Regolamento di Roma I
Art. 24 → “il presente regolamento sostituisce la convenzione di Roma..."
Secondo questa teoria, ogni volta che si fa riferimento alla
convenzione di Roma bisogna fare sempre riferimento al regolamento Roma
1.
Però qualcuno dice: sia per i contratti conclusi fino al 17 dicembre
2009 (prima che entrasse in vigore questo regolamento) sia per altre
situazioni che vi cadono al di fuori dell’applicabilità di questo
regolamento che per esempio non si può applicare per la Danimarca,
continua a vigere il sistema precedente.
Quindi per qualcuno questa
convenzione di Roma, trova applicazione mentre per la dottrina
prevalente si intende che la sostituzione sia totale.
Su quali materie
opera il regolamento di Roma?
Se si va all’art. 1 si applica in
circostanze che comportino un conflitto di leggi (elemento di
estraneità), alle obbligazioni contrattuali in materia civile e
commerciale (quindi non fiscale, doganale, amministrativa).
Esso è
vincolante per tutti gli stati membri dell’UE, salvo la Danimarca (si
utilizza la convenzione di Roma del 1980), è direttamente applicabile
nell’ordinamento degli stati membri, prevale cioè sul diritto interno e
non ammette riserve.
Come tutti i regolamenti dell’UE essi trovano una
applicazione diretta ed immediata. Non serve che venga recepito, non può
lo stato sollevare delle riserve. Il regolamento vince su tutti.
L’art.
1 comma 2 spiega dove non si applica:
a) questioni di stato e di
capacità delle persone fisiche
b) le obbligazioni derivanti dai rapporti
di famiglia
c) le obbligazioni derivanti da regimi patrimoniali tra
coniugi, successioni
d) assegni
e) compromessi, clausole compromissorie
f) diritto delle società
g) mandante
h) trust
i) trattative
precontrattuali
j) contratti di assicurazione.
Nel punto 4 ci dice → per
stato membro si intendono gli stati membri ai quali si applica il
presente regolamento.
Chiaramente questo regolamento deve essere
coordinato con altre norme di diritto internazionale privato di natura
comunitaria e internazionale, lo fanno gli articoli 23 e 25.
L’art. 23
dice → il regolamento non pregiudica l’applicazione delle disposizioni
comunitarie emanate già in passato o da emanare in futuro con
riferimento a settori specifici che disciplinino i conflitti di legge in
materia contrattuale. Quindi questo regolamento detta una disciplina
generale, se però l’UE emette su settori specifici, una disciplina
particolare il regolamento si tira indietro perché prevale questa
disciplina puntuale.
L’art. 25 dice → il regolamento non osta
all’applicazione delle convenzioni internazionali di cui uno o più stati
membri sono parti contraenti (già concluse con stati terzi) al momento
dell’adozione del presente regolamento che disciplinano i conflitti di
leggi inerenti ad obbligazioni contrattuali.
Quindi il regolamento si
applica a tutti gli stati dell’UE, se però c’era un accordo, una
convenzione fra uno stato dell’UE e uno stato terzo, succede che le
convenzioni internazionali già stabilite per esempio fra Germania e USA
al momento dell’adozione del regolamento non vengono bloccate
dall’entrata in vigore del regolamento. Questo però succede perché c’è
il coinvolgimento di soggetti che non sono stati membri ma se c’erano
delle convenzioni concluse fra stati membri, fra due o più di essi, il
diritto unionale diventa totale quindi viene a sostituirsi a pieno. Il
presente regolamento prevale tra stati membri sulle convenzioni concluse
esclusivamente da due o più di essi nella misura in cui essere
riguardino materie disciplinate dal regolamento.
Art. 3 → la scelta del
diritto applicabile alle obbligazioni contrattuali nasce da contratto
internazionale.
Art. 3 (libertà di scelta) dice che il contratto è
disciplinato dalla legge scelta dalle parti, il criterio di collegamento
ai fini dell’individuazione dell’ordinamento statale competente a
regolare le obbligazioni contrattuali. Quindi se si deve regolare le
obbligazioni derivanti da questo contratto che si sta stipulando, in
primo luogo vale la legge che è stata scelta dalle parti. I
“considerando" sono le premesse del regolamento. Il considerando 11 (la
libertà delle parti di scegliere la legge applicabile dovrebbe
costituire una delle pietre angolari del sistema delle regole di
conflitto di leggi in materia di obbligazioni contrattuali), si vuole
che siano le parti in primo luogo a stabilire quale sia la legge
applicabile al contratto. Le parti quindi scelgono liberamente la legge
applicabile e poi giudice competente a risolvere le controversie oppure
la scelta di ricorrere agli arbitri. Tramite questo regolamento si
vengono a dettare dei principi fondamentali in materia di legge
applicabile e anche di quello che è il giudice che dovrà risolvere le
controversie. Fondamentalmente sono questi i punti che noi nel contratto
dobbiamo inserirci, gli altri sono tutte clausole.
Il contenuto del
contratto è legato all’operazione negoziale specifica, ci si può
scrivere quello che si vuole in relazione a quello che si vuole ottenere
ma i punti su cui ci si deve soffermare: oltre alla lingua sono questi
due → legge applicabile e giudice/arbitro competente.
La legge
applicabile si individua ai sensi di questo regolamento, il quale in
primo luogo dice che per individuare la legge nazionale/statale che si
applica al contratto conta in primo luogo la volontà delle parti, le
quali possono decidere anche di applicare la legge di uno stato che non è
uno stato membro. Questa possibilità è prevista, anche l’art. 2
(carattere universale) dice le parti possono decidere questo.
Quali sono
i limiti all’autonomia delle parti? All’art. 3 (terzo comma) si dice →
qualora tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione… cioè se si è
scelta la legge di uno stato ma per tutta una serie di altri elementi
viene in rilievo si riconduce, ci spingono verso gli elementi di un
altro paese, in questo caso le norme imperative di quel paese devono
essere applicate.
Lo stesso discorso vale nel comma 4 → dove si parla di
disposizioni imperative dell’UE. Art. 3, 6, 8, 9, 11, 21 sono una serie
di articoli che ci fanno capire come se da un lato c’è la possibilità
per le parti di scegliere liberamente la legge da applicare al loro
contratto, in altri casi la libertà non c’è.
Per esempio art. 11 comma 5
→ qualsiasi contratto che ha per oggetto un diritto reale immobiliare o
una locazione di un immobile è sottoposta ai requisiti di forma della
legge del paese in cui l’immobile è situato. Si può applicare tutte le
leggi del mondo, però è inevitabile che quando c’è un immobile di mezzo,
non si può disapplicare le norme sulla forma del trasferimenti di
immobili d’Italia se l’immobile per esempio è in Italia. Per quanto ci
sia la possibilità di scegliere, queste scelte urtano con delle
limitazioni che scaturiscono dalle leggi.
Un’altra di queste limitazioni
all’applicazione della legge di uno stato straniero (esempio: se si
richiama la legge tedesca, il giudice è italiano quindi si deve
preoccupare di applicare la legge tedesca ma nel momento in cui la legge
tedesca fa ingresso nel nostro ordinamento a quali limitazioni può
vedersi opposta? Le norme di applicazione necessaria) sono le norme di
applicazione necessaria, come limite preventivo all’ingresso nel nostro
ordinamento di una legge di un altro paese.
Il limite successivo invece
era un limite dell’ordine pubblico internazionale. Quindi la scelta
delle parti o perché riguarda determinati settori o perché ci possono
essere nome di applicazione necessaria o perché vengono coinvolti dei
consumatori/ lavoratori, possono queste norme rappresentare un limite
all’ingresso della legge straniera richiamata liberamente dalle parti
nel momento in cui questa deve essere applicata. Quindi ci stiamo
preoccupando di scegliere la legge applicabile, la libertà si estende,
come già detto, alla possibilità di scegliere la legge di uno stato
terzo (art. 2), è quel carattere universale che attribuisce alle parti
piena autonomia. La scelta della legge deve essere espressa
positivamente cioè bisogna dire: “noi scegliamo il presente contratto, è
sottoposto alla legge italiana", con chiarezza e può anche trattarsi di
una volontà implicita ma deve essere sempre e comunque individuabile,
mai presunta, ipotetica in quanto attribuirebbe al giudice un potere
sconfinato e incontrollabile. Quindi la scelta deve essere fatta in
termini positivi.
La scelta può richiamare un ordinamento giuridico
unificato (l’intero stato) o richiamare un’unità territoriale di uno
stato federale (legge dello stato del Delaware molto utilizzata). Non è
il regolamento che decide quella che viene richiamata, cioè tu fai il
richiamo e quello è il richiamo che va a buon fine.
Il problema è la
scelta negativa: le parti si limitano a dire “non vogliamo la legge
tedesca" → è una volontà negativa, bisogna ricostruire la volontà delle
parti perché se il non scegliere la legge tedesca implica una scelta
indiretta è un conto (non scelta di questa legge porta alla scelta di un
altra legge, non ci sono problemi perché comunque c’è stata una scelta)
ma se non scegliere la legge tedesca implica una non scelta, a quel
punto si applicano i criteri che stabiliscono quale sia la legge
applicabile in mancanza di scelta.
È possibile il cosiddetto
dépecage? Guardando l’art. 3 il dépecage è una frazione del diritto
applicabile, cioè alle parti si riconosce la possibilità di regolare
alcuni aspetti con una legge e altri aspetti con una legge diversa. Non
c’è limite da questo punto di vista, se si vede l’art. 3 comma 1
(seconda parte) → le parti possono designare la legge applicabile a
tutto il contratto ovvero a una parte soltanto di esso. Si può dire per
quello che riguarda il contratto, esso è interamente soggetto alla legge
francese, le ipotesi di nullità del contratto sono quelle della legge
tedesca.
Questa è la pratica del dépecage, di prendere leggi diverse di
stati diversi e di applicarla a diverse parti del contratto. Il dépecage
non incontra limiti particolari.
Si hanno tutta una serie di aspetti,
le parti potrebbero dire per il contenuto → legge tedesca mentre
per l’esecuzione → legge francese e cause di nullità → non si dice
nulla. A questo punto entrano in gioco i criteri che si applicano in
caso di non scelta. O si sceglie su tutto, o si sceglie su tutto
prendendo anche leggi diverse o si lasciano delle parti in bianco (non
scelta), sulle parti che non si regolano regole precise ( → ).
Il
contratto comunque dovrà essere coerente e non è che si può nel momento
in cui si è richiamata una legge dire: non voglio quelle disposizioni di
quella legge quindi o ne applico altre però non si possono prendere
solo dei pezzi di un ordinamento. Il richiamo si intende per l’intero.
Nel momento in cui si richiama la legge di un paese, il richiamo opera
per l’interno a meno che non si dice che si dice che certi altri aspetti
sono regolati dalla legge di un altro stato.
Quali sono le ulteriori
problematiche electio iuris? Ci stiamo occupando di questa legge da
applicare, di solito la legge che finora abbiamo richiamato è stata la
legge di uno stato.
Si può pero richiamare per regolamentare questi
contratti ad esempio la lex mercatoria o i principi UNIDROIT?
Possono le
parti scegliere come legge applicabile i principi e le norme di diritto
sostanziale dei contratti individuati da fonti astatuali come principi
UNIDROIT o la lex mercatoria?
La risposta è no, è stata una specifica
scelta del legislatore comunitario quella di recepire sia la lex
mercatoria che i principi UNIDROIT (fonti astatuali) soltanto in via
mediata cioè soltanto qualora esse siano recepite e richiamate da altre
leggi statali.
Quindi il contratto non può essere regolato dalla lex
mercatoria ma si può dire: il contratto è regolato dalla legge italiana,
e se a sua volta la legge italiana sente il richiamo della lex
mercatoria o dei principi UNIDROIT a quel punto si può operare questo
rinvio e si può consentire questa ricezione ma non si può richiamare mai
direttamente perché è una fonte astatuale.
Il regolamento permette di
richiamare soltanto fonti statuali. Quindi la lex mercatoria e i
principi UNIDROIT possono trovare applicazione come legge applicabile
solo in quanto richiamabili da parte di una legge statuale che è stata
richiamata, non in via immediata ma in via mediata. Quindi mai come
richiamo diretto.
Si può richiamare un diritto abrogato? (cioè un
diritto che prima che era in vigore) No.
Si può richiamare un diritto
astatuale a base religiosa? (per esempio un contratto regolato dalla
sharia) No.
Quando si fa un rinvio ad un ordinamento si richiamano anche
le norme di diritto internazionale privato o no?
Il diritto richiamato
viene richiamato direttamente quindi non vengono richiamate le norme di
diritto internazionale privato dell’ordinamento richiamato.
Esempio:
richiamo la legge inglese (quindi legge applicabile: inglese), alle
obbligazioni contrattuali noi sottoponiamo la legge inglese. Quella che
viene richiamata è direttamente la legge inglese, non la conflict law
perché il rischio è che se io vado a richiamare la conflict law, la
conflict law mi rimandi ad altri ordinamenti perché questa è la funzione
delle norme di diritto internazionale privato cioè quella di
individuare una legge applicabile. Il rinvio riguarda la legge materiale
e non le norme di diritto internazionale privato, perché se io andassi a
richiamare di quella legge che voglio applicare a contratto anche le
norme di diritto internazionale privato → la conseguenza potrebbe essere
che le norme di conflitto potrebbero richiamare una legge che non
voglio. Invece io voglio la legge materiale di quello stato, non le sue
norme di conflitto.
C’è la possibilità di richiamare il diritto a una
certa data? No, il diritto viene chiamato nella sua interezza. È una
scelta non valida in quanto ogni modifica delle legge si riverbera sulla
scelta, sulla lex contratcus che abbiamo scelto.
Quando si fa la scelta
della legge applicabile al contratto? Si fa al momento della
conclusione del contratto stesso.
Si può fare una scelta tardiva?
Sostanzialmente si, lo si può scegliere in un secondo momento con
effetto retroattivo ma non può essere mai una scelta unilaterale, cioè
si può per esempio oggi sottoscrivere il contratto e non dire nulla. Una
settimana dopo ci ripenso: si fa un addendum con il quale si dice →
vogliamo sottoporre il nostro contratto a questa lex contractus, questo
produce effetto retroattivo ma questa scelta non la può solo fare
unilateralmente le parti, troppo comodo. Questa scelta si può fare anche
in sede processuale purché venga fatta alla prima udienza di
trattazione della controversia quindi prima che la controversia abbia
già avuto un suo sviluppo e una sua trattazione dal giudice. Si può
anche variare questa scelta purché questa scelta venga fatta in maniera
espressa e in termini positivi cioè non con la scelta negativa.
I limiti
alla scelta sono indicati all’art.3 commi 3 e 4, i quali → quando si sceglie
una certa legge e per un qualsiasi motivo tutti gli altri elementi
pertinenti alla situazione sono ubicati, in un paese diverso non
possiamo prescindere dalle norme imperative di questo stato. Stesso
discorso per le norme imperative unionali. Anche se viene fatta una
certa scelta, c’è un forte collegamento con un terzo paese o comunque
con il diritto dell’UE che detta delle norme imperative al riguardo,
nonostante la scelta, queste norme imperative trovano applicazione.
Norme imperative sono norme interne che non possono essere mai derogate.
Per esempio le norme imperative possono essere quelle sulla nullità del
contratto, queste non possono essere derogate dalle parti, che non
possono inventare delle nullità diverse. Quindi ogni ordinamento ha una
serie di norme imperative. Se per esempio un contratto concluso fra un
francese e un tedesco, tirano in ballo per una serie di motivi
(esecuzione del rapporto, serie di situazioni), l’Italia a quel punto
dovranno essere applicabili anche le norme imperative italiane. Per via
di questo richiamo che viene dalla presenza di tutti gli elementi del
contratto presenti del nostro paese non possono essere disapplicate.
Lo
stesso vale per le norme imperative unionali, sono norme imperative che
vengono stabilite a livello di UE, e queste trovano sempre applicazione.
PACTUM
DE LEGE UTENDA → (pactum circa la legge da utilizzare), è quella
clausola del contratto con la quale noi scegliamo la legge da applicare
al nostro contratto.
Questa legge viene richiamata, quindi noi
stipuliamo un contratto e con il pactum de lege utenda decidiamo di
sottoporre il nostro contratto ad una certa disciplina, ad una certa
legge straniera.
Questo pactum è sostanzialmente autonomo e indipendente
anche per quello che riguarda la sua validità, per quello che riguarda
la sua esistenza, per quello che riguarda la validità del consenso
prestato rispetto al resto del contratto. Quindi abbiamo questo
contratto con una clausola (quella del pactum de lege utenda, art.7), il
quale dice: questo contratto è sottoposto alla legge italiana.
Questo
articolo, questo pactum ha una sua autonomia in termini di validità,
efficacia perché questo pactum cosa fa? Richiama la legge applicabile.
Il problema è che se ai sensi della legge che viene richiamata, il
contratto è nullo sarebbe nullo anche il pactum de lege utenda.
Nel
momento in cui è nullo questo pactum è nullo quel meccanismo che ha
richiesto di richiamare quella legge (problema regresum ad infinitum).
Per questo, questo pactum deve essere considerato assolutamente
indipendente in termini di requisiti di validità, efficacia e di
esistenza rispetto al resto del contratto, perché se ci fosse questa
estensione della nullità verrebbe meno proprio il parametro ai sensi del
quale è stata richiamata la legge che sancisce la nullità. La scelta
può essere anche una scelta implicita positiva di questa legge perché
può essere per esempio derivante dall’utilizzo di una certa lingua, dal
fatto che uso una certa moneta, dal luogo di esecuzione,
dall’interdipendenza con contratti disciplinati da una legge specifica,
dalla scelta di un determinato foro di competenza quindi io non faccio
un richiamo diretto ma deduco questo richiamo da questi elementi
impliciti.
La scelta può anche riguardare una convenzione
internazionale. Si può richiamare una convenzione internazionale per la
disciplina del nostro rapporto contrattuale?
Si, però in questo caso
vale lo stesso principio che valere la lex mercatoria, diritto astauale
cioè è un richiamo che trova applicazione soltanto in termini
contrattuali quindi questo richiamo non vale come electio iuris, come la
scelta del diritto applicabile ma solo come ricezione materiale
contrattuale. Quindi si prende il contenuto di questa convenzione e lo
si traduce in clausole di contratto. Non si sottopone la disciplina
dell’intero contratto a questa convenzione, come se fosse il diritto
regolatore ma si prende questa convenzione e la si recepisce come regole
contrattuali.
Lo stesso vale per la lex mercatoria, no richiamo
diretto, no diritto applicabile però traduco la lex mercatoria,
utilizzabile dalla legge dello stato che abbiamo richiamato, in termini
contrattuali.
Questa lex contractus che abbiamo richiamato, a che cosa
si applica? Quali aspetti copre?
Ce lo dice l’art. 12 → la legge
applicabile al contratto ai sensi del presente regolamento disciplina in
particolare:
• sua interpretazione
• esecuzione delle obbligazioni le
conseguenze dell’inadempimento totale o parziale
• estinzione delle
obbligazioni (prescrizioni e decadenze)
• conseguenze della nullità.
Che
cosa succede quando la scelta (che era nella facoltà delle parti di
effettuare) non viene fatta?
La pietra angolare del considerando dice
che fondamentalmente è volontà del regolamento quindi del legislatore
europeo che siano le parti a scegliere la legge applicabile però il
legislatore europeo si pone anche nella posizione di dettare delle
regole qualora questa scelta non sia stata fatta. Il regolamento dice
che prima che scattino tutta una serie di altre situazioni, tira in
ballo il successivo art. 4. Quando le parti non vogliono o non possono
scegliere la legge applicabile di un contratto che è stato concluso dopo
17/12/2009 (prima c’era la convenzione di Roma) occorre fare
riferimento a dei criteri oggettivi. Il legislatore europeo fa
riferimento a dei criteri oggettivi perché così si arriva sempre alla
stessa soluzione, in maniera tale che venga identificato l’ordinamento
statale in maniera certa, garantistica, prevedibile e in maniera tale
che quindi in difetto di scelta si sappia quali criteri utilizzare per
individuare la legge applicabile al contratto. All’art. 4 primo comma
individua una serie di contratti tipici e dice che quando si tratta di
contratti indicati al primo comma, bisogna seguire il criterio di
collegamento che viene stabilito proprio in quel primo comma. Non va a
trovare criteri strani, ma per ogni contratto c’è il suo criterio di
collegamento (a,c..). Detta dei criteri puntuali che permettono
facilmente di individuare la legge applicabile.
Se il contratto in
questione è un contratto non tipizzato, allora quale è il criterio di
collegamento che si deve utilizzare?
Ce lo dice il comma 2 → se il
contratto non è coperto dal paragrafo o sono combinati fra quelli
sopra… Il contratto è disciplinato dalla legge del paese nel quale la
parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha
la residenza abituale. Questo è individuato già dal considerando 39 che
sottolinea l’importanza di avere una univoca idea di residenza
abituale. La prestazione caratteristica è la prestazione che individua
un certo tipo contrattuale. Fra uno che paga e uno che deve fare una
prestazione particolare, la prestazione caratteristica è il secondo
perché non è che pagare del denaro individua la prestazione
caratteristica che invece è rappresentata da
quell’adempimento/obbligazioni che qualificano un certo tipo
contrattuale rispetto ad un altro, quindi dovrebbe richiamare il
concetto di causa contrattuale.
Quindi come si fa ad individuare questa
legge? Bisogna fare riferimento al soggetto che deve fare la prestazione
caratteristica e poi quando individuato, fare riferimento alla sua
residenza abituale, di chi deve rendere la prestazione caratteristica
per poi individuare la legge applicabile (definita all’art.19 comma 1 e
2) → ai sensi del regolamento si intende per persona giuridica,
associazioni e società il luogo dove si trova l’amministrazione centrale
mentre per persona fisica la sede di attività principale.
Poi c’è una
clausola di eccezione che dice: se dal complesso delle circostanze del
caso risulta chiaramente che il contratto però presenta collegamenti
manifestamente più stretti con un paese diverso da quello indicato ai
paragrafi 1 e 2 si applica la legge di tale diverso paese( art.4 comma
3), se non c’è la prestazione caratteristica oppure sono tutte e due
caratteristiche come una permuta immobiliare, si fa riferimento al terzo
criterio cioè si va a verificare se il nostro contratto per un
qualsiasi motivo presenta un collegamento (di elementi, aspetti) più
stretto con un paese rispetto ad un altro. Il giudice deve vedere quando
si realizza questo collegamento e con quale paese si realizza, deve
capire il collegamento (più stretto) che può qualificare l’applicabilità
di una certa legge. Se le circostanze del contratto sono tali per cui
si verifica che questo, è strettamente legato ad un terzo paese, cioè a
un paese diverso da quello che sarebbe individuabile ai sensi di quegli
altri criteri, si deve andare ad applicare la legge di questo terzo
paese, che è il terzo criterio che viene detto al comma 4 (art.4). Il
legislatore comunitario quindi dice questo, tutto questo quando la
scelta non viene fatta.
Quando si va a parlare di legge richiamata,
questa incontra una serie di limiti nel momento in cui viene effettuato
questo richiamo. Quali sono questi limiti?
Le norme di applicazione
necessaria rappresentano un limite preventivo (ex ante) mentre l’ordine
pubblico internazionale, limite successivo (ex post) che nonostante le
norme siano stata accettate all’interno del nostro ordinamento impedisce
che esse possano essere applicate. Le norme di applicazione necessarie
(statali, unionali, interstatuali, di varia fonte) si trovano indicate
all’art. 9 del regolamento (comma 1, 2,3).
Sono delle norme che sono
poste a salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale, economica
dello stato del foro. Per questo fungono da sbarramento perché
rappresentano, i principi cardine dell’organizzazione politica, sociale e
economica dello stato del foro. Dice quale sia la legge applicabile al
contratto o perché è stata scelta o per il collegamento più stretto o
per la prestazione caratteristica, qualsiasi sia la legge
richiamata in ogni caso troverà la porta sbarrata in presenza di questo
limite ex ante, rappresentato dalle norme di applicazione necessaria. Il
comma 3 → dice non solo possono venire in rilievo le norme di
applicazione necessaria del foro ma anche quelle di un terzo paese
qualora ci sia il rischio di un adempimento illecito.
Queste sono le
norme di applicazione necessaria che devono essere applicate dal
giudice, ma può essere che la questione sia stata devoluta ad un arbitro
e allora l’arbitro quali norme di applicazione necessaria dovrebbe
applicare? Quelle del luogo dove è situato l’arbitro? In questo caso, si
ritiene che sia una sua facoltà.
Quelle della legge richiamata dal
contratto? Se ritiene che sia un obbligo, quella del luogo
dell’esecuzione è una sua facoltà (vedere schema numero 19 del marella
che spiega tutta questa situazione).
Per quanto riguarda invece l’ordine
pubblico internazionale, questo è un limite successivo perché il
diritto richiamato può non andare ad urtare con le norme di applicazione
necessaria ma può andare ad urtare con dei principi fondamentali
ispiratori, irrinunciabili per l’ordinamento dello stato in cui il
giudice si trova a decidere. Quindi non si può permettere che il diritto
richiamato, vada ad urtare con questi principi fondamentali che sono
suscettibili nel variare nel tempo (unioni civili). Questo concetto di
ordine pubblico internazionale non è un concetto fissato e
cristallizzato nel tempo. La norme per esempio che riconoscono la
poligamia non possono trovare applicazione nel nostro ordinamento.
Queste norme di fatto non sono scritte ma nel momento in cui vado a dare
esecuzione alla norma (che non è andata a urtare con le norme di
applicazione necessaria), l’applicazione di quel diritto straniero trova
un limite nelle norme dell’ordine pubblico internazionale. L’ordine
pubblico che ci riguarda hanno la funzione di limitare il funzionamento
delle norme di diritto internazionale privato, come quelle del
regolamento, e quelle della 218 del 95, perché è espressione di esigenze
fondamentali della società e di diritti politici, civili, economici,
sociali e culturali propri di un certo paese e di un certo momento
storico. L’ordine pubblico internazionale diverso da quello interno, che
è l’insieme di quelle norme imperative, sia di carattere unionale e
interno/nazionale.
Quindi nel momento in cui un diritto straniero entra
nel nostro però viene bloccato dai principi dell’ordine pubblico
internazionale, quel diritto straniero non può essere applicato ma
allora che cosa si applica? La legge 218 del 95 (detta la disciplina di
diritto internazionale privato cioè si applica la conflict law
italiana), la quale ci aiuta a trovare i criteri da utilizzare per
regolare quella situazione. Nella peggiore ipotesi, se non troviamo dei
criteri → legge italiana.
È rimasto da definire → giudice. Quando si
va a scegliere il giudice, è sempre opportuno prefigurare all’interno
del nostro contratto una soluzione circa chi, il soggetto che deve
risolvere la controversia senza rinviare al momento in cui i rapporti
fra le parti sono deteriorati. In questa fase (all’inizio) più facile
trovare un accordo circa le modalità di risoluzione della controversia.
La scelta può essere fra il giudico nazionale/ordinario o l’arbitro. Si
va dal giudice ordinario quando:
- se la controversia non ha un valore
molto elevato e si rende necessario ricorrere a misure cautelari
(sequestro).
Il sequestro non si può chiedere all’arbitro quindi si va
dal giudice ordinare perché può adottare anche delle misure cautelari o
anche procedimenti speciali o materie che devono essere per legge decise
da un giudice oppure perché non ci sono arbitri capaci su quella
specifica materia.
Per la scelta bisogna fare riferimento alla strategia contrattuale complessiva che si ha seguito.
A questo
punto entrano in gioco le cosiddette ADR (alternative dispute
resolution) cioè sistemi di risoluzione delle controversie, sistemi
alternativi di risoluzione delle controversie.
Quali possono essere?
Sono 3 → la mediazione, conciliazione e l’arbitrato.
In che cosa sono
diversi?
Questo sistema di mediazione è fondamentale anche
nell’ordinamento italiano in questo momento. Si dice che l’esigenza che
sta alla base della mediazione è un esigenza deflativa cioè si vuole
ridurre il numero di casi da sottoporre al giudice. Il problema è che i
tribunali sono pieni di casi, lentezza nelle decisioni quindi a partire
dal 2008/2010 il legislatore ha cominciato ad introdurre nel nostro
ordinamento una serie di sistemi che invece sono diffusi in altri paesi.
Questi sistemi sono gli ADR e hanno l caratteristica di essere
importanti per vari motivi: in alcuni casi sono obbligatori cioè nn si
può andare in lite davanti al giudice se prima non si è passato
attraverso questi sistemi e comunque hanno una durata contenuta (3
mesi). O riesci in tre mesi a metterti d’accordo o vai davanti al
giudice e se si va davanti al giudice, che può tenere conto che non ci
si è accordati magari per colpa di una parte. Lo scopo quindi è quello
di ridurre il carico degli organi giudicanti.
Questo in Italia mentre in
generale questo concetto è che intanto... anche l’Italia ha adottato la
mediazione che è quel procedimento attraverso il quelle parti aiutate da
un mediatore cercano di trovare una soluzione per la controversia che è
sorta tra le stesse. È un mediatore quindi non un giudice, non è un
soggetto che decide ma un soggetto che ascolta le parti individualmente e
congiuntamente, cerca di condurle verso una decisione comune ed
accettabile per entrambe. Se la mediazione si finisce bene, procedura
rapida, informale, riservata (non cosi impatto mediatico rispetto a un
caso giudiziario), si conclude in via amichevole questa controversia.
Diverso è il conciliatore che invece tende a decidere in punto di
diritto, esprimendo una sua valutazione in relazione agli aspetti
giuridici della controversia. Qui c’è un qualcuno che decide, che
propone una soluzione, è più forte il potere decisionale rispetto al
mediatore anche se le parti si possono ritirare in qualsiasi momento da
questa procura di conciliazione. Si caratterizza per la sua rapidità,
informale.
Poi c’è l’arbitrato che può essere interno, internazionale e
nel momento in cui questo ricorso agli arbitri è previsto all’interno
delle clausole contrattuali, quando si va davanti agli arbitri e poi ci
si sottrae dalla decisione arbitrale, il giudice di questo tiene conto.
Gli arbitri rendono una decisione attraverso un provvedimento che si
chiama lodo arbitrale. Il lodo arbitrale è suscettibile di essere
eseguito con tutti i crismi all’interno di un ordinamento giuridico,
quindi quando è che conviene andare di fronte all’arbitro?
L’arbitro è
in grado di dare la soluzione in termini informali, rapidi, più costosi,
riservatezza, esperienza e competenza, ci si può assistere anche da un
avvocato in sede arbitrale, riconoscimento e l’esecuzione del lodo è
riconosciuta in moltissimi paesi ma gli arbitri in base a che cosa
possono decidere? Gli arbitri sono più liberi nella scelta delle norme
applicabili, non sono vincolati come i legislatori. Il legislatore
nazionale si muove su parametri più stretti mentre arbitro può
richiamare anche fonti astatuali: lex mercatoria e principi UNIDROIT.
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Dettagli appunto:
- Autore: Alice Lacey Freeman
- Università: Università degli Studi di Macerata
- Facoltà: Mediazione Linguistica e Culturale
- Corso: Diritto del Commercio Internazionale
- Esame: Diritto del Commercio Internazionale
- Docente: Fabio Pucciarelli
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