la stessa universalità garantita dal welfare ma c’è comunque una garanzia di accessibilità alle cure. In Italia questo modello non funzionò perché si venne a creare la situazione che c’erano delle mutue con tantissime risorse ma anche tante persone da fronteggiare e altre mutue che avevano poche risorse e meno persone da fronteggiare. Ad esempio, negli anni ’60 la mutua dei metalmeccanici era quella più numerosa e più ricca ma anche composta da tante persone con redditi bassi, quindi pro-quota era quella più povera. Ciò provocò delle eterogeneità nei servizi sanitari offerti dalle diverse mutue e ciò poi comportò l’abbandono di questo metodo e la progressiva adozione del Welfare state. SISTEMA PRIVATISTICO Nel modello privatistico puro non si prevede alcun intervento dello stato in ambito sanitario, quindi è problema del cittadino provvedere all’individuazione di una copertura al proprio bisogno di servizi sanitari. Ogni cittadino è libero di scegliere se pagare le prestazioni che riceve sul libero mercato al momento del bisogno (del verificarsi dell’acuzie), oppure, se non vuole sostenere una spesa piuttosto consistente nel caso si verificasse il bisogno, il cittadino può scegliere di assicurarsi. Con l’assicurazione il cittadino stipula un contratto con un’assicurazione, questa assolve alle stesse funzioni di una mutua: pago un premio e al momento del bisogno paga le cure all’erogatore delle prestazioni. La differenza tra il sistema mutualistico e il sistema privatistico con assicurazione sta nel fatto che nel caso precedente il premio è calcolato in base al reddito, mentre nel sistema privatistico l’importo del premio da pagare all’assicurazione è calcolato in funzione dello stato di salute dell’assicurato. Proprio per questo problema gli stati in cui si hanno i modelli privatistici hanno dovuto trovare dei meccanismi per poter sopperire ai bisogni delle persone più anziane o delle più predisposte al bisogno di cure perché sennò il costo delle assicurazioni sarebbe eccessivo. 2.3 RIASSUNTO Caratteristiche del sistema mutualistico in Italia: è stato abbandonato, ne spiegheremo i motivi in maniera diffusa. Come ha funzionato in Italia: le prestazioni che erogava erano molto differenziate, e oltre tutto con il fatto che la domanda di servizi era assai più alta dell’entità di risorse che avevano queste mutue, alla fine le mutue si sono fortemente indebitate e quindi si è cambiato il sistema. Abbiamo detto che ci sono 3 tipologie. Parliamo di welfare state o di sistemi mutualistici o di privatizzazione. In tutti i sistemi mutualistici, chi più chi meno, la caratteristica fondamentale è che la copertura non è data da solo coloro che sono nelle condizioni di essere lavoratori e possono contribuire alla mutua, ma, poiché l’universalismo delle prestazioni sanitarie viene riconosciuto anche in questi sistemi, molto spesso interviene un operatore pubblico che offre copertura a coloro che sono in stato di disoccupazione. Quindi in realtà c’è un’ulteriore mutua che sopporta coloro che in quel determinato momento sono in stato di disoccupazione accertata e dichiarata. Se invece sei figlio di qualcuno che ha la mutua, anche tu sei coperto dalla mutua perché sei familiare senza reddito di colui che è assicurato. Questo per quanto riguarda i sistemi mutualistici. Abbiamo visto anche i sistemi privatistici che hanno la caratteristica di non avere un meccanismo predeterminato di copertura della salute ma sostanzialmente la scelta di coprirsi o meno è lasciata all’individuo. In ragione di questo sono lasciate solo due strade: o ti assicuri oppure paghi (fee for payment) per la prestazione di cui ti avvali. Vedremo che questo non è così banale perché nei sistemi privatistici il costo delle prestazioni è assai più alto di quello che è nel mondo pubblico perché i prezzi sono calmierati. In astratto i sistemi configurati sono più o meno questi. L’Ocse dà un punteggio ai sistemi sanitari, è una classifica, ovviamente ha elementi di soggettività ma tendenzialmente va da 0 a 900 punti. Questo ci dice, più è vicino a 900 e più la qualità del sistema sanitario è percepita o ritenuta adeguata. Oltre a questo tipo di analisi, fanno vedere anche un’analisi che è correlata anche all’entità del pil investito perché in teoria ci dovremmo aspettare che, dove l’entità di risorse destinata alla sanità è più alto, maggiore dovrebbe essere la qualità percepita del servizio. Se andate a vedere, l’Italia, la Spagna sono abbastanza in basso come punteggio però come noterete sono anche tendenzialmente in un quadrante dove l’investimento è meno del 9% del pil. Tenete presente che non è banalissimo collocare perché essendo un denominatore il rapporto della spesa sul pil, è ovvio che non solo è funzione dell’entità della spesa ma anche dell’entità del pil. Quindi molto spesso cosa accade? Che oggi siamo leggermente più in alto di quanto lo eravamo qualche anno fa, non tanto perché abbiamo messo più risorse sulla sanità ma perché il pil è diminuito, o meglio non è cresciuto con la stessa forza. Però comunque l’italia è poco meno del 9% del pil. I pallini in blu sono quelli di welfare state. Notate che spicca come punteggio l’Olanda. È anche una caratteristica po' particolare perché è stato uno dei pochi paesi che negli ultimi 15 anni ha cambiato sistema, è passato da welfare a sistema mutualistico. Qualcuno potrebbe essere tentato di dire “ma allora perché l’Italia non passa ad un sistema mutualistico?” e qui ci sono un’infinità di risposte che potremmo dare. Intanto, la popolazione olandese non è come entità uguale a quella italiana, le caratteristiche geomorfologiche del paese (Olanda) sono abbastanza omogenee mentre noi siamo eterogenei, e anche le condizioni sociali, ci sono aree del paese che hanno meno risorse per tutta una serie di motivi e di conseguenza il nostro sistema in realtà. Noi abbiamo presidi ospedalieri di assoluta eccellenza, forse tra i migliori del mondo, collegati a presidi che lo sono meno. Quindi il problema è che quando facciamo una media è ovvio che il nostro punteggio complessivo diminuisce. Invece, quando andiamo a vedere le prestazioni migliori, le attività dei ricercatori, la capacità della medicina di rispondere alle esigenze, già da molto tempo siamo sempre primi o secondi. Allora, se noi andiamo a vedere, abbiamo parlato di entità di risorse, l’ocse guarda tutti i paesi. Vediamo quant’è la spesa sanitaria del pil. Troviamo una cosa particolare, gli stati uniti sono il paese che investe di più in sanità. Oggi investono quasi il doppio di quello che investiamo noi. È ovvio che dobbiamo fare alcune riflessioni perché allora qualcuno potrebbe dire: “allora il sistema statunitense, e quindi un modello di stato privatistico, dovrebbe essere il migliore perché è quello in cui ci mettono più risorse”. In realtà non è sempre vero perché il problema è capire cos’è per noi il migliore, non è solo il problema della prestazione in quanto tale. Questa è media Ocse. Anche l’Italia ha come spesa una parte che è ovviamente privata, sarà intorno all’80%-75% di spesa pubblica e 25% di spesa privata. Se andate a vedere il sistema americano, è la prima colonnina a sinistra, le spese pubbliche in sanità sono più o meno siamo poco meno della metà del totale delle risorse. La parte pubblica quindi arriva a quasi la metà, e questo è uno degli aspetti che dovremo analizzare. Dal 2011 (ultimo dato che si è avuto) siamo fermi a 113 miliardi, non ci siamo più mossi da quell’entità da circa 9 anni perché è stata bloccata l’attribuzione di risorse. Dagli anni 2000 ha continuato a crescere l’entità della spesa, poi dal 2011 siamo fermi. A questo punto, facciamo un ragionamento. Abbiamo visto che ci sono 3 modelli e non è facile dire quale sia il migliore e il peggiore perché di fatto ci sono tantissime variabili in gioco e anche perché ci sono diverse modalità per percepire la qualità. Una degli elementi presi in considerazione è quante persone sono prive di copertura assicurative ai danni della salute. È ovvio che se voi prendete il sistema sanitario italiano sostanzialmente nessuno è privo di copertura sanitaria. Se prendete il sistema sanitario statunitense spendono il 18% del pil e hanno il 20% più o meno di persone prive di copertura sanitaria (1 su 5). Questa non è una banalità perché incide pesantemente sui sistemi di sicurezza e di coesione sociale. Perché l’Italia, la francia, la germania, la spagna hanno fatto un certo tipo di scelte? E perché gli altri paesi ne hanno fatte altre? Fino ad adesso abbiamo visto i 3 sistemi possibili e tutti paesi più o meno possono essere collocati in uno di questi tre. È ovvio che le differenze sono cospicue: già oggi parlare del sistema Toscano e del sistema Ligure c’è differenza, figurarsi tra il sistema italiano e quello cubano (tanto per dire). Perché in alcuni sistemi si afferma un meccanismo e perché si afferma un altro? Qui dobbiamo fare un ragionamento importante: il concetto di servizio pubblico. Questa è una slide fondamentale, una domanda di questa slide c’è sempre, è estremamente importante perché ci qualifica, tutto quello che andremo a studiare dopo deriva da come si muovono alcune caselle tra questi elementi. Prima di tutto: quando è che un servizio è pubblico? quando è finanziato dalla collettività. Quando parliamo di sanità parliamo di servizio pubblico. La sanità in Italia ha le caratteristiche di universalità e di generalizzazione delle tipologie di accesso ad essa perché è un servizio pubblico. Perché in italia la sanità è un servizio pubblico? Quello che noi abbiamo visto è una conseguenza: il fatto che noi abbiamo un sistema di welfare è una conseguenza del fatto che abbiamo concepito quel servizio come servizio pubblico. Stiamo attenti da questo punto di vista perché in astratto, come ci si può ricordare da macroeconomia e dai “fallimento del mercato”, uno dei fallimenti era proprio dato dai beni pubblici cioè quei beni dovessero per forza essere erogati da un operatore pubblico, dallo stato, perché nel caso in cui questo non avvenisse ci sarebbero degli atteggiamenti di free riding che non ne consentono il finanziamento. La teoria dice che il mercato è la forma migliore di allocazione e in assoluto il migliore è quello di libera concorrenza perché è quello in cui troviamo un prezzo più basso che da risposta a tutti coloro che hanno bisogno di un determinato servizio. In realtà che questo meccanismo di lasciare tali beni al libero mercato fallisce perché ci sono dei beni che hanno le caratteristiche tali che qualora fossero lasciati al libero mercato fallirebbero implicitamente, quindi deve essere lo stato che finanzia. L’esempio che viene fatto banalmente è il bene difesa o la sicurezza nelle strade garantita dalle forze dell’ordine. Per il fenomeno del free riding, congestionabilità del bene che deve essere pubblico, ecc… ci sono una serie di beni che per loro natura eroga lo stato e quindi sono pubblici per definizione, essendo questi non rivali nel consumo (perché il consumo di uno non pregiudica il consumo di un altro) non escludibili (perché se allestisco il bene difesa non posso dire a uno sì e ad un altro no). Il presupposto della non rivalità e della non escludibilità fanno sì che siano pochi i servizi che devono essere per forza gestiti dal pubblico, solo due o comunque pochi. Però… Il bene salute per sua natura in teoria non risponde a nessuno dei canoni visti come servizi pubblici impliciti, automatici perché molte delle prestazioni sono individuali, quindi sono rivali perché se sei al pronto soccorso e c’è già qualcuno dentro non entri. L’escludibilità ci sarebbe perché se non paghi e non sei coperto non ti fanno la prestazione. Quindi in ambito sanitario quegli elementi di automatica definizione di un bene come pubblico non operano, anzi, operano al contrario perché se ci pensate, in astratto, il bene salute potrebbe essere un bene di Giffen (beni che hanno la domanda rigidissima, anche se il reddito si abbassa tantissimo la domanda non scende). Se pensate al bene salute la domanda è rigida e poco sensibile al reddito perché tutti noi siamo molto sensibili a tutelare la nostra salute, è uno di quei beni in cui abbiamo una propensione alla spesa molto alta perché rinunceremmo a tutto pur di curarci. Allora se qui c’è una domanda così forte e stabile dovrebbe esserci un mercato che faccia sì che ci siano tanti provider e erogatori di servizio perché l’offerta si struttura in automatico: se c’è tanta domanda, c’è tanta offerta. Quindi se dovessimo ragionare per astratto la sanità sarebbe uno di quei beni che dovrebbero essere concepiti come privatistici perché dovrebbe essere il libero mercato il veicolo più ottimale proprio per i meccanismi di domanda stabile con propensione all’acquisto fortissima e un’offerta vastissima destinata a soddisfarla. Allora come mai non c’è un paese che abbia solo il sistema privatistico? Anche gli Stati Uniti che sono quelli che vengono tacciati per essere i più privatistici, sono più o meno al 50%. Perché non c’è un sistema al mondo che sia esclusivamente privatistico? In realtà, i 3 modelli (di welfare state, mutualistico, privatistico) derivano da 2 sole concezioni della sanità. C’è una concezione solidaristica e una concezione individualistica. Quindi alla domanda “quali sono le concezioni per quanto riguarda le configurazioni dei sistemi sanitari?” non è welfare state, mutualistico o privatistico. Le concezioni che stanno alla base sono solo 2, solidaristica e individualistica. CONCEZIONE SOLIDARISTICA DELLA SANITA’ Concezione che c’è in Italia e in gran parte dei paesi europei. Vuol dire che l’idea nella nostra società, e quindi l’opportunità politica che ci viene proposta, è tale per il quale pensiamo che il fatto che tutti noi siamo in una copertura sanitaria, e quindi si possa accedere gratuitamente ai servizi sanitari, sia un beneficio più forte di quello che otterremmo se allocassimo quella quota di risparmio che diamo come imposizione fiscale nel soddisfacimento di un bisogno individuale. Il meccanismo solidaristico parte da un assunto, che in quel contesto collettivo si ritenga che il beneficio complessivo, il valore pubblico creato, quindi il beneficio sociale che si ottiene avendo una copertura sanitaria per tutti è maggiore di quello che otterremmo se venisse lasciata a ciascuno di noi la possibilità di allocare come meglio riteniamo i nostri redditi. Nel momento in cui lo stato dice “se tu hai 100 di reddito, me ne dai 40 perché io devo pagare tutta una serie di servizi, ci hanno tolto una parte di reddito che avremmo potuto utilizzare per soddisfare altri bisogni o allocarli in modi diversi. Ma il beneficio che otteniamo, togliendo a tutti 40, è maggiore di quello che avremmo ottenuto se ci avessero lasciato 100 integralmente perché le nostre allocazioni possono non essere vantaggiose per la collettività. L’ipotesi che sta dietro alla concezione solidaristica è che il valore complessivo che riusciamo a generare mediante il finanziamento di un servizio sia comunque maggiore di quello che avremmo in un altro modo. Questa è l’essenza, tant’è che tutti noi, la maggior parte di noi, crede che la sanità pubblica sia un bene, una cosa positiva. CONCEZIONE INDIVIDUALISTICA DELLA SANITA’ La concezione invece individualistica parte da un’altra idea, che non è di per sé sbagliata: equipara il bene salute a qualsiasi altro bene e quindi non assegna a quel bene una tutela maggiore rispetto a quella degli altri. Perché dice: come tu soddisfi tutta una serie di bisogni che sono ricorrenti nella tua vita, ti comprerai anche la salute. È una concezione individualistica. Cioè, mentre per noi il servizio salute diventa un problema collettivo, per chi adotta questa individualistica è un problema del singolo individuo trovare le modalità di soddisfazione di essa. CONCETTO DI BISOGNO “SALUTE” Si entra in questa concezione qua, quel bisogno “salute”, in un determinato contesto, ottiene una duplice situazione: - C’è l’opportunità politica, cioè c’è qualcuno che dice facciamolo pubblico perché ha una tale visione - C’è anche l’accettabilità sociale. L’accettabilità sociale vuol dire che viene ritenuta quella scelta coerente con i bisogni di quella società. Non vuol dire che tutti sono contenti, ci può essere qualcuno che non lo è, tendenzialmente è così L’opportunità politica da noi è maturata subito dopo la guerra, con la nostra costituzione, quello è stato il momento in cui la concezione ha avuto una accettabilità sociale, cioè ci deve essere l’opportunità politica accompagnata dall’accettabilità sociale per far sì che una concezione (solidaristica o individualistica) si affermi. Negli stati uniti non è la prima volta che provarono ad inserire e a crescere la copertura, espandere quel 50%. Quindi l’opportunità politica è stata proposta almeno due volte, prima da Clinton, poi da Obama. Negli stati uniti l’accettabilità politica c’è stata più volte, quello che è venuto a mancare è stata l’accettabilità sociale perché in un sistema dove la concezione individualistica è fortissima c’è sempre stato qualcuno che ha detto no. Questo perché nel momento in cui diventa pubblico vuol dire che qualcuno lo deve finanziare; e finanziarlo vuol dire ovviamente riduzione del reddito disponibile. In Italia quel bisogno è stato ritenuto un bene collettivo, e di conseguenza è stato finanziato attraverso prima l’istituzione delle mutue, e poi quello che è il nostro sistema di welfare. Qualsiasi bisogno diventa pubblico quando si decide che venga posto a carico della collettività, quindi da essa finanziato e non è più un problema individuale ma è un problema della collettività. Questo è il presupposto, ed è quello che interessa a noi, a questo punto nasce la titolarità del servizio, cioè qualcuno che si deve occupare, e quindi deve assumersi la responsabilità, di predisporre interventi volti al soddisfacimento di quel bisogno. Nel momento in cui quel bisogno diventa pubblico, e quindi ce ne dobbiamo occupare, ci deve essere qualcuno che assume la titolarità della funzione, e vale per tutti i servizi. Ci sono servizi in cui il titolare della funzione è l’ente locale; ci sono servizi in cui il titolare della funzione sono altri istituti: ad esempio il titolare della funzione della previdenza sociale e dell’erogazione delle pensioni è l’INPS; il titolare della funzione della tutela contro gli infortuni è l’INAIL perché questi sono deputati, hanno la titolarità (primo aspetto: chi se ne deve occupare). Poi c’è in concetto della competenza amministrativa o esercizio della funzione che è la materiale erogazione. Qui vedremo che tutte le riforme che andremo a vedere in ambito sanitario, riguardano proprio questi due ambiti. Visto che dal 1948 quel bisogno è stato ritenuto pubblico, in maniera un po’ difforme, differente ma tendenzialmente pubblico, abbiamo la funzione pubblica cioè la titolarità, che vedremo che è qualcuno che se ne deve occupare, e poi qualcuno che ha l’esercizio della funzione, che deve erogare il servizio. Oggi chi è il titolare della funzione che risponderemmo? è la Regione, la regione ha la titolarità prevalente di predisporre gli interventi volti al soddisfacimento del bisogno; e queste prestazioni vengono erogate, e quindi chi ha competenza amministrativa oggi sono le Asl, le Aziende Sanitarie Locali o le aziende ospedaliere, che hanno il compito di effettuare l’operazione tecnica. Noi non è che andiamo a chiedere di curarci alla Regione, ma andiamo ad un presidio che è una struttura, e vedremo tutte le riforme come si sono evolute e come siamo passati da una parte all’altra In realtà la nostra storia è molto articolata, perché i primi interventi se andiamo all’Unità d’Italia e operano tutti a livello locale, quindi non era un problema dello Stato allocare questi servizi, ma veniva avvertito che ci fosse l’esigenza di garantire la tutela della salute ad una più ampia fetta di cittadini. Si sviluppano in quell’epoca quelle che si chiamano “opere pie” che di solito erano nobili o comunque istituzioni legate al mondo ecclesiastico che costituivano degli ospedali, dei nosocomi ed erogavano prestazioni a carattere sanitario. Per chi poteva pagarseli venivano pagati, e per chi non poteva pagarseli venivano erogati da enti di beneficienza che veniva fuori da lasciti filantropici. Per la prima volta all’inizio del secolo viene costituita una direzione generale per la sanità molto embrionale, qui non c’è nessun tipo di risposta, non c’è una titolarità della funzione, c’è solo qualcuno che se ne occupa, e sostanzialmente a livello nazionale, l’unica cosa che operano, sono delle cose che hanno un contenuto parziale e sono: - L’opera nazionale di maternità e infanzia che si occupa dei bambini, delle prestazioni sanitarie per i bambini e per le madri che erano in condizioni di indigenza o comunque di difficoltà, o che comunque si trovavano nell’esigenza di dover assistere i bambini; - Croce rossa italiana che si sviluppa all’inizio del secolo, che però ha una funzione ben specifica, e opera in un ambito circoscritto, quindi non è generalizzata. Il passaggio più importante è il 1958 perché per la prima volta nasce il Ministero che all’epoca si chiamava della Sanità, quindi per la prima volta lo Stato individua un apposito soggetto della sua struttura per creare la sanità, e qui si comincia a pensare come fare, ed è qui che nasce il sistema mutualistico. In realtà si svilupperà quasi un decennio dopo, intorno al 1965, ma sostanzialmente cominciano a venir fuori le mutue e in particolare c’è questo piano che si chiama “progetto 80” che aveva un orizzonte di 20 anni, che doveva far in modo che la sanità diventasse più accessibile da parte di tutti ed enfatizzava una logica centralista. Era lo Stato che si doveva occupare di gestire la salute. In questo quadro, il sistema in questi anni, dal 1958 fino al 1978, per circa un ventennio, non funziona benissimo. Le mutue sono comunque un’esperienza positiva nel complesso, ma dal punto di vista della funzionalità ebbero sempre un sacco di problemi: Le risorse non erano equo ripartite quindi c’erano risorse insufficienti quando il numero di mutuati era molto elevato e risorse invece sovrabbondanti quando i mutuati erano pochi a seconda ovviamente delle corporazioni che c’erano, o meglio le categorie rappresentate dalle mutue. Le prestazioni non erano omogenee cioè non tutte le mutue garantivano lo stesso tipo di copertura, ed anche questo era un problema. Le mutue si sono trovate nella situazione che a fronte della necessità di elargire comunque le coperture che si erano impegnate a fare, si trovarono molto presto fortemente in deficit, fortemente indebitate. Da questa situazione si decise di uscire con una svolta che oggi sarebbe molto più difficile riconfigurare, ripensare, all’epoca venne fatto, e si entra in quella che è per noi una delle leggi più importanti: la legge numero 833 del 1978. La legge 833 del ’78 è una legge fondamentale perché è quella che venne chiamata di “costituzione del sistema sanitario nazionale”, prima non c’era un sistema sanitario nazionale perché un sistema nasce e si afferma quando ci sono degli organi deputati a far funzionare il servizio stesso, con compiti e funzioni precise. In questo caso per la prima volta c’è un soggetto, lo Stato (governo centrale) A questo punto c’è un soggetto, un governo centrale, lo Stato, che noi chiamiamo Stato accentrato che è il titolare prevalente della funzione. Ad esso competono funzioni di indirizzo generale e di coordinamento delle attività amministrative delle Regioni era responsabile della programmazione nazionale e della fissazione dei livelli di prestazione da garantire a tutti i cittadini. Cosa fa questo Stato sostanzialmente? Proprio perché veniva fuori da una situazione dove i servizi erano eterogenei, la sua prima preoccupazione era coordinare le azioni degli operatori sul territorio in maniera tale da consentire che le prestazioni sanitarie garantite ai cittadini fossero uguali per tutti. Questo è il primo aspetto: fissare il livello di prestazioni che non vuol dire fissare la qualità, o meglio non solo, ma quello che ti posso garantire e quello che non ti garantisco. Secondo: doveva fare la programmazione nazionale cioè stabilire, sostanzialmente, come i flussi finanziari e le esigenza che ci sono dovevano essere formulate e espresse, e stabilire le modalità, quanto era il fabbisogno di queste risorse, perché programmare vuol dire “se ti do queste prestazioni devo metterci anche le risorse collegate per fartele soddisfare”. Quindi la programmazione nella sua interezza aveva due cardini fondamentali: 1) Lo Stato doveva stabilire il livello di prestazioni che ci doveva dare; 2) Il finanziamento, cioè quanto era l’entità delle risorse da assegnare. Poi si passa alle Regioni che avevano, come hanno oggi, in maniera molto diversa, delle competenze in materia sanitaria, ma competenze che potremmo circoscrivere al solo ambito attuativo. Avevano quindi una competenza legislativa perché magari facevano norme di carattere locale, a livello regionale, per consentire il funzionamento del sistema, ma dentro i paletti e tutto ciò che lo Stato diceva; ad esempio lo Stato diceva “ciascuna regione nell’ambito delle sue competenze stabilisce quelli che sono gli ospedali di primo livello” però il criterio per stabilire quale è un ospedale di primo livello lo stabilisce già lo Stato, e poi tu devi solo applicare quelle che stabilisci siano di un livello e altri di un altro. La regola te l’ha data qualcun altro, devi avere una finalità attuativa. Da ultimo, abbiamo quindi lo Stato, le Regioni, e infine i Comuni. Questa è una cosa fondamentale perché il soggetto che aveva l’esercizio della funzione era il Comune, e operava attraverso apposite strutture del servizio sanitario nazionale, appartenenti al Comune, che si chiamano Unità Sanitarie Locali (tant’è che in alcuni casi, in alcune Regioni si sente parlare di Usl, perché quello è un retaggio che riguarda la legge del 1978). Nel 1978 vengono individuate queste Unità Sanitarie Locali che però sono enti non dotate di personalità giuridica, e di fatto queste risorse confluiscono ai Comuni; quindi sono i Comuni i soggetti che hanno la titolarità, o meglio che hanno l’esercizio della funzione e lo espletano attraverso apposite strutture non dotate di personalità giuridica che si chiama Unità Sanitarie Locali. Di fatto era come se il Comune avesse una sezione dedicata ai servizi anagrafici, una propria sezione, del proprio bilancio dedicata ai servizi sociali, una propria sezione dedicata ai servizi ambientali, nettezza urbano e tutela del territorio, aveva un altro servizio che era la sanità, la salute; e la salute veniva erogata attraverso queste Unità Sanitarie Locali che a loro volta potevano avere degli ospedali al suo interno, ed erogavano le prestazioni. Le entità delle risorse che lo Stato assegnava per la sanità erano distinte dentro il bilancio, ma comunque andavano a consolidarsi nel bilancio dell’ente locale, tant’è che anche la governance di queste strutture non aveva quell’autonomia che ha oggi, non c’era amministratore delegato, un direttore generale come oggi, ma c’era, quello che si chiamava, un “comitato di gestione” che era espressione del consiglio comunale, quindi erano una parte, non sempre ma tendenzialmente erano una parte del consiglio comunale che però non avevano competenze di natura tecnico-amministrativa o sanitaria, erano deputati ad occuparsi di questa cosa per il comune, e l’erogazione avveniva da parte di queste strutture. Capiamo che queste Unità Sanitarie Locali erano, comunque, entità importanti, molto spesso, già ancora oggi ma anche all’epoca più o meno spendono dal 65% al 75% di risorse destinate alla sanità, capiamo quanto pesa quel componente. In passato all’interno del bilancio del comune avere l’ospedale (e qui la nostra situazione degli ospedali di piccole dimensioni), era un elemento fondamentale perché il mio bilancio cresceva in maniera notevole, sicuramente il 60-70% del bilancio, ma anche di più, erano fondi che giravano perché avevamo gli ospedali. Quindi non avere l’ospedale vuol dire avere un bilancio assai più piccolino e anche dei servizi più modesti, tant’è che in alcuni centri avere un ospedale era un elemento saliente anche di determinazione importante per il Sindaco e così via. Quindi ci sono tre livelli: lo Stato, le Regioni e i comuni. I comuni erano coloro che destinati a erogare le prestazioni. COME FUNZIONA IL SISTEMA DI FINANZIAMENTO All’inizio le forme di finanziamento che costituivano le entrate tributarie erano sostanzialmente due, questo è durato per pochi anni, perché poi i contributi sanitari, sono venuti meno perché noi venivamo fuori da un sistema mutualistico per cui ogni cittadino, ogni lavoratore era abituato a pagare perché pagava un contributo ed era un contributo per la salute, e a questo punto era già implicitamente conscio di questo cambiamento. Cambia il sistema e quindi la fonte di finanziamento cosa succede? Si riduce l’entità richiesta percentualmente ma viene comunque richiesto un contributo sanitario, da parte di tutti quelli che lavorano, e in più si pagano le imposte. Quindi l’imposizione fiscale + il contributo sanitario alimentano tutte le entrate tributarie, all’epoca non c’è come oggi quello che si chiama il documento di programmazione economica. All’epoca si chiamava legge finanziaria che non è altro che un provvedimento che veniva approvato da un parlamento e stabiliva per i vari servizi, quindi le varie partizioni del bilancio dello Stato, quanto fosse la parte da destinare alla sanità: quindi andava a definire lo stanziamento della sanità dentro il bilancio dello Stato. Questo stanziamento per la sanità acquisiva un nome che si chiama “Fondo Sanitario Nazionale” quindi questo era il fondo, quella parte del bilancio, che veniva destinato al sistema sanitario. A questo punto doveva essere ripartito tra le varie Regioni e come meccanismo veniva ad essere determinata la così detta quota capitaria che non è altro che la ripartizione del fondo sanitario nazionale fratto il numero di cittadini che ci sono in Italia; quindi il driver per ripartire queste spese era il numero dei cittadini. Ciascuna regione aveva un numero di cittadini e quindi poi moltiplicando questo valore per il numero dei cittadini si viene a costituire il Fondo Sanitario Regionale (FSR). Ciascuna Regione, quindi, aveva un proprio Fondo Sanitario Regionale che derivava da quello che decideva lo Stato perché lo Stato decideva qual era la parte che voleva assegnare alla salute, alla sanità e di conseguenza arrivavano i finanziamenti. Questo Fondo Sanitario Regionale, a sua volta veniva ripartito tra le varie Unità Sanitarie Locali, anche lì in funzione del numero di cittadini che erano di pertinenza di ciascuna Unità Sanitaria Locale; quindi affluiva ai comuni quelle risorse, per erogare quel tipo di prestazioni e ce l’aveva chi aveva l’Usl, l’Unità Sanitaria Locale. Quindi questi sono i contributi, oltretutto erano presenti delle entrate proprie che invece derivavano direttamente dai cittadini che, gli Americani li chiamano co-payment cioè forme di compartecipazione alla spesa, noi in maniera molto semplice, fin dall’epoca, li abbiamo chiamati ticket. I ticket sono le forme di compartecipazione alla spesa che ogni cittadino deve elargire in funzione del servizio di cui si avvale, per alcune prestazioni, non per tutte. Mentre oggi le Regioni possono stabilire di fare più o meno come vogliono, per esempio la Toscana ha stabilito che anche il ticket sia funzione del reddito dell’individuo, all’epoca il ticket lo stabiliva lo Stato ed era una quota fissa che era a prescindere dal reddito dell’individuo, cioè si pagava tutti lo stesso perché l’idea era “se ricevi la stessa prestazione, il contributo che devi dare è il medesimo”. Questa parte dei contributi sanitari è stata poi tolta perché è stata ritenuta non in linea con i presupposti normativi dell’imposizione fiscale che prevede la progressività. Essendo un contributo percentualmente fisso incideva sui redditi più alti in maniera più rilevante, perché è vero che uno può dire “la percentuale è la medesima” però capiamo bene che se tu hai 1000 e devi pagare il 10% sono 100; se tu hai 10 milioni e devi applicare la stessa percentuale, è vero che sei più grosso, ma quello che ti rimane è molto più ampio. In virtù di questo venne ritenuto che non avesse quel connotato di progressività che dovevano avere le tipologie di imposizione e in virtù di questo venne tolto, e quindi sostanzialmente all’inizio degli anni ’80 ci fu solo l’imposizione fiscale che andava ad alimentare il gettito, quindi le entrate, e di conseguenza le spese. Questo per quanto riguarda il sistema che abbiamo avuto nel 1978. Dal 1978 comincia ad operare questo sistema. C’era uno Stato, c’erano le Regioni, c’era il Comune e poi c’erano questi erogatori Usl. Il modello organizzativo di un organo, che di fatto è senza personalità giuridica, senza un soggetto veramente deputato alla sua gestione, era in mano a quelli che si chiamerebbero i dirigenti di livello intermedio, perché non c’era un dirigente, un direttore, e così via. Che cosa accede a questo punto? Questo sistema comincia a operare, queste Unità Sanitarie Locali, erogano queste azioni alla collettività, però cosa succede? Intanto lo Stato doveva avere una funzione, una funzione molto precisa che era quella di correlare, di stabilire quale era il fabbisogno che dovevano avere, e questo fabbisogno doveva confluire in un apposito documento che si chiamava “piano sanitario nazionale”. Questo piano sanitario nazionale era sostanzialmente il documento che doveva contenere tutto il fabbisogno, in termini prestazionali e in termini di risorse attribuite, quindi le prestazioni sanitarie che dovevano essere erogate in quell’anno e ovviamente le risorse collegate per poterle erogare. L’indigenza della norma non fece mai quel piano, quindi il piano sanitario nazionale non venne mai emanato, anzi il primo venne fatto nel 1993. Quindi lo stato ha sempre finanziato sulla base di quello che finanziava in passato. Questo meccanismo si chiamava “meccanismo adempimentale” o “costo storico” cioè ti do un finanziamento sulla base di quello che è stato il costo storico che tu hai espresso; perché non c’erano altri parametri. Questo però determinò non pochi problemi perché ora siamo in un’ epoca in cui parlare di inflazione è abbastanza marginale, perché siamo in epoche del 2-3%, ma nel 1978 i tassi inflazionistici erano addirittura a due cifre (11-12-13-14% annui) quindi ogni anno io dovevo stabilire quante erano le risorse da assegnare al sistema, quindi dovevo dargli quelle che le davo l’anno scorso più l’inflazione, o una parte dell’inflazione perché ovviamente doveva essere un finanziamento reale, e non solo questo, se le Usl chiudevano in perdita lo Stato doveva ripianare. Quindi non c’era nessun incentivo alla razionalizzazione della spesa, non perché fossero cattivi, è che c’erano i livelli intermedi, che erano coloro che determinavano la spesa, quelli che un tempo si chiamavano primari ospedalieri che avevano delle risorse da gestire, delle persone, dei soldi. È ovvio che dovevano gestire una certa entità di risorse che gli venivano assegnate a quel reparto, e se quest’anno hanno speso 100, sapevano che grossomodo l’anno prossimo gli sarà spettato 100; se avessero speso 80, gli avrebbero dato 80; allora cosa accade? Che non c’era nessun incentivo, anzi, si cercava di saturare la spesa (perché magari un anno potevi spendere un po’ meno ma se poi l’anno prossimo avresti dovuto spendere di più sarebbero mancate le risorse). Quindi questo meccanismo portava ad un andamento della spesa sempre crescente, costantemente crescente perché io ti do 100 quest’anno, l’anno prossimo ti devo dare 100 + l’inflazione (quindi 110) + eventualmente le perdite perché lo Stato era l’ultimo responsabile. Quindi ogni anno il tasso di crescita di questa spesa sanitaria diventava sempre più crescente ed è tutto scollegato dalla qualità delle prestazioni perché non c’era alcun tipo di riscontro tra assegnazione delle risorse e qualità del servizio erogato e percepito. 13.3 L’AZIENDALIZZAZIONE L’ultima volta abbiamo esaminato la legge 833 del 1978 che ha istituito il Sistema Sanitario Nazionale. Venivamo da un sistema che era basato sul modello mutualistico e si arriva ad un sistema di Welfare nel 1978. La caratteristica fondamentale è questa: abbiamo degli attori ben precisi quindi abbiamo una catena di gestione del sistema sanitario. Abbiamo: - Il Ministero - Le Regioni, che avevano un compito attuativo e di legislazione concorrente rispetto a quella dello Stato ma con un’idea collegata all’attuazione di quelli che erano gli indirizzi che lo Stato poneva in essere. - Enti locali comuni, ai quali era demandata l’erogazione dei servizi attraverso apposite strutture, le Unità Sanitarie Locali (USL), che abbiamo detto essere degli enti strumentali del comune, privi di personalità giuridica che avevano la funzione sostanziale di garantire l’erogazione dei servizi. Avevano una propria dotazione patrimoniale perché era a loro imputata ma era all’interno del bilancio dell’ente locale. Cosa è avvenuto? Questo meccanismo era imperniato su una serie precisa di strumenti e in particolare l’elemento saliente sarebbe dovuto essere il piano sanitario nazionale mediante il quale il legislatore e poi il governo, avrebbe determinato attraverso la legge di bilancio le entità da attribuire al sistema. In realtà questo non avviene, il piano sanitario nazionale non viene immediatamente posto in essere e per molti anni si procederà con una logica incrementale. Logica incrementale: il finanziamento avveniva sulla base di ciò che era avvenuto l’anno precedente. Di conseguenza ciascuna Unità Sanitaria Locale riceveva una entità di risorse commisurata a ciò che aveva utilizzato/speso l’anno precedente, aumentata dell’inflazione di quel momento. Dall’altro lato avevamo evidenziato come ci fossero problemi di sovrapposizione nella catena, nella gestione del servizio e anche problematiche legate alla governance stessa delle USL che erano spossessate della capacità di gestione (gestione che era incentrata sui primariati). Si arriva al 1990 si assiste ad un momento estremamente delicato perché inizia il processo di convergenza verso l’euro, cominciano tutti i vincoli europei in tema di rispetto delle norme di bilancio e diventa fondamentale per ogni pubblica amministrazione (e non solo) adeguarsi a questo nuovo scenario prospettico che si intravede. Il 1992 (attraverso il D.lgs 502/1992) segna un passaggio fondamentale per la sanità italiana. Tale decreto legislativo è stato modificato l’anno successivo con il D.lgs 517/1993 ma ad oggi è rimasto integro nella sua sostanza. Il decreto in questione è una pietra miliare per quanto riguarda il sistema sanitario, in quanto introduce l’aziendalizzazione della sanità. Questo concetto è stato molte volte dibattuto e criticato perché è stato sintetizzato con il modello delle 3E: 1. Efficienza 2. Efficacia 3. Economicità L’idea fondamentale è che l’aziendalizzazione abbia determinato un profondo cambiamento nell’assetto di funzionamento del sistema. DOMANDA: quali sono i tre pilastri dell’aziendalizzazione? Si basa su 3 pilastri fondamentali che non vanno a stravolgere il sistema sanitario e il funzionamento perché l’impianto di quello che era stato fatto mediante la legge 833 del ’78, ma cambiano le titolarità delle funzioni, le modalità di erogazione del servizio. Ricordate infatti che parlavamo di servizi pubblici e in merito avevamo detto che c’è il bisogno pubblico, c’è la titolarità della funzione, l’esercizio della funzione amministrativa e l’erogazione. A questo punto cambiano questi due livelli. Il bisogno rimane il medesimo, perché l’impianto rimane lo stesso. Cambia però la titolarità della funzione. Mentre prima il titolare della funzione era lo Stato (Governo centrale) e la regione aveva un ruolo concomitante, ma ancillare rispetto a quello dello Stato, qui abbiamo un’inversione del ruolo, attuato attraverso la riforma della pubblica amministrazione (sussidiarietà verticale). REGIONALIZZAZIONE Parliamo quindi dei tre pilastri dell’aziendalizzazione, il primo è la regionalizzazione che ribalta il ruolo tra Stato e regione. È la regione che ha potere di legislazione centrale, perché per il principio di sussidiarietà verticale è più vicina al fruitore del servizio. L’idea è che divido la sanità in regioni, queste sono competenti per il loro ambito. Questo fa sì che il potere delle regioni sia notevole. Questo è il primo elemento di richiamo al fatto che non viene smontata l’impostazione avvenuta in precedenza, ma viene aggiornata. Si introduce un’idea fondamentale, il Servizio Sanitario Nazionale deve essere comunque improntato al bisogno della salute, all’assistenza, nell’appropriatezza delle cure e soprattutto nell’economicità dell’impiego delle risorse (è il primo elemento di inquadramento di tutta la normativa). L’art.2 introduce l’elemento nuovo. C’è una legge che attribuisce alle regioni, ma all’interno di questa legge di attribuzione che è quella generale, spettano alle regioni la determinazione dei principi di organizzazione. Quindi ogni regione organizza e stabilisce come far funzionare la propria sanità, stabilisce gli ambiti in cui la sanità deve essere svolta, cioè qual è la dimensione ottimale delle strutture e stabiliscono le modalità e i criteri di finanziamento cambia uno degli assunti fondamentali, mentre prima c’era lo Stato che era titolare, il suo compito era finanziare le regioni e a loro volta far affluire i fondi ai comuni che li attribuivano alle loro Unità Sanitarie Locali. Ora c’è un ribaltamento, siccome vengono attribuite delle risorse, la regione è la prima responsabile del suo esercizio. Qualora sforasse dall’utilizzo di tali risorse, è la regione e quindi i cittadini di quella regione che devono ripianare, non è più lo Stato a dover intervenire, come accadeva prima. Questa responsabilizzazione significa autonomia finanziaria le regioni devono essere in grado di auto sostenere il sistema. C’è un legame tra le competenze regionali e quelle centrali. L’art.1 fissa i livelli essenziali di assistenza, cioè individua quali sono le prestazioni minime che devono essere erogate a livello complessivo. Mentre prima lo Stato garantiva dei livelli uniformi (stabiliva già nel suo documento di programmazione quali erano le prestazioni e il livello prestazione che doveva essere erogato a livello uniforme su tutto il territorio). Ora invece si stabilisce il livello minimo uniforme, la base, ma le regioni possono dare anche livelli più alti di prestazioni. Cosa vuol dire? Io stabilisco a livello minimo che una determinata prestazione venga fatta gratuitamente a coloro che hanno almeno 50 anni e con un ticket di tot euro a coloro che ne hanno meno. Un’altra regione invece potrebbe erogare la stessa prestazione gratis già a coloro che hanno 40 anni. Si va ad ampliare la platea di coloro che possono fruire di quel servizio gratuitamente. Quindi lo Stato fissa quali prestazioni e il livello minimo di prestazioni ma le regioni possono fare di più. È evidente però che devono farlo all’interno delle risorse che hanno a disposizione per la sanità. Questo ha consentito alle regioni di poter avere una forma di posizione diretta, diventa cioè un problema di responsabilizzazione delle regioni in merito all’utilizzo delle risorse. N.B. i livelli essenziali sono i tramiti tra i due.
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