La regola della spaziotemporalità umana
Ci sono due modi di intendere l’architettura:
- Arte come IMITAZAZIONE della NATURA (oggetto), paradigma che dura dalla Grecia antica fino agli inizi dell’Ottocento.
- Arte come ESPRESSIONE dell’IO (soggetto), paradigma che investe tutta l’epoca moderna e contemporanea.
Fare arte imitando la natura significa imitare la volta del cielo.
Imitare la volta del cielo significa che va ricercata la misura umana nella volta del cielo infatti per costruire lo spazio serve una misura umana universale.
Imitare la volta del cielo significa che va ricercata la misura umana nella volta del cielo infatti per costruire lo spazio serve una misura umana universale.
La regola della SPAZIOTEMPORALITA’ UMANA (SPAZIO = punti cardinali – TEMPO = il sole dà la misura del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni) la si trova nella volta del cielo.
Le proporzioni della volta celeste vengono dunque tradotte in numeri, proporzioni numeriche e valgono come regole.
Con Hegel si assiste ad un passaggio:
A=IMITAZIONE della NATURA
↓
A=ESPRESSIONE dell’IO
Parlare di arte come espressione dell’io significa parlare di arte autoreferenziale che non risponde a niente che sta al di fuori di sé ovvero non fa riferimento a nessuna legge.
Questo ha portato alla realizzazione di una serie di “mostri”, ovvero spazi che non sono a misura d’uomo e quindi sono ostili alla vita umana (esempio i gradini della scala della stazione di Bovisa, imitano i gradini di una piazza rinascimentali fatti per essere percorsi dai cavalli, il passaggio all’arte come espressione dell’io legittima il fatto che vengono realizzati gradini di questo tipo per essere percorsi da uomini seppure non sono affatto a misura umana).
Con Hegel si assiste ad un passaggio:
A=IMITAZIONE della NATURA
↓
A=ESPRESSIONE dell’IO
Parlare di arte come espressione dell’io significa parlare di arte autoreferenziale che non risponde a niente che sta al di fuori di sé ovvero non fa riferimento a nessuna legge.
Questo ha portato alla realizzazione di una serie di “mostri”, ovvero spazi che non sono a misura d’uomo e quindi sono ostili alla vita umana (esempio i gradini della scala della stazione di Bovisa, imitano i gradini di una piazza rinascimentali fatti per essere percorsi dai cavalli, il passaggio all’arte come espressione dell’io legittima il fatto che vengono realizzati gradini di questo tipo per essere percorsi da uomini seppure non sono affatto a misura umana).
Il pericolo dell’autoreferenzialità è che, siccome non è necessario rifarsi ad un normario condiviso, nel senso che chiunque si può autoproclamare un artista soltanto perché l’ha deciso, prima questo non poteva avvenire per principio.
L’uomo è quindi considerato libero perché non prende regole da nessuno e la sua arte non prende più regole dalla natura ma solo da se stesso in questo modo viene a mancare una controparte con cui confrontarsi in modo da perfezionare il proprio lavoro.
La natura non è più considerata superiore all’arte e questo ha conseguenze positive in quanto si assiste a grandi sperimentazioni in campo artistico ma anche negative in quanto si sperimenta una libertà quasi anarchica.
Nel corso del Novecento i filosofi smettono di domandarsi quale sia la definizione di arte e quindi non si interrogano più su cosa sia un’opera d’arte.
Nel corso del Novecento i filosofi smettono di domandarsi quale sia la definizione di arte e quindi non si interrogano più su cosa sia un’opera d’arte.
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Dettagli appunto:
- Autore: Francesca Zoia
- Università: Politecnico di Milano
- Facoltà: Architettura
- Corso: Progettazione Architettonica
- Esame: Estetica dell'architettura
- Docente: Simona Chiodo
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