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Studio antropologico: lo sviluppo nella società occidentale


La parola sviluppo è ormai usata da tutti, con il fine di distinguere le società moderne da quelle che le hanno precedute o quelle ricche da quelle sottosviluppate. In realtà, lo sviluppo come lo concepiamo noi non è altro che l’espansione planetaria del sistema di mercato. Il concetto di sviluppo svolge per la società occidentale la stessa funzione dei miti di fondazione delle società primitive: lo sviluppo è il mito fondante della società, senza di esso il sistema crollerebbe, con i suoi vangeli, la sua fede, i suoi incontri per sperare in un futuro migliore per tutti. La problematica dello sviluppo è inscritta nell’immaginario occidentale e ne costituisce il mito fondante.
Il concetto di sviluppo affonda le sue radici nell’illuminismo e nell’evoluzionismo sociale: il primo, con la sua fede incrollabile nell’uomo e nella sua capacità di creare un progresso infinito, ha progettato solide basi su cui poggiare i pilastri della credenza sviluppistica, i secondi assimilarono lo sviluppo umano a quello naturale, dal che si deduceva che il cammino verso la civiltà era uno solo. Però, l’obiettivo di elevare tutti gli esseri umani al tenore di vita di noi occidentali è materialmente irrealizzabile, considerando anche che in molte società non esiste neanche un termine che lo equivalga: in Guinea equatoriale, si usa un termine che equivale sia a crescere che a morire, in Ruanda si usa il verbo marciare, spostarsi, senza però nessuna direzione prestabilita, in wolof l’equivalente è stato identificato con la voce del capo, in Camerun di lingua eton lo traducono con il sogno del bianco, in morè non esiste proprio un equivalente. Il termine sviluppo così come lo concepiamo noi è la metafora di un processo naturale che applichiamo ai fenomeni sociali, come se quello che è vero per uno è vero anche per l’altro, amputata per altro: un organismo naturale nasce, cresce fino a raggiungere un apice e poi declina fino a morire, mentre lo sviluppo non finisce mai. Non si tiene quindi conto della storia, che non segue criteri regolari: nessuna legge naturale prevede che un villaggio debba per forza diventare una grande città. Naturalizzare la storia significa non tenere conto di tutti gli eventi di natura umana che determinano cambiamenti di rotta nelle strategie delle società umane.
Lo sviluppo non è un aspetto inevitabile della storia, che anzi presenta periodi quasi stazionari, e il dinamismo di questo periodo è forse un’eccezione. Negli ultimi tempi, di fronte ai palesi fallimenti delle politiche di sviluppo, si sono aggiunti nuovi termini come durevole, sostenibile, umano, compatibile, per dare nuovo respiro a un concetto in debito d’ossigeno. Viene messo in luce da Georgescu-Roegen il paradosso su cui si fonda il dogma del tecnicismo moderno e il conseguente modello di sviluppo che ne deriva. Tale modello, figlio del pensiero economico occidentale, ruota in un sistema chiuso che tiene conto solamente della produzione e del consumo, senza metterlo in connessione con la biosfera.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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