Diritto commerciale:
La prima parte di questi appunti sarà dedicata alla figura dell'imprenditore, nonché alle sue declinazioni di imprenditore commerciale e di imprenditore agricolo. Invece, nella seconda parte ci si soffermerà sulla disciplina delle società in genere, analizzando poi le differenze con le altre forme di esercizio dell'impresa possibili.
Dettagli appunto:
- Autore: Sara Rasente
- Università: Università degli Studi dell'Insubria
- Facoltà: Economia
- Corso: Economia e Management
- Esame: Diritto commerciale
- Docente: Patriarca Sergio
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Diritto commerciale Appunti di Sara Rasente Università degli Studi dell'Insubria di Varese Facoltà: Economia Corso di Laurea in Economia e Management Esame: Diritto commerciale Docenti: Patriarca Sergio A.A. 2021/2022INDICE DEI CONTENUTI: CAPITOLO 1: L'imprenditore CAPITOLO 2: Le categorie di imprenditori CAPITOLO 3: L'acquisto delle qualità di imprenditore CAPITOLO 4: Lo statuto dell'imprenditore CAPITOLO 5: L'azienda CAPITOLO 10: Le società CAPITOLO 11: La società semplice e la società in nome collettivo CAPITOLO 12: La società in accomandita semplice CAPITOLO 13: Le società per azioni CAPITOLO 14: Le azioni CAPITOLO 15: Le partecipazioni rilevanti CAPITOLO 16: L'assemblea CAPITOLO 17(1): L'amministrazione CAPITOLO 17(2): I controlli CAPITOLO 18: Il bilancio di esercizio CAPITOLO 19: Le modificazioni dello statuto CAPITOLO 20: Le obbligazioni CAPITOLO 21: Lo scioglimento delle società per azioni CAPITOLO 22: Le società in accomandita per azioni CAPITOLO 23: Le società a responsabilità limitata CAPITOLO 24: Le società cooperative CAPITOLO 25: La trasformazione, la fusione e la scissione CAPITOLO 26: Le società europeeCAPITOLO PRIMO – L’imprenditore Alcune definizioni di base Il diritto si basa sulle norme che devono essere interpretate grazie al diritto commerciale. Esso si occupa della disciplina dell’imprenditore e delle società, in particolare di tutti i diversi enti collettivi che svolgono una attività economica. Il diritto privato, invece, comprende il diritto commerciale in tutta la normativa del Codice civile. I soggetti giuridici sono persone giuridiche che si strutturano secondo un modello unico. Essi sono soggetti che creano rapporti giuridici grazie ai soci. La persona fisica o l’imprenditore è il titolare di rapporti giuridici dare e avere. Il diritto della impresa oppure dell’imprenditore è strettamente connesso alla figura dell’imprenditore. Infine, la società è l’insieme di soggetti, detti soci, titolari di rapporti giuridici. I soci risultano titolari del capitale sociale. Nel caso concreto Nell’appalto l’impresa è dell’imprenditore inteso come la persona fisica. Ciò significa che i debiti devono essere pagati con il patrimonio dell’imprenditore. Quando si vuole strutturare l’azienda come una società viene creato un capitale sociale a cui partecipano i vari soci. In questo modo si va a creare la persona giuridica «società». La società risponderà con il suo patrimonio sociale del debito contratto nei confronti del terzo. Per l’imprenditore non vale questo principio perché il suo patrimonio personale è unico e indivisibile. Dunque, i differenti rapporti che possono derivare dall’attività di impresa sono saldati col patrimonio del singolo soggetto imprenditore. Il sistema legislativo La disciplina dettata non è identica per tutti gli imprenditori. La fattispecie impresa non è fattispecie a disciplina unitaria. Il Codice civile distingue diverse tipologie di imprese e di imprenditori in base a tre criteri di selezione: 1. oggetto dell’impresa: imprenditore agricolo (art. 2135) e imprenditore commerciale (art. 2195) 2. dimensione dell’impresa: piccolo imprenditore (art. 2083) e imprenditore medio-grande 3. natura del soggetto che esercita l’impresa: impresa individuale, pubblica e in forma di società Tutti i diversi imprenditori risultano assoggettati allo statuto generale dell’imprenditore. Poche e scarsamente significative sono le diverse disposizioni del Codice civile applicabili esclusivamente all’imprenditore agricolo e al piccolo imprenditore. Lo statuto tipico dell’imprenditore commerciale è costituito da: 1. iscrizione nel registro delle imprese con funzione di pubblicità legale 2. obbligo della tenuta delle scritture contabili 3. assoggettamento a fallimento e altre procedure concorsuali La nozione generale di imprenditore In base a quanto enunciato nel Codice civile definiamo imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione oppure dello scambio di beni o servizi. L’imprenditore coordina, organizza e, infine, dirige il processo produttivo assumendo su di sé il rischio relativo ai costi sopportati che devono essere coperti dai vari ricavi. Dall’art. 2082 del Codice civile si evince che l’impresa risulta una attività (serie coordinata di atti) caratterizzata sia da uno specifico scopo (vale a dire produzione o scambio dei beni) sia da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità e professionalità). I requisiti minimi dell’imprenditore sono: 1. professionalità 2. economicità dell’attività 3. organizzazione 4. scopo Nel caso concreto Una fondazione o associazione onlus può essere un’attività di impresa? NO, perché ha uno scopo altruistico o benefico, quindi non può avere scopo di lucro. Chi svolge una attività per un determinato periodo di tempo può essere considerato imprenditore in maniera professionale? NO, perché la professionalità non ha un limite di durata temporale. Un soggetto che svolge una attività occasionale o stagionale può essere considerato imprenditore in maniera professionale? SÌ, se egli svolge in maniera continuativa l’attività (ciclica), ovvero se si presenta di anno in anno (attività sciistica). L’impresa per conto proprio non è una impresa perché le imprese operano di regola per il mercato. Ciò significa che esse destinano ad esso lo scambio di beni o di servizi prodotti. La attività produttiva L’impresa è attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni oppure di servizi (art. 810). Non è rilevante la natura dei beni o servizi prodotti e che l’attività produttiva possa allo stesso tempo qualificarsi come attività di godimento o amministrazione di determinati beni o del patrimonio del soggetto agente. Inoltre, non risulta attività d’impresa l’attività di mero godimento (non dà luogo alla produzione di nuovi beni o servizi). La qualità di imprenditore è riconosciuta anche quando l’attività produttiva svolta è illecita, cioè contraria alle norme imperative. Chi svolge attività di impresa violando la legge non potrà avvalersi delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi. Nel caso concreto Gli atti di investimento, speculazione e finanziamento quando sono coordinati in serie in modo da configurare una attività unitaria possono dar vita ad impresa se ricorrono gli ulteriori requisiti. Le società di investimento risultano essere delle imprese commerciali perché hanno per oggetto l’impiego del proprio patrimonio nella compravendita dei titoli secondo il criterio di diversificazione degli investimenti e del frazionamento dei rischi. In questo modo si offre ai soci un dividendo costante. Le società finanziarie sono, anch’esse, delle imprese commerciali dal momento che erogano credito con mezzi propri (non raccolti fra il pubblico) e vengono considerate imprese bancarie. Le Holdings, infine, sono delle imprese commerciali perché hanno per oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società con fine di direzione, di coordinamento e finanziamento delle loro attività. L’organizzazione: impresa e lavoro autonomo Normale è che l’imprenditore istituisca un complesso produttivo formato dalle persone e da beni strumentali. È imprenditore colui che opera senza utilizzare le prestazioni lavorative altrui e non è necessario che l’attività organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione di un apparato aziendale composto da beni mobili e dai beni immobili. La semplice organizzazione ai fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata organizzazione di tipo imprenditoriale. Tali dati confermano che un minimo di organizzazione di lavoro altrui e capitale (ovvero etero-organizzazione) è pur sempre necessaria per aversi impresa (anche se piccola). In mancanza di ciò parliamo di lavoro autonomo non imprenditoriale. L’azienda è definita come il complesso dei diversi beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. La qualità di imprenditore non può essere negata a causa del difetto del requisito di organizzazione sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio dei collaboratori, sia quando il coordinamento dei fattori produttivi non si concretizza nella creazione di un complesso aziendale materialmente percepibile. L’economicità dell’attività e lo scopo di lucro L’impresa è attività economica quindi attività produttiva cioè attività rivolta alla produzione o scambio di beni o servizi. L’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo. Un’attività viene, quindi, qualificata come economica non solo per il fine a cui è indirizzata (produttivo), ma si riferisce anche al metodo tramite cui viene svolta: metodo economico (ossia le entrate remunerative dei fattori produttivi), copertura dei costi con i ricavi nel lungo periodo oppure si ha una attività di consumo e non produzione di ricchezza. Per avere un’impresa è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, secondo le modalità che consentono almeno la copertura dei costi con i ricavi e assicurano l’autosufficienza economica. L’impresa pubblica, l’impresa cooperativa e anche quella sociale dimostrano che il requisito minimo essenziale dell’attività di impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro. Non è imprenditore chi, l’ente pubblico o l’associazione privata, produce dei beni o i servizi che vengono erogati gratuitamente o ad un prezzo politico, tale cioè da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi (ospedale, istituto di istruzione oppure ospizio per i poveri). È imprenditore chi gestisce i medesimi servizi con il metodo economico ispirato da un fine pubblico o ideale e anche se le condizioni di mercato non consentono di remunerare i fattori produttivi. La professionalità Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale di una attività produttiva. Non risulta richiesta una continuità. Dunque, è sufficiente il costante ripersi di atti di impresa secondo cadenze proprie di quel dato tipo di attività. Non è necessario che l’attività d’impresa sia attività unica o principale. È possibile il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte dello stesso soggetto (il professore oppure l’impiegato che gestisce un negozio). Si parla di impresa anche quando si opera per il compimento di un unico affare. Non esiste incompatibilità tra l’unico affare e attività professionale. Il compimento di un singolo affare può costituire impresa quando implica il compimento di operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo in grado di escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici. Lo scopo Il requisito essenziale dell’attività di impresa è l’intento di conseguire un guadagno oppure profitto personale. Il concetto di SCOPO di LUCRO è variabile a seconda del soggetto titolare dell’impresa. Appare sufficiente che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive tendenti al pareggio fra costi e ricavi (metodo economico) ma non è necessario che si realizzi un profitto. Le società sono tenute ad usare il metodo lucrativo: l’attività deve essere rivolta al conseguimento degli utili (ossia il lucro oggettivo) e l’utile deve essere devoluto ai soci (ossia il lucro soggettivo). Per le imprese sociali, invece, è vietato distribuire gli utili in qualsiasi forma ai soci. L’impresa e le professioni intellettuali (art. 2238 del Codice civile) I liberi professionisti non sono mai in quanto tali imprenditori, lo diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicitata nell’ambito di una attività di per sé qualificabile come impresa (per esempio il medico che gestisce una clinica privata nella quale opera o il professore titolare della scuola privata in cui insegna). Il Codice civile stabilisce che l’esercizio della professione non costituisce di per sé esercizio di impresa, neppure quando l’espletamento dell’attività professionale richiede l’impiego dei mezzi materiali e dell’opera di qualche ausiliario. I professionisti intellettuali non diventano in nessun caso imprenditori perché i caratteri stessi della loro attività sono in netto contrasto con quella che è la nozione dell’imprenditore. Infatti, il professionista non ha i requisiti richiesti dell’articolo 2082 del Codice civile. CAPITOLO SECONDO – Le categorie di imprenditori L’imprenditore agricolo (art. 2135 del Codice civile) Definiamo imprenditore agricolo colui che esercita un’attività diretta di coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. Si considerano connesse le attività dirette alla trasformazione oppure all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura. Le attività agricole possono essere distinte in: 1. attività agricole essenziali 2. attività agricole per connessione La formulazione dell’art. 2135 ribadisce che è imprenditore agricolo chi: coltiva un fondo, esegue selvicoltura, l’allevamento di animali (cortile e acquacoltura) e l’imprenditore ittico. Per coltivazione, selvicoltura e, infine, allevamento si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico. L’imprenditore agricolo deve essere iscritto nel registro delle imprese con la funzione di pubblicità legale come per gli imprenditori commerciali per l’opponibilità dei terzi, non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili e, infine, non fallisce e non è soggetto alle procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale (l’eccezione per gli accordi di ristrutturazione dei debiti). Coltivazione del fondo: lo sfruttamento di energie naturali della terra (come l’orticultura, le coltivazioni in serra oppure in vivai e la floricoltura). Il fondo può assumere un ruolo di fattore produttivo o di mero strumento per la conservazione delle piante. Risultano indifferenti le modalità tecnico-organizzative con le quali il fondo viene coltivato. Selvicoltura: l’attività rivolta alla produzione del legname. Con tale termine andiamo a parlare di una complessa attività di coltivazione e non di una attività meramente estrattiva (come la cura del bosco). Allevamento di animali: zootecnia, allevamenti in batteria, allevamento da cortile e l’acquacoltura. Per quanto riguarda le attività connesse distinguiamo tra le attività diretta alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e alla valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale e le attività dirette alla fornitura di beni oppure di servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o di risorse normalmente impiegate nell’attività esercitata, comprese quelle di valorizzazione del territorio e patrimonio rurale-forestale e le attività agrituristiche. È necessario che il soggetto che le esercita sia già un imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre attività agricole tipiche. L’impresa agricola basata sul solo sfruttamento della produttività naturale della terra persiste in determinate zone del nostro paese, ma cede sempre più il passo all’agricoltura industrializzata, ovvero quella meccanizzata che adopera dei prodotti chimici per accrescere la produttività naturale della terra e che controlla ed accelera i cicli biologici naturali attraverso tecniche sempre più sofisticate. Le attività agricole per connessione sono considerate per legge come attività agricole quando sono esercitate in connessione con le attività agricole essenziali. Il legame neutralizza la qualifica oggettiva del commerciale e impedisce l’assunzione della doppia qualità di imprenditore commerciale e di imprenditore agricolo. Per concludere, un imprenditore risulta agricolo solo se tratta un’attività che ha per oggetto i prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale. L’imprenditore commerciale (art. 2195 del Codice civile) È imprenditore commerciale colui che esercita: 1. attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi 2. attività intermediaria nella circolazione dei beni 3. attività di trasporto per terra, per acqua o per aria 4. attività bancaria o assicurativa 5. altre attività ausiliarie delle precedenti Sarà qualificata commerciale ogni impresa che non rientra nella categoria agricola. Le attività industriali sono svolte da imprese industriali come per esempio le imprese automobilistiche, tessili, chimiche ed edili. L’attività intermediaria nella circolazione di beni o l’attività commerciale è rappresentata da un commerciante che acquista e rivende ad altri intermediari (commercio all’ingrosso) oppure ai consumatori (il commercio al minuto) attraverso le operazioni di scambio. Le attività di trasporto risultano svolte da imprese di trasporto focalizzate sullo spostamento di persone o di cose da un luogo ad un altro. L’impresa bancaria è basata sulla raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito, quindi è un’attività di intermediazione nella circolazione del denaro. La qualità di imprenditore commerciale si acquista per il solo fatto di esercitare professionalmente una attività economica non agricola. Tuttavia, tale qualità si perde per cessazione effettiva dell’attività, a prescindere dalla cancellazione dal registro delle imprese. Se un soggetto decide di diventare imprenditore deve rendere pubblica la propria esistenza, iscrivendola entro 30 giorni all’ufficio del registro delle imprese presso la Camera di Commercio. L’imprenditore appare soggetto all’obbligo di registrazione nel registro delle imprese, è obbligato a tenere le scritture contabili ed è soggetto al fallimento e alle procedure concorsuali. La disposizione fallimentare ad oggi individua alcuni parametri fondamentali dell’impresa, al di sotto dei quali l’imprenditore commerciale non fallisce. Non è a rischio di fallimento l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguenti requisiti: aver avuto nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall’inizio dell’attività se è di durata inferiore), un ATTIVO PATRIMONIALE di ammontare totale annuo non superiore a 300.000 euro, aver realizzato, in qualche modo, risultati nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore), RICAVI LORDI per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000 euro e, per finire, non deve aver contratto nei 3 anni antecedenti il deposito dell’istanza fallimentare DEBITI per più di 500.000 euro. La piccola impresa (art. 2083 del Codice civile) Sono dei piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e tutti coloro che esercitano una attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Il piccolo imprenditore appare sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore, l’iscrizione nel registro delle imprese ha solo la funzione di pubblicità notizia ed è esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili, dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali da sovra indebitamento. Nella piccola impresa è necessario che l’imprenditore presti il proprio lavoro all’impresa. Il suo e quello di tutti i suoi familiari che collaborano nell’impresa prevalgono sia rispetto al lavoro altrui sia al capitale investito. Non è piccolo imprenditore chi investe ingenti capitali nell’impresa anche se non si avvale di alcun collaboratore. L’impresa artigiana Tra i piccoli imprenditori vi è l’impresa artigiana. Essa è società cooperativa oppure in nome collettivo dove la maggioranza di soci presta in prevalenza lavoro personale nel processo produttivo. In essa il lavoro ha funzione preminente sul capitale. La disciplina è stata estesa alla società a responsabilità uni personale limitata e società in accomandita semplice. La legge del 25/07/1956, numero 860 affermava espressamente che l’impresa rispondente ai diversi requisiti fondamentali nella stessa fissati era da considerarsi artigiana a tutti gli effetti di legge e quindi anche agli effetti civilistici e fallimentari. La legge quadro del 1985 fornisce una propria definizione della impresa artigiana basata sull’oggetto dell’impresa e sul ruolo dell’artigiano. Il punto fondamentale è che la legge quadro del 1985 non afferma più che l’impresa artigiana è definita a tutti gli effetti di legge. Una società artigiana godrà di tutte le varie provvidenze di cui godono le altre imprese artigiane, ma in caso di dissesto fallirà al pari di ogni altra società che esercita attività commerciale, se supera le soglie dimensionali di fallibilità. L’impresa familiare L’impresa familiare è l’impresa che presta in modo continuativo la propria attività di lavoro, in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado (fino ai nipoti) e, infine, gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell’imprenditore: la cosiddetta famiglia nucleare. L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa. Può aversi la piccola impresa anche se non familiare e anche l’impresa non piccola può essere impresa familiare. Vengono tutelati legislativamente i membri della famiglia nucleare che lavorano in modo continuato nella famiglia o nell’impresa. Sul piano patrimoniale l’imprenditore familiare ha i seguenti diritti: 1. diritto al mantenimento secondo le condizioni patrimoniali della famiglia 2. diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione a quantità e qualità del lavoro prestato 3. diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda 4. diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda stessa Sul piano amministrativo è previsto che le decisioni in merito alla gestione straordinaria e talune altre decisioni di particolare rilievo siano adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. L’impresa familiare è un’impresa (no società) in cui un unico soggetto è identificato come imprenditore, ed è chi svolge l’attività economica in modo organizzato (ex art. 2082). Non esiste principio di prevalenza del lavoro familiare, ma di assolutezza del lavoro familiare. Nonostante ci sia un imprenditore singolo, nell’impresa familiare il lavoratore familiare (non è un socio e quindi non fa conferimenti) ha il diritto a partecipare agli utili e questo diritto viene tutelato con un accordo (scrittura privata) con l’imprenditore, per evitare che egli sfrutti le attività dei familiari. In questo caso il lavoratore vede il suo diritto allo stipendio non certo: ci sarà se l’utile esiste, altrimenti no. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi cioè quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa risultano essere adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano alla impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno una piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo. Il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari partecipanti. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per una qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell’azienda. Infine, il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda (maggioranza dei voti) i partecipanti possiedono il diritto di prelazione sull’azienda stessa. I vari familiari hanno la possibilità di acquistare sé stessi. La qualifica di imprenditore viene assunta da uno dei familiare rimasti in carica (l’impresa resta familiare). Se la prelazione non viene esercitata, l’impresa verrà ceduta a un terzo imprenditore ed essa non avrà più la qualifica di impresa familiare (i familiari diventeranno lavoratori subordinati). Per quanto riguarda la struttura dell’impresa familiare tutti i vari beni aziendali restano di proprietà esclusiva dell’imprenditore datore di lavoro, i diritti patrimoniali dei partecipanti all’impresa costituiscono dei semplici diritti di credito nei confronti del familiare imprenditore e infine, gli atti della gestione ordinaria rientrano nella competenza esclusiva dell’imprenditore. Se l’impresa risulta commerciale (e non piccola) solo il capo famiglia- datore di lavoro sarà esposto al fallimento in caso di dissesto. L’impresa societaria (art. 2249 del Codice civile) Le società sono forme associative tipiche, anche se non esclusive e vengono tradizionalmente definite società commerciali. 1. le società di persone: principio dell’autonomia patrimoniale imperfetta (tutti i soci rispondono in nome e per conto della società). • società semplice • società in nome collettivo (regolarmente iscritte nel registro delle imprese) • società in accomandita semplice 2. le società di capitali: vale il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta. • società per azioni • società a responsabilità limitata • società in accomandita per azioni La società semplice è utilizzabile solamente per l’esercizio di attività non commerciale. Le società diverse dalla precedente si definiscono società commerciali. Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle società commerciali qualunque sia l’attività svolta. Il principio espresso è enunciato per l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, ma deve ritenersi valido anche per la tenuta delle scritture contabili. Nelle società in nome collettivo ed in accomandita semplice parte della disciplina dell’imprenditore commerciale trova poi applicazione solo o anche nei confronti dei soci a responsabilità illimitata: tutti i soci nella società in nome collettivo e i soci accomandatari nella società in accomandita semplice. Le imprese pubbliche L’attività di impresa può essere svolta dallo Stato ed enti pubblici. Lo Stato oppure un altro ente territoriale (Regioni, Provincie e Comuni) possono svolgere direttamente attività d’impresa avvalendosi di proprie strutture organizzative. La pubblica amministrazione può dar vita ad enti del diritto pubblico il cui compito istituzionale esclusivo o principale è l’esercizio di attività di impresa (le Ferrovie dello Stato e l’Enel). Lo Stato e gli altri enti pubblici possono svolgere attività di impresa servendosi di strutture di diritto privato attraverso la costituzione di società generalmente per azioni. I vari enti pubblici economici appaiono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore e allo statuto proprio dell’imprenditore commerciale, con l’esonero dal fallimento e dal concordato preventivo. Gli enti pubblici che svolgono attività commerciale in via accessoria sono solo sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore. Le imprese organo sono le differenti aziende municipalizzate erogatrici di pubblici servizi (acqua, gas e trasporti urbani). Privatizzazione delle imprese pubbliche: con una serie di interventi legislativi quasi tutti gli enti pubblici economici sono stati trasformati in società per azioni a partecipazione statale. Le associazioni e le fondazioni Le associazioni, le fondazioni e più in generale tutti i vari enti privati con fini ideali o anche altruistici possono svolgere attività commerciale qualificabile come attività di impresa. Se essi esercitano attività commerciale in via accessoria sono esonerate dall’iscrizione nel registro delle imprese e anche dallo statuto dell’imprenditore commerciale. Tuttavia, le esercenti di attività commerciali in forma di impresa diventano sempre e comunque imprenditori commerciali e quindi sono sottoposte al fallimento. Le imprese sociali Le imprese sociali sono le organizzazioni private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale. L’impresa sociale non ha scopo di lucro, risulta vietata solamente l’auto-destinazione di risultati della gestione. Gli utili e gli avanzi della gestione devono essere destinati allo svolgimento dell’attività statutaria oppure anche all’incremento del patrimonio dell’ente. Sul patrimonio dell’impresa grava il vincolo di indisponibilità in quanto durante l’esercizio dell’impresa non appare possibile distribuire fondi o riserve a vantaggio di coloro che fanno parte dell’organizzazione. In caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo risulta devoluto a organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le associazioni e i comitati. Non risultano imprese sociali le amministrazioni pubbliche, le organizzazioni che erogano beni o servizi esclusivamente a favore dei soci. 1. iscrizione nel registro delle imprese 2. redigere le scritture contabili e pubblicazione del Bilancio di Esercizio 3. in caso di insolvenza liquidazione coatta amministrativa (no fallimento) 4. costituzione tramite atto pubblico La costituzione tramite atto pubblico: oggetto sociale, no scopo di lucro, denominazione ente, requisiti e regole per nomina dei diversi componenti delle cariche sociali, modalità di ammissione ed esclusione dei soci, forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività d’impresa nell’assunzione di decisioni. L’atto costitutivo prevede un sistema di controlli fondato sulla distinzione tra il controllo contabile (le revisioni legali del Ministero dell’economia) e di legalità di gestione e di rispetto dei principi di corretta amministrazione (i sindaci). Il controllo esterno viene fatto dal Ministero del Lavoro (l’assenza di condizioni di riconoscimento e violazioni della disciplina). Tuttavia, dopo il 2006 quando l’impresa sociale appare costituita in forma di società o consorzio: in questi casi è consentito destinare una parte (meno della metà) degli utili netti annuali per rivalutare la partecipazione dei soci al costo della vita mediante le operazioni di aumento gratuito del capitale. Al termine del rapporto sociale è consentita la restituzione al socio del capitale versato. CAPITOLO TERZO – L’acquisto delle qualità di imprenditore L’esercizio diretto dell’attività di impresa Il principio della spendita del nome indica il principio generale del nostro ordinamento che afferma che i diversi effetti giuridici ricadono sul soggetto e solamente sul soggetto il cui nome risulta validamente speso nel traffico giuridico. Solo questi è obbligato nei confronti del terzo contraente. Il criterio di imputazione degli effetti attivi e passivi degli atti negoziali risponde a delle esigenze di certezza giuridica ed è chiaramente enunciato in tema di mandato senza rappresentanza. Il mandatario è un soggetto che opera nell’interesse di un altro soggetto e può porre in essere atti giuridici sia spendendo il proprio nome (mandato senza la rappresentanza) sia spendendo il nome del mandante, se questi gli ha conferito il potere di agire nel suo nome (mandato con la rappresentanza). Quando il mandatario agisce in nome del mandante tutti i vari effetti negoziali si producono direttamente nella sfera giuridica di quest’ultimo, per contro il mandatario che agisce in proprio nome acquista dei diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi. Al contrario, non risulta imprenditore il soggetto che gestisce l’altrui impresa quando opera spendendo il nome dell’imprenditore, per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall’interessato o dalla legge. Quando gli atti di impresa sono compiuti tramite il rappresentante (volontario o legale), l’imprenditore diventa il rappresentato e non rappresentante (anche se il rappresentante può avere degli ampi poteri di decisione ed è lui stesso ad esercitare l’attività d’impresa). Tra i vari esempi abbiamo il genitore che gestisce l’impresa quale rappresentante legale del figlio minorenne con l’autorizzazione del tribunale. Gli atti di impresa risultano decisi e compiuti dal genitore, ma imprenditore è il minore e solo il minore è esposto al fallimento. L’esercizio indiretto dell’attività di impresa (imprenditore occulto) L’imprenditore occulto o indiretto è colui che non si palesa come l’imprenditore davanti ai terzi (dominus della impresa). Solleva vari problemi quando gli affari vanno male e il soggetto utilizzato dal dominus è una persona fisica nullatenente o una società per azioni o a responsabilità limitata con capitale irrisorio chiamata società di comodo oppure etichetta. L’imprenditore palese o il prestanome risulta la persona fisica o giuridica che compie in proprio nome i singoli atti dell’impresa. Questo significa che i creditori potranno provocare il fallimento del prestanome dal momento che ha agito in nome proprio e ha perciò acquistato la qualità di imprenditore commerciale. Se si ammette che obbligato nei confronti dei creditori è solo l’imprenditore palese allora il rischio di impresa non sarà sopportato dal reale dominus, ma trasferito con lo schermo dell’imprenditore palese sui vari creditori o quanto meno sui creditori più deboli. Essi sono coloro che non sono in grado di premunirsi contro il dissesto del prestanome costringendo il reale interessato a garantire personalmente i debiti contratti in proprio nome causando una serie di dissesti. Per neutralizzare i diversi pericoli dei creditori viene applicato il principio della spendita del nome che afferma: obbligato e responsabile è solo colui che ha agito in proprio nome. La teoria del potere di impresa afferma che la inscindibilità del rapporto il potere e responsabilità è espressamente sanzionata. Infatti, chi esercita il potere di direzione di impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni.
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