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Filosofia contemporanea:
Il corso comprende una profonda e ricca riflessione circa il tema della morte affrontato da alcuni autori chiave della storia della filosofia contemporanea, quali Tolstoj, Levinas, Montaigne, Bloch ed in particolare Heidegger: centrale è il ruolo del Da Sein nell'opera Essere e tempo (qui particolarmente approfondita) all'interno di questa particolare prospettiva. Focale infatti risulta anche esser la questione del tempo, inteso come fenomenologico. Durante il corso sono trattate diverse altre opere, tra cui: Il servo e il padrone e Cosa fa vivere gli uomini di Tolstoj, estratti da Essay di Montaigne, Totalità e infinito e Al di là dell'essere di Levinas e l'opera generale di Bloch intesa come "filosofia della speranza". Tutte queste sono state prese in considerazione per essere rapportate a Essere e tempo sia in senso di continuità che di critica, oltre all'esser usate come manifesto dei rispettivi autori circa la loro peculiare visione (fenomenologica, etica, ontologica e storica) riguardante il grande mistero della morte, che da sempre affascina e mette in crisi lo status di essere umani.
Dettagli appunto:
- Autore: Elisa Belotti
- Università: Università degli Studi di Bergamo
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Filosofia
- Esame: Filosofia contemporanea
- Docente: Enrico R.A. Giannetto
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F i l o s o f i a c o n t e m p o r a n e a Appunti di Elisa Belotti Università degli Studi di Bergamo Facoltà: Lettere, Filosofia, Scienze della comunicazione Corso di Laurea: Filosofia e storia delle scienze naturali e umane Esame: Filosofia contemporanea Docente: Enrico R. A. Giannetto A.A. 2019/2020Socrate basa tutto su il dialogo e potremmo trovare basi diverse per la posizione che noi abbiamo delineato ma per come finiscono i Dialoghi, cioè a volte incompiuti e a volte elaborati per far in modo che la sua posizioni brilli, ma comunque dialogo e maieutica sono mezzi per arrivare alla verità e al Bene ponendo la domanda su cosa sia il bene. Socrate pensa di poter fare arrivare le persone a una considerazione del bene comune basandosi sull'eudaimonia che prevede che la felicità rispecchi il proprio bene personale: si trova un accordo che stia bene a tutti con una certa dose di egoismo ma vuole far le carte false nel senso che vuol far emergere che il comportarsi eticamente porti alla felicità, ma non riesce a legittimare questa posizione perchè per poterlo bisogna ammettere che dietro relazioni buone, ne vengono poi fini individuali come la beatitudine eterna. Questo è ciò che viene rimproverato ai cristiani a sfondo platonico: mi comporto bene non perchè penso che lo sia, ma in virtù di un tornaconto personale, cioè andare in Paradiso. Potremmo analizzare anche eros, nel pensiero platonico e l'amore cristiano (agapè o acharis): la prospettiva di Eros, come spiegano alcuni storici della filosofia antica, è rivolta però a un oggetto di realizzazione e desiderio e l'altro è un oggetto di eros che porta alla realizzazione di sé, non è un oggetto che deve essere reso felice ma l'obiettivo è la realizzazione personale, è individualistico in cui l'altro è un mero strumento. Agostino sostituisce all'idea del bene platonico, Dio stesso ma in questo caso è legittimato solo in quanto l'unico che può dar felicità all'uomo: Dio stesso è lo strumento! Non va amato di per sé e quindi è la finalità. Poi l'Eros socratico platonico deve fare un movimento di carattere ascendente, deve passare all'eros verso il bel corpo, poi la bella anima e poi il bene, deve esser purificato dall'elemento materiale originale fino addirittura al Bene e diventare quindi l'amore di un'idea, è il processo che Freud 1chiama di sublimazione perchè sostituisce a qualcosa di terreno con qualcosa di ideale. Sant'Agostino divide due atteggiamenti che qualificano la possibilità del comportamento umano verso le cose: l'uti e il fruit. L'uti è il rapporto strumentale che l'uomo ha nei confronti del mondo, il mondo è uno strumento per l'uomo, va usato e sarà anche in Essere e tempo dove analizza il fenomeno del mondo in termini di utilizzabilità in senso ampio, ma sostanzialmente ha un atteggiamento strumentale. Lo stesso Dio è oggetto del fruit, cioè si deve godere di Dio ma che non è molto diverso dall'uti, è il mezzo raggiungere la felicità individuale e tant'è vero che quando Hanna Arendt nel 1928 scrive la tesi di dottorato sotto Jasper e Heidegger e scrive il concetto di amore in Agostino fa notare che questa concezione platonica con cui egli presente il cristianesimo, rende difficile considerare l'amore del prossimo, perchè in un certo senso è terreno e non rivolto Dio o diventa solo uno strumento per cui poi dopo si rivolge l'attenzione Dio. Agostino sa che però non si può ridurre a questo e sa che il prossimo e l'amore verso di esso, è identificabile con l'amore di Dio e ciò emerge nella Lettera ai Corinzi di San Paolo dove egli identifica i due amori ed è presente anche nel Vangelo di Matteo quando Gesù riporta una parabola che è relativa alla questione del comportarsi facendo la volontà di Dio in cui chiede alle persone come si sono comportati, ma esse non si rendono conto che quando hanno da bere e da mangiare al più piccolo del Suo prossimo, lo hanno fatto anche a Lui e viceversa quando non l'hanno fatto. Gesù allora, rappresenta l'amore per Dio i questa parabola. Nel Cristianesimo c'è questa identificazione non presente nel platonismo ma purtroppo questo ritorna anche in forme di misticismo vario anche moderno e solitamente come esempio la canzone di Battiato, “E ti vengo a cercare” in cui egli dice che deve fare come un eremita che rinuncia a sé, ma non si tratta di questo in realtà! Non bisogna cambiare allora l'oggetto dei desideri, non rientriamo nella prospettiva per cui l'amore di Dio non si rispecchia negli altri, non è altro, è pura astrazione ideale. Anche nelle filosofie orientali, dove comunque l'attenzione agli altri è in un certo senso presente come nel giainismo, si tratta comunque di un'etica personale: gli altri vanno rispettati non perchè altri appunto, ma per propria purezza personale. Da un lato c'è un innesto del cristianesimo in Occidente che rappresenta un modo di vivere molto diverso da quello delle origini ma che ha delle affinità con la rpima diffusione del I sec. la prima fase però è la persecuzione percui non è riferimento per tutti, ma solo dopo l'Editto di Milano e poi dopo quelli di Teodosio del 380 d.C con la nomina a religione dell'Impero, ma ne cambia i connotati perchè è neutralizzato perchè appunto religione globale ma anche culturale perchè si va a mischiare con la cultura platonica e greca come S. Agostino che appunto attinge a posizioni di stampo platonico e S. Tommaso che invece attinge all'aristotelismo e quindi ci sono alcune cose cambiano ma altre restano codificate nella prospettiva culturale greca e in un certo senso con Agostino è ripresa una mistica verso le cose celesti che lascia quelle terrene perchè avviene un fraintendimento di una terminologia cristiana particolare che mette in contrapposizione un mondo di adesso, immerso nel male, e quello futuro, di Dio che corrisponde a una nuova situaizone in cui il male non c'è più, ma questo mondo è indicato in alcuni testi già in aramaico come “regno dei cieli” per un motivo legato alla prospettiva ebraica in cui non bisogna nominare il nome di Dio invano e allora anziché scrivere regno di Dio, viene portata come regno dei cieli dove però essi sono un termine che ha anche un artificio retorico metonimico per appunto intendere Dio a partire dalla creazione nella sua forma più alta, ma già dire questo pone problemi. Il Regno dei cieli si pone però in contrapposizione con una divisione non tanto temporale quanto spaziale tra regno celeste e mondo terreno che nel cristianesimo delle origini non c'è invece perchè il Regno di Dio non è un aldilà ma è qualcosa che si realizza sulla terra e si introdice perciò questa posizione di stampo platonico con il fraintendimento di tutte queste locuzioni che appaiono nel Nuovo Testamento. In ogni caso questo è un processo lungo questo distaccamento dalla cultura greca ma che per un lato avviene subito, ma è un atteggiamento dominante nel XIII sec con la Rivoluzione francescana che mette in discussione tutte queste filosofie greche con la loro possibilità di comparazione con il 2cristianesimo e in particolare dell'incompatibilità dell'aristotelismo con esso. In particolar modo c'è al centro la concezione di Dio: la concezione di dio rappresenta l'ideale di perfezione della vita umana facendone dipendere l'ethos percui se nel mondo greco è divino le idee platoniche o noesis noethos di Aristotele (pensiero di pensiero), l'attività che porta l'uomo alla perfezione è la contemplazione intellettuale con il conseguente distacco che serve anche alla rimozione del problema della sofferenza e della morte, quando invece poi si riscopre la definizione di Dio (dalla Lett. Di Giovanni, cap 4, ver 8:10) per cui Dio è amore, l'ideale di perfezione è diversa perchè l'attività non è più la contemplazione ma l'amore nel senso della cura degli altri. L'ethos non può essere allora il modo teoretico contemplativo ma basato sulla prassi della cura degli altri e nel momento in cui c'è questo, c'è automaticamente una differente concezione del dolore e della morte, su cui però i preti hanno “giocato” per cui il dolore è assoluto che porta alla perfezione, ma al di là di questo fraintendimento pure grave, la sofferenza può acquisire positività quando si soffre e si muore per altri perchè non bisgona più avere come obiettivo la felicità individuale ma la cosa più importante è la felicità altrui. Essa chiarameente ci può riguardare perchè non è una sostituzione noi-altri ma si tratta di un modo di vivere non più individualistico ma comunitario, in rapporto con gli altri. Gli altri non sono più entità separate e per questo non è più realizzabile un progetto individuale di felicità perchè se la sofferenza allora è condivisa con gli altri, una nostra felicità rispetto alla sofferenza altrui non ci può essere. Come esempio di questo sacrificio della felicità propria per quella altrui, banale ma significativo: quando in Titanic, Jack muore lo fa sacrificandosi per Rose ma è felice di farlo, è una felicità che lo trascende perchè la prova sia nella sofferenza che nella morte per la felicità di lei. E' una situazione per certi versi simile quella del buddhismo nella figura del Bodisathma, ovvero colui che rinuncia al Nirvana fin quando gli altri non lo avranno realizzato, non sta a vivere sempre nella pace assoluta ma va in giro per il mondo le verità del Buddha per il raggiungimento del Nirvana e sì, potremmo dire che c'è una certa dose di altruismo nel senso che si rinuncia per primi in virtù che raggiungano lo status anche altri e quindi la situazione si fa complessa, ma l'ideale della felicità condivisa non sta nella vita comunitaria, viene sempre preceduta dalla felicità individuale: l'obiettivo, per esempio, che tutti raggiungano il Nirvana per cui non c'è dimensione politica perchè la comunità conta davvero poco. La dimensione invece della politica della polis nel mondo greco, invece è piuttosto forte però l'ideale della felicità anche se messo in comune, è sempre individuale come il Bene che diventa comune, è il Bene che rappresenta e si identifica comunque nella felicità individuale! Non si sgancia mai fino in fondo dalla sua individualità. La felicità cristiana invece sta su un altro piano e la felicità stessa sta nella vita condivisa, cioè l'amore condiviso, non è una realizzazione personale e addirittura questa può arrivare al livello cosmico in una vita condivisa amorevolmente, cioè il Regno dei cieli. C'è un grande fraintendimento nel termine “amore” anche in una relazione a due, laddove si ricerca il battito del cuore, se così possiamo dire, perchè non significa nulla, è emotività, passione, qualcosa a cui non si dovrebbe dare l'appellativo di amore. Ma l'unica cosa davvero valida è la cura altrui, che però può anche far repulsione a volte, non sempre attira. E' comunque atto di volontà, nel senso che si sceglie di amare gli altri, è un atto etico ma il problema è che spesso la famiglia viene indicato come l'etica cristiana quando invece è un'istituzione romana che tende alla chiusura, nel senso di aiuto solo al congiunto. Infatti c'è molta ipocrisia nei preti perchè spesso tendono a misurare il cristianesimo con quante persone vanno a messa la domenica mattina. Invece questa etica di amore è allargata a tutti, nonostante sia più facile farlo quando ci sono condizioni positive perchè non sappiamo mai cosa amiamo in queste condizioni appunti. 3Lutero, nonostante il suo pensiero avesse dei difetti, nel 1515/16 prima ancora della rottura con la Chiesa, si pone il problema di quando si ha una fede autentica: tratta di questo argomento in un'opera che è un commento alla Lettera ai Romani di San Paolo e si traduce in un'altra domanda: quando posso esser sicuro davvero di amare Dio? Lutero risponde che fin quando tutte le cose vanno bene è facile amarlo, ma quando la situazione diventa critica no e arriva a una conclusione paradossale: io posso esser sicuro di amare Dio e di aver fede solo quando mi ritrovo come Gesù sulla croce e intorno il Salmo “Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?” cioè quando mi trovo la situazione in cui non ho alcun vantaggio da questo amore, anzi è la situazione di dolore all'apice, solo però in quel momento posso esser convinto che la mia fede sia autentica, cioè quando sono capace di amarlo pur trovandomi nella situazione più estrema che porta anche alla morte. Questa locuzione è diventata importante anche nella scienza sotto una locuzione latina detta Experimentum crucis → nella comprensione se le cose stiano in una maniera o in un'altra si fa l'esperimento cruciale, la prova massima. Se uno non è capace di soffrire per gli altri, non può dire di amare, altrimenti è divertimento, non amore. Poniamo un'altra spiegazione che un altro docente ha dato della formula etica di Kant perchè la questione della legge etica kantiana è universale ma l'universalità per Kant è vuota perchè dev'essere trascendentale per non partire dall'esperienza e questo docente l'ha interpretata nel senso che tutti noi possiamo godere degli altri, dove questo è in senso ampio. In questa universalità vuota, questi fraintendimenti ci possono essere per cui essa si può intedere come l'universalità del piacere individuale, cioè la felicità individuale perchè tutti possiamo convenire sull'egoismo. Comprendiamo allora che c'è una individualità come quella greca, che è totale a livello filosofico per cui il Bene comune sta nel comune bene individuale. La prospettiva cristiana invece non pensa che il Bene sia individuale, ma dell'insieme che si realizza nell'essere insieme, non nell'individuo perchè se no non ci sarebbe neanche la comunità. Spesso si dice che per amore gli altri, bisogna amare sé stessi ma forse questa non è un'interpretazione corretta di questi passi ma diciamo che l'amore di sé porta la abnegazione degli altri: la verità che sta dietro nell'amore di sé stessi, è riconoscere la propria finitezza e piccolezza e accettarsi come si è ugualmente. Lutero traduceva nel senso che bisogna amare il prossimo, quanto si è capaci di amare sé stessi: tutta quell'attenzione che noi diamo a noi stessi quasi per istinto, invece la dobbiamo volgere al prossimo quindi per Lutero il “come” è quasi una contrapposizione per cui c'è la conversione per cui l'amore per il prossimo. Ci sono comunque tante interpretazioni di “ama il prossimo tuo come te stesso”, come quella di Gesù stesso ma nel caso, per esempio del film Titanic, Jack in quella posizione come poteva amore al 50% lui e Rose, come avrebbe potuto rispondere con l'atto che ha fatto? Perchè o viveva lui o viveva Rose: ma salva un corpo, non un'anima, la componente passionale non è che va del tutto annichilita. Fin dalla nascita, noi viviamo in una condizione per cui siamo dentro un'altra persona, non nasciamo come individui completamente separati, quindi la questione corporea certo che c'è perchè non siamo altro dalla materia, ma ci sono esperienza pre natale che ci fanno comprendere che non possiamo esistere isolati e che l'isolamento è una forma di egoismo da rigettare che deriva da questa esperienza originaria e per esempio l'amore in aramaico (gabhi) si ritorce sull'amore materno e della madre che è più di un essere pur essendo uno solo. La nozione di Scherer è quella di un co-essere originario che indichi la misura del fatto che non ci siamo noi prima come individui e poi gli altri, perchè noi nasciamo dentro un altra persona. In ogni caso, quello che ci interessa è questo: che comunque lo si consideri, ciò che caratterizza il cristianesimo è molto diverso dall'ideale di vita greco anche se ci sono state delle questioni nel tempo per cui, per esempio, Lutero rifiuta anche la vita monacale perchè pensa che sia una sorta di influenza platonica nel cristianesimo, cioè una vita contemplativa che nulla ha a che fare con il cristianesimo appunto, snaturandolo mentre invece la vita del cristiano è nel mondo e nell'amore/lavoro attivo e non nella pura contemplazione pur non essendo quella delle idee 4platoniche ovviamente. Questo mondo diverso del tutto da quello greco, si attesta dall'Umanesimo/Rinascimento in poi con il rifiuto della vita monastica come una vita contemplativa e questo emerge in posizioni critiche al cattolicesimo, ma poi viene portata a compimento appunto da Lutero con tutte le conseguenze del caso, però possiamo aggiungere due cose: • cambia quella che è la teoria della conoscenza e anche in questo caso per averne una che si allontani dal platonismo in cui l'elemento cristiano distaccandosi finalmente dal sonno greco, con per esempio gli “Eroici furori” di Giordano Bruno rapprentanto un'opera filosofica in cui c'è davvero questo stacco. Anche Agostino era filosofo cristiano, ma il passo che lo allontana dalla contemplazione anche come ideale greco, si mischia comunque al suo pensiero e dal punto di vista filosofico, pur con l'esito paradossale del bruciare vivo Bruno a Campo dei fiori, avviene con la sua opera perchè non si basa sul distacco teoretico ma potremmo dire che è legato all'eroico furore dell'amore e si comprende il mondo non quando vi mettiamo una barriera, ma nella prossimità di quando li amiamo. Certo la prossimità può rendere ciechi nell'amore-passione, però dietro questo modo di esprimersi superficiale, c'è una verità più profonda: l'amore per l'altro ti permette di vedere molto più in profondità di quanto l'altro stesso si veda e di quanto le azioni, etc possono manifestare perchè l'amore coglie un'originarietà , un eidos, dell'altro, che all'altro stesso sfugge. Non significa idealizzarlo ma significa cogliere l'altro con sguardo benevolente perchè altrimenti non potremmo spendere giudizio senza intravedere le possibilità dell'altro, come egli fosse dato per scontato e non vediamo cosa possa essere davvero. Dal punto di vista filosofico si delinea una nuova gnoseologia che è stato ripresa a più tappe anche senza rivolgersi all'amore direttamente, come la definizione di verità data da Russell usando il calcolo infinitesimale, nello sviluppo di una filosofia matematica, cioè come il limite di quella data cosa, quando il limite tende a zero, significa che si guarda a quella cosa non con distanza ma quando il limite, la distanza cioè, tende appunto a zero. Al di là del fatto che Russell abbia scritto anche sul fatto che non sia cristiano, raccoglie l'eredità di quel punto di vista che è implicita nel ribaltamente dell'amore per il prossimo, implicita nel cristianesimo. Spesso si dice però che l'amore per il prossimo fosse un concetto già appartenente all'ebraismo precedente ed è vero in un certo senso, però nel Cap. 10 del Vangelo di Luca si vede qual è il ribaltamento che porti Gesù nella concezione dell'amore per il prossimo ebraico, il capitolo 10 contiene la Parabola del Buon Samaritano dove egli è l'unico a fermarsi a soccorrere il malato → l'amore del prossimo, non è un genitivo oggettivo, cioè non si tratta di amare ciò che è prossimo/vicino a noi che aveva inteso Nietzsche in “Così parlò Zarathustra” dove dice che va contrapposto questo all'amore alla bontà. Qui invece il prossimo, per Gesù è chi si prende cura, è genitivo soggettivo, l'amore non ha distanza, è un avvicinamento diventanto prossimo e non si limita, l'amore, a una cerchia definita agli amici etc. L'amore ha uno spettro di possibilità infinito, non è più limitato alla nostra cerchia di amicizia, etnia, etc ma annulla le distanze e c'è tutta una rivalutazione della gnoseologia cristiana di tutta la sfera emotiva, eliminata dalla gnoseologia greca perchè altrimenti la sua eliminazione, non solo non permette una vera etica perchè ci distacchiamo ma è legato al presupposto limitante del disprezzo del corporeo. Solo in quest'ottica è salvabile questa dimensione della vita, nella dimensione affettiva e corporea, quella greca rientra nel distaccamento dell'anima dal corpo per non vedere sub species mortis. Un'accetazione vera e piena della vita e quindi la sofferenza e la morte assumono un nuovo connotato, non più solo negativo, ma entrano in gioco con una finalità di carattere altruistico che solo allora le eleva a un significato positivo. Da questo punto di vista cambia il concetto di morte, c'è una sorta di transvalutazione della morte come direbbe Nietzsche perchè non è la conseguenza del peccato ma anzi è in un certo senso può divenire la condizione di possibilità (trascendentale kantiano) dell'amore più radicale perchè se la forma massima dell'amore è dare la vita per un altro, allora non c'è piena realizzazione dell'amore senza la morte: completa transvalutazione della morte che acquista valore etico perchè diventa la massima valutazione possibile. 5Abbiamo seguito un percorso storico che si è posto il problema di quali fossero le caratteristiche specifiche della filosofia in Grecia ma anche in altre culture, analizzando le variabili storiche ed etniche della filo stessa. Questa indagine ci mette in evidenza come sia legata a un ethos, un modo di vivere, e da ciò abbiamo visto come nei vari modi di vivere si affrontava il tema della morte. Ne è emerso che la consapevolezza di una morte come definitiva e totale non è sempre stata presente all'uomo ma nasce dopo un lungo percorso piuttosto frastagliato e ciò ci pone qualche problema rispetto al problema dell'intuizione della morte dall'esistenza. Questa è una maniera di affrontare le problematiche valido rispetto all'ambito filosofico e consiste nel vedere il pensiero umano, non solo sul piano individuale o della singola filosofia elaborata da un individuo ma come un'attività umana che si dipana in un processo storico in cui emergono e prendono corpo tutta una serie di problemi, ed è l'errore in cui poi cade Hegel. Il problema della comprensione delle cose, lo dobbiamo affrontare all'interno non di un soggetto singolo come fa Kant che si pone il problema della conoscenza nel soggetto trascendentale, ma quello che dice Kant va compreso in termini hegeliani e le condizioni di possibilità della conoscenza, non sono assolute e universali del sogg ma sono frutto di un percorso storico. Nel cammino storico del pensiero, ci sono delle possibilità di comprensione del fenomeno della morte che sono possibilità storiche, che possiamo chiamarle “condizioni di comprensione storico- trascendentali”: il sogg può comprendere certe cose, non perchè abbia delle strutture universali ma perchè storicamente certi eventi hanno permesso la comprensione di certe cose in una certa maniera. L'evento del cristianesimo è quella condizione di comprensione storico-trascendentale che permette una consapevolezza della non ciclicità del tempo e la morte come costitutiva dell'essere umano e sono due cose legate profondamente. Questo quandro lo ritroveremo in Heidegger, comprensibile solo con questa maniera di interpretare la storia della filosofia. -Lettura di un racconto di Tolstoj che mette in evidenza il punto di vista cristiano esemplificandolo: “Cosa fa vivere gli uomini” → 1881, inizia con delle cit del Nuovo Testamento e dalla Lettera di Giovanni • cap 3 ver 14: c'è un nuovo aspetto che non abbiamo ancora visto, che ribalta il rapporto morte-vita perchè la vera morte qui non è l'evento fisico della morte sull'esempio di Gesù che sancisce l'amore massimo della donazione di sé: Gesù è stato assassinato però, non c'è stata una volontà di morte da parte sua, non l'ha scelta, la volontà di Gesù sta nell'accettare questa condanna a morte e qui interviene la donazione di sé, e nel momento quando viene arrestato nel Getsemani e impedisce a Pietro e agli altri di attaccare i romani per evitare l'arresto altrimenti cis arebbbe una contraddizione nel suo insegnamento di amore verso i nemici. Evita che gli Apostoli lo difendano perchè è consapevole che ciò avrebbe portato alla morte tutti i suoi Discepoli coinvolgendoli in un'azione contro l'Impero, il lasciarsi condannare eviterà la morte di molti altri quindi → muore per evitare che molti altri lo seguano ma non muore per la Salvezza degli uomini come invece si dice. Compreso questo c'è un ribaltamento della visuale della vita-morte perchè c'è un identificazione della vita vera o autentica, cioè retta e eticamente connotata e questa vita vera si vive solo nell'amore e solo l'amore vi corrisponde e i vivere senza amore corrisponde a un essere morti al contrario delle filosofie in cui bisogna distaccarsi completamente dall'affettività, per Gesù la vita vera è una vita nell'amore. La vita eterna è questa, e nel momento in cui egli muore, paradossalmente vive al massimo grado donando completamente sé stesso per amore degli altri e il concetto implicito in questo, al di là di questioni teologiche, è che tutto ciò che noi doniamo agli altri, non muore: se noi doniamo noi stessi completamente agli altri, la nostra vita è eterna.. negli altri si vive per sempre nell'amore che abbiamo lasciato. Viviamo però in una società disgregata, ma per quanto noi possiamo soffrire questa condizione, ne esiste un'altra più profonda per cui in ogni caso non viviamo mai da soli per noi stessi, ma negli e con gli altri. Da qui, anche la possibilità di 6comprendere che chi vuole salvare la propria vita la perde, chi perde invece la salverà perchè essa non è mai un fatto puramente individuale. • Cap 3 ver 17: identificazione tra amore del prossimo e l'amore di Dio, l'amore qui è qualcosa di attivo, non è solo un sentimento • Cap 4: la questione della conoscenza che avviene attraverso l'amore e chi non ama non ha conosciuto Dio → Dio non si conosce attraverso la metafisica o la razionalità perchè ci aprirebbe solo un dio astratto, un dio dei filosofi, del Dio cristiano invece si ha esperienza non è solo un Noumeno al di là dell'esperienza ma conoscibile concettualmente, ma avviene nell'esperienza dell'amore, è li che Egli si fa presente. Dio dimora in noi Ver 14: identificazione amore per il prossimo – Dio Questo racconto esemplifica in una storia quando contenuto in questo incipit e attraverso diverse questioni che fanno riferimento alla presenza narrativa di un angelo nel racconto, arriva a certe conclusioni legate al far vedere come delle bambine orfane possono continuare a vivere e l'idea che sviluppa Tolstoj attraverso le bambine e l'angelo, e che esse continuano a vivere perchè ci sono altre persone che le aiutano e quindi non regge più l'idea della cura di sé, ma altri prendendosi cura di noi, ci fanno vivere. Leggiamo gli ultimi due paragrafi, in cui i due protagonisti che hanno aiutato uno sconosciuto, realizzano che egli in realtà è un angelo. Si mette l'enfasi sul fatto che noi viviamo perchè c'è l'amore degli altri che ci aiuta e salva e ci serve per differenziare la cura di sé da quella per gli altri. La prospettiva della fenomenologia che è di riferimento per Heidegger e nel caso specifico della morte è elaborata da Scherer: la fenomenologia in senso tecnico si riferisce a quella di Husserl e prende il suo avvio da una critica del punto di vista kantiano, da cui vuole eliminare la nozione di noumeno perchè sarebbe solo un residuo della metafisica tradizionale che Kant 'pur nel suo ripensamento della fisica, non ha eliminato e quindi la realtà si manifesta nei fenomeni. Essi ci dicono qualcosa della effettiva realtà e per Husserl non dobbiamo porre una restrizione tra il fenomeno al soggetto e il noumeno della realtà in sé, ma pensare che essa si manifesti al soggetto e che quindi il noumeno viene abbandonato per attestarsi solo ai fenomeni. Per Husserl questo è un modo per superare l'antitesi idealismo-realismo perchè la realtà in sé coincide con la manifestazione al soggetto, che però avviene solo per atti particolari: l'uomo guarda la realtà con un intenzione scevra da qualsiasi interesse particolare, da qualunque intenzionalità che si rifà alla filosofia greca, detta teoretica che ci permette di guardare alle cose per come sono in sé stesse e non per come ne possa venire a noi qualcosa da queste cose. Ci sono quindi degli atti intenzionali teoretici per cui si manifesta al soggetto immerso in atti intenzionali teoretici e questa realtà è il fenomeno che deriva dal greco che è legato al verbo greco “manifestare-rsi”. Per evitare il problema kantiano della questione che il soggetto porrebbe delle forme che gli sono proprie ripercorse sulla materia amorfa, Husserl parla di un Kant che solitamente non viene trattato, e da questo punto di vista è innovativo in un Kant pubblicato in un Opus postuma 800esca. Qual è qui la sua differenza? Le forme che si impongono nella precedente filosofia, esistano invece oggettivamente nella realtà e quindi le forme saranno forme della realtà in sé e non più del soggetto e quindi il primo Kant delle forme soggettive che modificano la realtà che appare ne ìl soggetto, ora appaiono concretamente nella realtà e saltà perciò la differenza fenomeno-noumeno: c'è l'oggettivazione del trascendentale in questo secondo Kant, quindi le possibilità della conoscenza trascendentali sono presenti nella realtà stessa, le forme sono nella realtà. Qui Husserl riprende un modo di pensare aristotelico per cui non c'è separazione forma-materia perciò l'esperienza fenomenologica prevede l'emersione delle forme oggettive delle cose: guardiamo una casa e poi altre ancora, non le esperiamo nella loro singolarità ma per Husserl nella nostra esperienza noi cogliamo l'eidos della casa cioè l'essenza della casa di cui tutte le case partecipano. 7Questo secondo Kant le categorie non solo solo gnoseologiche ma anche ontologiche, cioè interpretano la realtà stessa, ne fanno parte. Questo ovviamente genera alcuni problemi: non si intende che alla nostra esperienza si diano cose non materiali, ma in questa specifica caratterizzazione ontologica della realtà una prima critica è quella dei francescani agli universali per cui sarebbe solo un nome e che non hanno una loro realtà sono una maniera sintetica di descrivere la realtà, di esprimersi: questo universale costituisce una astrazione dovuta a una semplificazione, le uniche case che vediamo ad esempio sono le singole case. Ammesso che esistenza però quest'essenza la difficoltà è nell'individuarla e identificarla come qualcosa di comune a tutto ciò che percepiamo, questo problema sorge in cui noi ammettiamo una dimensione temporale delle cose perchè il concetto di essenza è legato a una prospettiva, detta statica o atemporale legata alla eternità, eterna nel senso che non varia con la storia e con il tempo che ci permetta di chiamare casa sia le prime grotte che gli skycrapers → questo però può valere per un essere biologico come un cane? La teoria della evoluzione delle specie, ci ha abituato a comprendere che ciò che noi individuiamo la “natura” di qualcosa, come suo eidos, non come qualcosa che non cambia mai ma come qualcosa frutto di evoluzione che può cambiare radicalmente dei tratti: possiamo identificare questa essenza in una prospettiva evolutiva oppure il ruolo giocato dall'essenza, va ripreso e sostituito da un tratto originario e quindi più che parlare di essenza originario dell'uomo, andiamo a vedere la storia evolutiva dell'uomo che mostri la sua modificazione. Torniamo alla questione della morte come essenza della vita da parte di Scherer: possiamo seguire un punto di vista che prescinda tutti i dati empirici delle scienze perchè si pone su un piano trascendentale? Oppure ciò che chiamiamo trascendentale è qualcosa che noi deduciamo a posteriori dall'empirico e poi lo poniamo come trascendentale comparando le diverse esperienze e ponendolo come tratto comune: se noi ci rendiamo conto che questi discorsi che sembrano prescindere dall'esperienza in realtà hanno un tratto comune, allora noi non possiamo prescindere dalle scienze. Se ci soffermiamo sulla vita umana, probabilmente non c'è difficoltà a dire che questa caratteristica della morte la possiamo trovare come fatto originario, ma se lo spostiamo sulla vita in generale non solo umana, abbiamo dei dubbi su questo fatto e in particolare laddove andiamo a vedere degli esseri unicellulari, la prima fase evolutiva della vita, e molti testi di biologia mettono in evidenza la loro riproduzione per scissione .. è più difficile individuare la morte. C'è sempre una precarietà e vulnerabilità delle vita che porta alla morte tutte le vite, anche le cellule ma non sembra un evento intrinseco alla vita stessa, che di per sé potrebbe forse a continuare a vivere. Sicurmente non si può stabilire una essenza comune della vita perchè ci sono organismi complessi come i somi che muoiono solamente con il corpo principale ma poi rilasciano la propria coda che continua la vita e la riproduzione, quindi non si può parlare di morte forse. I biologi tendono infatti a pensare che la morte non sia di tutte le vite anche unicellulari, ma sia scritta a livello genetico solo in organismi complessi pluricellulari e in particolare dopo la fase in cui si formano gli organi riproduttivi, per cui la vita è in condizioni di riprodursi, l'organismo dopo la fase della maturità possa in qualche modo morire e sia intrinsicamente destinato a morire e quindi la questione si sposta sul fatto che la morte sia estrinsero oppure intrinseco alla nostra vita, scritta in qualche modo nel nostro dna. Questo però sarebbe legato solo a organismi complessi! Al di là di ciò che dicono i biologi, guardiamo alle scienze con criticità per i vari presupposti filosofici che si pone perchè prodotto storico che si trasforma nelle varie epoche, nonostante ciò ci può servire per riflettere su tutte le cose che ci presentano. Questo fatto è importante solo concettualmente, la vita degli unicellulari per capire quanto “pesi” la morte, ma dovremmo allora porci la domanda “perchè si muore” perchè un organismo complesso vi è destinato intrinsecamente. 8Questo ci pone interrogativi sulla morte che possono avere a livello di riflessione da questioni biologiche è che noi come individui siamo parte di un “progetto” più vasto, quello della vita che si continua seguendo certe strade in cui l'individuo ha una sua importanza relativa e la nostra stessa vita ha delle finalità stesse che la trascendono nella specifica individualità e quindi questa concezione ci può aiutare a comprendere il senso della vita e della morte. Quindi perchè si deve morire? Si scende qui nelle congetture, ma forse è per avere la massima quantità di individui possibile, se uno fosse immortale non ci sarebbe “spazio” per gli altri. La nostra finitezza individuale spazio-temporale è legata appunto a una prospettiva in cui l'individuo non è assoluto ma è dato sempre in una coesistenza anche temporale con altri individui. La vita non è un fatto puramente individuale. Lasciamo da parte questo discorso perchè darebbe vita a speculazioni non sempre controllabili. Nella fenomenologia che si pone come filosofia che prescinde da tutte le teorie filosofiche (e scientifiche) che l'hanno preceduta per tornare all'esperienza, cioè vuol fare epochè (sospendere) di tutto ciò che ci viene dato da teorie precedenti per rifarsi all'esperienza per quello che attualmente si dà. Noi possiamo presuppore una storia della fenomenologia, dice Husserl e poi Heidegger? No, perchè la storia si basa su presupposti da evitare e quindi la storia dovrà essere fondata dalla fenomenologia e sarà conseguente alla impostazione della filosofia fenomenologia stessa. Ma nel momento in cui la fenomenologia si rifà all'esperienza possiamo prescindere alla storicità di questa esperienza stessa? Questo è il punto che riguarda tutta l'analisi esistenziale di Heidegger nell'analisi della morte in Essere e tempo, infatti ciò su cu cui Heidegger, la sua esperienza, si basa per fondare la sua fenomenologia dell'esistenza, è un'esperienza che ha un valore che va al di là della storicità dell'esperienza di Heidegger stesso? Nel senso: Heidegger coglie i tratti dell'esistenza di un uomo di inizio '900, oppure coglie i tratti dell'esistenza tout court senza significazione storiche? Questo è il problema dell'essenzialismo, per cui noi dovremmo cogliere un'essenza statica e per questo atemporale, ma l'esistenza è sempre stata così come la vede Heidegger oppure ha gli strumenti per poter fare una fenomenologia atemporale dell'esistenza? Questo sicuramente è uno dei limiti della fenomenologia di Heidegger. 9Ci siamo fermati a parlare di Tolstoj con la lettura del brano del racconto e oggi introduciamo Heidegger e la fenomenologia. Egli fu il più importante allievo di Husserl e si rifece alla fenomenologia sua, che si riproponeva di tornare alle cose stesse e che viene ad esser importante per lui, mentre tutti gli altri aspetti sono secondari. Questa fenomenologia fin nel nome fa riferimento alla critica al punto di vista di Kant che separava noumeno-fenomeno, il quale è ciò che è colto dal soggetto nella realtà e da esso modificato per dar forma all'esperienza bruta della realtà, la realtà in sé al di là del soggetto è il noumeno che si può cogliere solo dall'intelletto. La fenomenologia di Heidegger non ammette il noumeno e non ammette la realtà oltre il soggetto che si correlli alla realtà attraverso atti intenzionali di carattere teoretico che è l'unico privo di interessi di carattere pratico e solo esso è volto alla conoscenza della realtà per come è. Husserl qui si rifa all'atteggiamento teoretico greco, quindi la realtà che si manifesta nel fenomento è quella che si mostra al soggetto che è intezionato intellettualmente ad essa. Non c'è nessuna realtà in sé a prescindere da questa realtà altrimenti si cadrebbe nella metafisica e Kant infatti è accusato di mantenere un residuo metafisico nel noumeno, quella husserliana invece vuole inaugurare un nuovo sguardo . Bisogna così in qualche modo sospendere tutte le prospettive scientifiche di senso comune filosofico che erano state proposte e fare in qualche modo una tabula rasa di ciò che potevamo credere prima e metter in dubbio tutto attraverso l'epochè ma questa è solo la fase distruttiva della fenomenologia per poi iniziare una costruzione più solida della conoscenza. Questa si ottiene con un riferimento alla prospettiva vivente, gli atti intezionali teoretici infatti vann collocati nella vita fisica dei viventi. Ciò da concretezza alla fenomenologia per superare ogni soglia di pensiero astratto. Questa prospettiva si arricchisce di altri aspetti che Heidegger o Schrer non accetterranno di Hussel e resterà questa prospettiva di tornare alle cose stesse e all'esperienza come fondamentale ma Heidegger metterà in discussione la modalità teoretica come accesso alla realtà. La fenomenologia si vuole presentare come una scienza che i possa affermare con assoluta certezza e in effetti questa scienza allora, si presenterebbe con un carattere descrittivo delle cose ma senza aggiungere null'altro di soggettivo alle cose stesse per come si presentano. Heidegger quindi riprenderà in Essere e tempo questo concetto di fenomenologia e si riferirà al verbo greco phainestain e logos, manifestarsi e parola, che è visto come logos dei fenomeni stessi, la realtà che si automanifesta e nel farlo poi si traduce poi in un discors, parole per cui questo mostrarsi ulteriormente si specifica. Dal punto di vista di Husserl bisogna, in qualche modo andare all'essenza del fenomeno e il punto di vista di Husserl e caratterizzato dall'essenzialismo → eidos, forma: di origine platonica per cui abbiamo un'intuizione categoriale che va oltre l'intuizione sensibile che ci permette di cogliere nel singolo questa forma universale, tutti i singoli partecipano alle forme universali rispettive per cui a Husserl non interessa il fenomeno nella sua purezza, cioè depurato da tutti gli elementi singolari → l'essenza del fenomeno. Al di là delle critiche, questo è un discrimine tra Husserl e Heidegger, il quale volle riabilitae il singolo esistente e identificare il singolo con l'esistenza → cio che è essenziale a ogni cosa è la sua essenzialità nella sua singolarità, colta però come universale cioè che caratterizza tutti gli esistenti che permette che Heidegger stesso caratterizzi una ricerca filosofica in termini trascendentali, cioè rivolgere lo sguardo al carattere essenziale del singolo esistente al di là della molteplicità empirica. Questa cosa che sembra difficile, si può chiarire mettendo in evidenza come Heidegger cerchi di caratterizzare la sua prospettiva fenomenologia a differenza di Hussel con una prospettiva esistenziale, riferendosi all'esistenzialismo di Kierkegaard facendo sintesi esistenzialismo- fenomenologia. Capiremo poi come verrà interpretata in chiave ontologica. Kierkegaard aveva voluto con tutti i sistemi filosofici per dar concretezza alla filosofia, soffermandosi sul soggetto nella sua singolarità e quella che propone è da una parte è un'analisi 10