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Diritto privato:
Appunti di Diritto Privato per il primo anno di giurisprudenza: approfondisci i concetti fondamentali del diritto privato in modo chiaro e dettagliato.
Da una prima introduzione sul concetto di società e ordinamento giuridico per poi approfondire le attività giuridiche dei vari soggetti coinvolti, soggetti che sono titolari di diritti giuridici soggettivi. La persona titolare di diritti è distinta dalla capacità giuridica, quindi all'interno del corso abbiamo individuato le varie tipologie di capacità giuridiche in base ai diversi titolari.
Scopri le varie tipologie di capacità giuridiche e i diversi tipi di contratti, esposti e spiegati in modo specifico, insieme alle persone che creano associazioni e alle istituzioni di carattere privato.
Approfondisci la conoscenza dei beni, dell'usucapione, del fatto, dell'atto e del negozio giuridico, con una particolare attenzione alla classificazione dei negozi giuridici in relazione alla struttura soggettiva.
Esplora i diritti reali di godimento e di garanzia, come l'enfiteusi, il diritto di superficie, l'usufrutto, il diritto reale d'uso, le servitù, il pegno e l'ipoteca.
Approfondisci anche i diritti di credito, le obbligazioni e il rapporto obbligatorio tra debitore e creditore.
Dettagli appunto:
- Autore: Veronica Moretti
- Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
- Facoltà: Giurisprudenza
- Corso: Giurisprudenza
- Esame: Istituzioni di diritto privato
- Docente: Giulio Ponzanelli
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DIRITTO PRIVATO Appunti di Veronica Moretti Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Facoltà: Giurisprudenza Corso di Laurea in Giurisprudenza Esame: Istituzioni di Diritto Privato Docente: Giulio Ponzanelli A.A. 2022/2023 T e s i o n l i n e A P P U N T I T e s i o n l i n eDIRITTO PRIVATO L’ORDINAMENTO GIURIDICO La societas è una comunità stabile regolata da una serie di regole (ubi societas, ibi ius). Una societas viene definita tale in base a tre criteri: 1) l’agire dei consociati è disciplinato da regole, 2) le regole sono stabilite ed attuate da appositi organi, il cui compito è affidato in base a precise regole di condotta e di struttura, 3) le regole di condotta e di struttura devono essere osservate (=principio di effettività: questo segna il limite entro cui una serie di regole possono dirsi rispettate dalla comunità; se ciò non accade, la comunità si è sciolta e alla sua vita presiede un nuovo ordinamento di regole). Un ordinamento giuridico è tale quando esista un’autorità capace di attuarlo, la cui legittimazione deriva dal consenso dei consociati negli stati democratici. L’ordinamento giuridico è il sistema di regole con cui è organizzata la societas, il cui scopo è ordinare questo gruppo organizzato. L’ordinamento giuridico è dunque il diritto oggettivo (= sistema delle regole che ordinano la societas, VS diritto soggettivo = libertà di esercitare un diritto). L’ordinamento giuridico (o diritto oggettivo) è solo una delle manifestazioni della collettività (cultura, religione, politica…). La politica riveste una fondamentale importanza ed assicura che i presupposti necessari che scaturiscono dai bisogni stessi si svolgano in modo ordinato e pacifico: nell’età moderna questa crea le condizioni per lo sviluppo della persona e si identifica nel concetto di Stato: una comunità di individui stanziata in un certo territorio organizzata in base a un ordinamento giuridico. Quest’ultimo si dice originario quando superiorem non recognoscit (es. singoli stati). Va considerata la pluralità degli ordinamenti in cui dev’essere valutata la soggezione frutto di 1) un’adesione spontanea del singolo, 2) situazione necessaria ed indeclinabile (es. straniero all’estero). In questo contesto è da collocarsi la collaborazione fra gli Stati per il mantenimento della pace tramite il diritto internazionale (ART 10 Cost: “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.”), quale insieme di regole che disciplinano il rapporto fra stati. La fonte di questo diritto è 1) consuetudinaria, in quanto trae origine dalla prassi delle relazioni fra stati, 2) pattizia, ovvero nasce da accordi bilaterali. L’Italia acconsente dunque alla limitazione della sua sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace. La societas è costituita da un insieme di regole che concorrono a disciplinare la vita organizzata della comunità/regola di condotta condivisa e socialmente sanzionata: queste prendono il nome di norme (queste si dicono norme giuridiche, in quanto il loro insieme è assicurato dal diritto oggettivo, lo ius). La giuridicità di una norma dipende dal fatto che vada considerata dotata di autorità, in base ai criteri fissati dall’ordinamento. Ciò avviene quando una regola trova origine in un atto (o in un fenomeno normativo). L’atto prende nome di fonte (= fatto produttivo di norme giuridiche) e viene consacrata in un documento normativo. In tal caso, si distingue il testo, formulazione concreta dell’atto, e il precetto, la sua interpretazione. La norma giuridica si distingue dalla norma morale perché la regola morale è 1) assoluta, trova nel suo contenuto la validità ed obbliga ad adeguarvisi solo colui che ne riconosce il valore, 2) autonoma, è un imperativo solo quando la coscienza del singolo ne accetti il comando. D’altro canto, la norma giuridica è eteronoma, cioè imposta da altri al singolo. Il diritto non prescinde del tutto dalla morale sociale, ma rispecchia le regole coercibili. La norma giuridica, però, non deve deludere la morale, la religione e il diritto naturale. La norma si distingue dalla legge in quanto la legge è un tipo di atto normativo scritto, che nel nostro ordinamento viene elaborato da organi a ciò competenti secondo le procedure della carta costituzionale. Esse però possono nascere anche da fonti diverse e nasce il problema del rapporto fra esse, che non deve far emergere antinomie o incertezze. Inoltre, una certa legge può contenere più norme, ma una norma può risultare dalla combinazione di più leggi. 1Il complesso delle norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico è il diritto positivo (= giuspositivismo: esso è positum, ovvero posto in essere, dal legislatore e viene considerata valida e giusta nel momento in cui è emesso. A questo viene affiancato il diritto naturale (= giusnaturalismo, insieme di valori assunti negli anni) il cui richiamo vuole ancorare il diritto positivo ad una serie di valori obiettivi, universali e stabili, eliminando il rischio di arbitrarietà. Nei regimi, però, ciò non accade: il diritto naturale viene meno e il diritto positivo viene subito dai consociati come un’imposizione. Talvolta il diritto naturale non trova un fondamento univoco ed obiettivo: esso infatti è andato mutando nei secoli (es. nell’antichità era contemplata la schiavitù). Il diritto naturale tiene conto della cultura e dei valori fondamentali della collettività: oggi sono molti i diritti umani spettanti originariamente e inalterabilmente a ciascun individuo, senza la necessità di una norma positiva che li attribuisca. Il concetto di diritto evoca quello di giustizia, concetti che sono legati al fine di ottenere soluzioni non solo legali ma anche giuste. Ciò però è complicato, in quanto obbligherebbe ciascuno a spogliarsi dalle proprie passioni. Queste due tendenze sono conciliate ed unite nella presenza della Costituzione, al fine di creare un diritto trascendente ed a-storico, a cui tra l’altro Hans Kelsen attribuiva molta importanza. La norma è un enunciato prescritto che si articola nella formulazione di un’ipotesi di fatto, al cui verificarsi la norma collega un determinato effetto giuridico. La norma si struttura dunque come un periodo ipotetico che prende il nome di fattispecie. La fattispecie si suddivide in 1) astratta, che intende il fatto descritto ipoteticamente ed indica quanto debba verificarsi per provocare ciò che la norma enuncia e si risolve in un’operazione intellettuale di interpretazione del testo normativo, 2) concreta, un determinato fatto che si è verificato nel passato, ovvero si riferisce al caso concreto posto all’attenzione del giudice (= azione posta in essere dal soggetto). Quando la fattispecie consiste in un unico fatto, si può parlare di fattispecie semplice. Talvolta nell’individuazione degli effetti occorre leggere in modo coordinato una pluralità di disposizioni normative e ciò viene denominato fattispecie complessa: in questo caso può accadere che la fattispecie si componga di fatti che si susseguono nel tempo, prima che si giunga alla serie completa. L’essere suscettibili di coercizione comporta una conseguenza in danno del trasgressore: infatti spesso, accanto alle norme di condotta dette primarie si affiancano quelle secondarie, che fungono da risposta o reazione. La difesa dell’ordinamento viene difesa anche mediante misure preventive o tramite norme che hanno una funzione esemplare (es. bisogna rispettare i genitori). Lo Stato moderno, tuttavia, rivendica a sé il monopolio di detenzione di strumenti di forza del trasgressore, riservandone l’esercizio ai suoi apparati, attraverso l’applicazione di una sanzione: punizione generale del diritto in rimedio ad un termine di condotta non rispettato: queste possono essere di vario tipo: 1) sanzioni penali (il cui diritto interviene quando la regola di condotta ha toccato la vita, attraverso l’omicidio, le lesioni, la rapina, la truffa - il soggetto viene privato della libertà personale, attraverso la reclusione/arresto); 2) sanzioni risarcitorie (il soggetto non ha rispettato la regola di condotta e va incontro a un risarcimento del danno); 3) sanzioni invalidatorie (sanzioni che riguardano la validità dei contratti riguardanti beni ritenuti fondamentali, come il corpo umano). La sanzione può operare in modo 1) diretto, realizzando il risultato materiale del danno, 2) indiretto, per cui l’ordinamento si avvale di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o per reagire alla sua violazione. La norma giuridica si distingue per 1) generalità: la legge non deve essere dettata per i singoli individui, ma coinvolge tutti (fatta per un “qualunque” e non un “chi”): il codice Napoleon è ancora valido dal 1804 ed è modello dei codici europei. La generalità consente di mantenere l’eguaglianza nell’applicazione della legge: nessuna legge è ad personam (al massimo, si rivolgono a delle determinate categorie). La norma si dice dunque valida “erga omnes”, ovvero riguardante tutti i consociati; 2) astrattezza: la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie astratte, ossia per situazioni descritte ipoteticamente, poiché essa deve essere applicata ad una serie indeterminata di casi futuri e deve inglobare ogni possibile fatto, compresi i fatti che il legislatore non poteva prevedere alla stesura della legge. L’astrattezza consente l’interpretazione della norma, coprendo un gran numero di fatti che sfidano il tempo. 2ART 2043: “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” - generalità: qualunque persona abbia compiuto un fatto doloso o colposo; astrattezza: un danno, non uno preciso ART 1218: “il debitore che non esegue esattamente una prestazione è tenuto a risarcire il danno se non prova che l’adempimento o il ritardo derivino da un’impossibilità della prestazione a lui non imputabile” - generalità: tutti i debitori, non uno preciso; astrattezza: una persona può essere debitore per svariati titoli La norma giuridica deve obbedire al principio di eguaglianza, ossia l’obbligo di applicare le leggi in modo uguale. Al principio di eguaglianza corrispondono due profili: 1) formale: a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento uguale. Il controllo del suo rispetto è affidato alla Corte Costituzionale, che si limita a valutarne la legittimità, mentre spetterà poi all’apparato legislativo deciderne le soluzioni. La Corte costituzionale è composta da 15 giudici in carica per 9 anni: 5 eletti in seduta comune, 5 eletti dal presidente della Repubblica, 5 eletti dalle magistrature più alte d’Italia: essa si occupa di verificare che le norme create da un Parlamento potenzialmente insano non vadano a cozzare contro l’ART 3 Cost (”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) e se ciò accade la norma viene considerata non-costituzionale e viene abrogata; 2) sostanziale: la Repubblica si impegna ad attenuare le differenze di fatto tra i cittadini, che in concreto discriminano le condizioni di vita dei singoli. Quando occorre risolvere una concreta controversia, il giudice deve operare tramite la sussunzione (= riconducendo il caso concreto a quello generale, ovvero la situazione astratta). In qualche ipotesi, il giudicante può decidere senza applicare una specifica norma oggettiva, ma su criteri fondati sul contemperamento dei valori di giustizia, nel caso in cui le norme legali diano luogo a conseguenze che urtano tali valori. L’ART 1226 cc afferma che “Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare è liquidato dal giudice secondo una valutazione equitative”. Infatti, un danno immateriale può essere valutato solo mediante un’equità del caso concreto, o meglio: “L’equità è dunque la giustizia nel caso singolo”, cit. Aristotele, che attribuiva al giudice il compito di saggiatore d’argento. L’ordinamento giuridico spesso sacrifica l’equità dinnanzi all’esigenza di certezza del diritto, in quanto ritiene pericoloso affidarsi alla soggettività del giudice. Il giudice, pertanto, può discostarsene solamente quando la legge gli permetta di agire secondo equità: ciò accade quando viene inflitto un danno immateriale, di cui quindi sarebbe impossibile determinare un risarcimento se non fosse per l’esistenza delle Tabelle: queste non sono norme giuridiche, ma sono “criteri per cercare di completare ed integrare” una valutazione altrimenti impossibile da darsi. Solo in un caso l’equità è decisionale e non integrativa: si tratta di casi minori (che non superano il valore di 1200 euro) gestiti dai giudici di pace. Le loro decisioni, però, non devono essere in conflitto con i principi generali dell’ordinamento. Nelle altre ipotesi, la norma dev’essere applicata anche se sembra condurre a un risultato che appare come iniquo. DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI DIRITTO PUBBLICO: disciplina organizzazione dello stato e degli enti pubblici + impone ai singoli il comportamento per la vita associata (attraverso l’esplicazione dei pubblici poteri: individua gli organi competenti ad esercitarli, le modalità, la posizione… Si articola in 1) diritto costituzionale, 2) diritto amministrativo, 3) penale, 4)… DIRITTO PRIVATO: disciplina le relazioni inter-individuali (e dei singoli e degli enti privati). Esso è parte dell’ordinamento (=complesso di norme dettate cercando di avere presente gli interessi della società), ma fa operare il singolo in condizioni di uguaglianza degli altri (no soggezione data dalla supremazia dello stato). La linea di demarcazione tra diritto pubblico e privato è variabile: essa può essere: 1) Mutevole nel tempo: lo stato può avocare a sé funzioni che erano in mano ai privati (es. ospedali) / sanzionare un comportamento un tempo considerato di interesse privato (es. norme per la protezione dei lavoratori) / far svolgere attività private da soggetti pubblici (es. privatizzazioni nelle telecomunicazioni) 32) Incerta: enti pubblici (es. banche o assicurazioni) possono svolgere attività private in concorrenza con privati / soggetti privati possono essere concessionari di servizi pubblici (es. ferrovie, strade) / lo Stato può avere il controllo di società di diritto privato, in quanto azionisti di maggioranza Non tutto ciò che riguarda l’ambito pubblico appartiene al diritto pubblico: 1) i soggetti pubblici possono operare in iure privatorum (es. università che stipula un contratto di locazione), 2) sui beni pubblici possono applicarsi norme di diritto privato (es. il comune concede una sala ai privati), 3) gli enti pubblici si servono dei privati per svolgere attività di pubblico interesse (es. raccolta dei rifiuti / erogazione energia) Inoltre, un medesimo fatto può essere disciplinato da norme di diritto privato e pubblico (es. investimento di un pedone: sanzione penale + sanzione amministrativa + sanzione civile). Le norme del diritto privato si distinguono in: • NORME DEROGABILI (o DISPOSITIVE): norme la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo tra gli interessati: il legislatore pone un criterio di disciplina nel caso in cui la volontà del singolo non sia manifesta, ma questa può rendere inoperante la norma. Il carattere derogabile della norma può essere costituito dalle espressioni: “Salvo diversa volontà”, “salvo che il titolo disponga altrimenti”. • NORME INDEROGABILI (o COGENTI): norme la cui applicazione viene applicata indipendentemente dalla volontà degli interessati. Ovviamente, anche l’osservanza di queste dipende dalla volontà del singolo il cui diritto soggettivo è stato leso: non è compito dello stato far rispettare le norme di diritto privato, che sono di interesse dei singoli (= solo l’interessato può decidere se denunciare la violazione). Il carattere cogente spesso risulta 1) dalla formulazione della norma; 2) previsione della nullità dell’atto in caso di violazione (es. contratto per beni di immobili); 3) contrastante limiti alla libertà (es. qualunque patto che limiti la responsabilità del debitore per colpa grave). • NORME SUPPLETIVE: norme che trovano applicazione qualora i privati non si siano regolamentati a riguardo. Le fonti di produzione del diritto sono gli atti e i fatti idonei a produrre diritto (atti: fonti che si manifestano in esplicazioni dell’attività di un determinato organo o autorità produttori di norme; fatto: una consuetudine affermatasi nel tempo come regola giuridica di condotta). Le fonti di cognizione del diritto sono i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si legge il testo di un atto normativo (es. Gazzetta Ufficiale) Rispetto a ciascuna delle fonti, nell’atto si individua: 1) l’organo avente potere di emanarlo, 2) procedimento formativo dell’atto, 3) documento normativo (= testo), 4) i precetti ricavabili dal documento (= interpretazione). Ogni ordinamento deve regolare la produzione delle norme: quali organi possono emanare norme? Con quali valori gerarchici, in un ordinamento che prevede la pluralità delle fonti? Prima del codice civile, ci sono 31 articoli: le Disposizioni Preliminari della legge: il primo articolo è intitolato “Le fonti del diritto”. In esso è indicata la loro gerarchia, che dal 1942 (sotto Mussolini) era: 1) legge, 2) regolamenti, 3) norme corporative (che hanno perduto di efficacia con la caduta del fascismo), 4) gli usi. Con il tempo, si sono aggiunte altre fonti del diritto (es. Costituzione, votata nel 1948/diritto comunitario): la gerarchia delle fonti interne risulta così modificata: 1) principi fondamentali (da cui discendono i diritti inviolabili); 2) Carta Costituzionale e leggi di rango costituzionale; 3) leggi ordinarie e preleggi; 4) leggi regionali, 5) regolamenti, 6) usi. La Costituzione regola il procedimento di elaborazione delle leggi + pone limiti al legislatore (es. inviolabilità del domicilio del cittadino): una legge ordinaria che violasse ciò sarebbe illegittima. I diritti fondamentali non sono suscettibili a revisione (un divieto è inoltre espresso per la natura repubblicana dello Stato). Le leggi suscettibili a revisione della Costituzione vengono approvate con una procedura più complessa di quella per le leggi ordinarie. La Costituzione italiana è rigida: una legge ordinaria non può: 1) modificare la Costituzione o legge di rango c.; 2) contenere disposizioni ad esse contrastanti —> Corte Costituzionale: valuta la costituzionalità delle leggi, tramite: 1) controllo incidentale: norma messa in evidenza da un giudice in un processo, 2) in via principale: promosso dal Governo contro la Regione con troppa libertà legislativa / da Regione contro il Governo o contro un’altra regione. Se la Corte ritiene una norma illegittima: dichiara incostituzionali la norma posta sotto esame e questa cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. 4La Costituzione si differenzia dallo Statuto Albertino del 1918, in quanto la costituzione 1) non si occupa solamente degli organi statali (motivo per cui lo Statuto Albertino si definiva una “Carta Costituzionale corta”), ma anche dei diritti della persona; 2) esso poteva essere modificato con più facilità rispetto alla Costituzione. Al rango costituzionale appartengono le norme del diritto internazionale consuetudinario: queste norme 1) entrano a far parte dell’ordinamento senza una legge di ratifica del Parlamento, 2) medesima forza vincolante della Costituzione (non possono essere contraddette da legge ordinaria; ciononostante, in caso di contrasto tra legge consuetudinaria e ordinamento italiano, prevale quest’ultimo). D’altro canto, il diritto internazionale convenzionale (o pattizio) ha la stessa valenza di una legge ordinaria. Le leggi statali ordinarie sono approvate dal Parlamento con una procedura prevista dalla Costituzione (1.approvazione del testo da entrambe le camere + 2. divulgazione del Presidente della Repubblica + 3. pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). La legge può modificare / abrogare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre può essere abrogata solo da una legge successiva. Essa è una delle tre fonti del diritto; la frase “il diritto è legge” è uno dei limiti del giuspositivismo: il diritto, in realtà, non è solo legge. Il procedimento di legiferazione è stato ereditato dalla democrazia parlamentare inglese ed è molto lento: per questo motivo, è possibile emanare delle leggi anche in modo più veloci: ci sono dei provvedimenti aventi forza di legge emanati dal Governo (Montesquieu avrebbe ritenuto che essi non avessero il potere di legiferare, in quanto il potere legislativo spettava al Parlamento, quello esecutivo al Governo e quello giudiziario alle Magistrature): • Decreti legislativi delegati (o legge-delega): il Parlamento delega questo compito al Governo, qualora la materia sia molto complessa (es Giustizia civile, in cui è necessario un altro livello di competenza) imponendogli dei limiti tramite la comunicazione di criteri e principi ai quali il Governo deve attenersi nell’emanazione del decreto. Oltre a questi limiti vi è un eccesso di delega, decretato dalla Corte Costituzionale. • Decreto legge di urgenza: applicato in casi di urgenza, esso dev’essere convertito in legge nell’arco di 60 giorni per non perdere efficacia. Inizialmente, si sarebbe dovuto utilizzare nei casi di emergenza, ma a partire dagli anni ’60 è stato impiegato frequentemente. Viene così introdotto il T.U. (= testo unico) è un regolamento il cui pregio è essere una legge che raccoglie varie norme attinenti alla medesima materia e spesso prende il nome di codice. La legge ordinaria può essere abrogata da referendum popolare. Le leggi regionali e il loro rapporto con quelle statali sono stati profondamente innovati: 1948: leggi regionali in posizione subordinata rispetto a quelle statali 2001: vennero definite le rispettive competenze: lo Stato ha potestà legislativa esclusiva nell’ordinamento civile 2012: lo stato ha potestà legislativa esclusiva anche sull’armonizzazione dei bilanci La regione ha potestà legislativa su 1) materie di legislazione concorrente (elencate nell’ART 117 Cost), 2) ogni materia non espressamente designata alla legislazione statale. Il criterio del rapporto tra leggi statali e regionali dunque è di competenza (non più di gerarchia), in quanto sono stabiliti distinti ambiti di operatività. La gerarchia subentra solo nelle materie di legislazione concorrente e lo stato stabilisce i principi fondamentale cui la regione si deve attenere. I regolamenti sono fonti secondarie che possono essere emanate dal Governo, ma anche da altri enti non statali. Essi hanno contenuto normativo, ma provengono dall’autorità amministrativa e non legislativa. Essi non possono contenere norme contrarie alle leggi; in caso di contrasto tra legge e regolamento, l’ultimo va disapplicato, non tenendone conto in sede processuale (ma restando in vigore in altri casi magari). La Corte Costituzionale ha escluso il proprio controllo di legittimità sui regolamenti, non potendo esso essere contrario alle leggi. Quando il regolamento sia impugnato da un giudice amministrativo (che ha potere di decidere la legittimità degli atti della Pubblica Amministrazione), esso può essere annullato, rimuovendo la sua efficacia e non essendo più applicabile in altre sedi. 5 (NON DA SAPERE) La normativa comunitaria hanno acquistato un valore prevalente rispetto alle leggi ordinarie statali. L’ART 11 dispone che sono ammissibili limitazioni alle sovranità statali a favore della partecipazione del nostro paese a comunità internazionali. Da una parte, i Trattati che originano la normativa comunitaria sono equiparati alla Carta Costituzionale; d’altra parte, il diritto comunitario (e non solo i Trattati) prevalgono su tutto il diritto ordinario. La Corte di Giustizia si è pronunciata a riguardo sostenendo che gli stati membri devono fare “tutto il necessario” affinché venga 1) applicato il diritto comunitario, 2) applicata l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia. Le fonti derivate dalla matrice comunitaria sono: 1) I regolamenti: atti di portata generale ed obbligatori in tutti i loro elementi. Contengono norme applicabili dai giudici degli Stati membri, con la stessa valenza delle leggi statali. Nel caso di un contrasto con la legge interna, il giudice è tenuto a disapplicare la legge interna. 2) Le direttive: si rivolgano agli organi legislativi degli Stati membri con lo scopo di armonizzare le legislazioni interne dei singoli paesi. Esse (a differenza dei regolamenti) non sono immediatamente efficaci nell’ordinamento, ma devono essere attuate con l’emanazione di apposite leggi nei rispettivi Parlamenti (es. in Italia una volta all’anno viene emanata la legge comunitaria); se ciò non avviene, lo Stato inadempiente può essere sanzionato. Qualora, inoltre, le norme della direttiva siano specifiche e il termine della sua attuazione sia già scaduto, gli Organi della Pubblica Amministrazione vi si devono uniformare, anche in assenza di un’apposita legge. I privati, inoltre, possono pretendere che tali apparati si orientino coerentemente a queste, potendo chiedere anche il risarcimento di un danno allo Stato, qualora subisca un danno a causa del mancato recepimento della direttiva. 3) Le decisioni: identificano situazioni ben definite, vincolanti solo per i destinatari (persone fisiche o giuridiche, Stati membri). Queste sono frequentemente adottate nell’ambito della concorrenza. La Corte di Giustizia ha competenza interpretazione 1) dei trattati, 2) degli atti compiuti dalle istituzioni, organi, organismo dell’unione. Se un giudice ha un dubbio in merito all’interpretazione di una norma, si rivolge sospendendo il processo alla Corte di Giustizia, la cui sentenza è vincolante prevalendo sulle norme legge incompatibili, determinandone la disapplicazione. La legge comunitaria è una legge generale approvata anno per anno che della al Governo l’emanazione di decreti legislativi di attuazione di un insieme di direttive: ciò permette di non passare l’iter parlamentare. La legge europea permette di dare attuazione agli atti europei e ai trattati internazionali nell’ottica delle relazioni esterne all’Unione. Il diritto consuetudinario (!!!) riceve una scarsa attenzione (a differenza degli altri ordinamenti), sebbene esistano dei settori nei quali esso ha mantenuto un ruolo di rilievo. La consuetudine, che in diritto assume il nome di uso, sussiste con 1) requisito oggettivo: la ripetizione di un determinato comportamento in un certo ambiente, osservabile come regola di condotta tra i privati; 2) requisito soggettivo: l’osservanza di un comportamento ritenuto, socialmente, doveroso (opinio iuris ac necessitatis = convinzione che un comportamento sia giusto ed obbligatorio). Il diritto consuetudinario era l’ordinamento ritenuto più importante prima della codificazione napoleonica ed era tramandato oralmente (doit coutumière, in contrapposizione con il doit écrit). Si differenzia dalle abitudini meramente sociali in quanto l’inosservanza di queste ultime non conduce a sanzioni; l’uso normativo, invece, è norma giuridica sanzionabile. La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla Costituzione e resta subordinata alla legge (ART 8), potendo operare solo nei limiti consentiti dalla legge (= no consuetudine contra legem, ma operano solo le consuetudini secundum legem). Talora gli usi sono richiamati come norme derogatorie e perciò la legge contiene scritto “salvo uso contrario”. Per quanto concerne le poche materie intorno cui il diritto è lacunoso, nulla è espressamente disposto: alcuni ritengono che in questi casi si possa far ricordo alla consuetudine (= consuetudine praeter legem: queste consuetudini valgono dunque erga omnes, poiché sono fonti del diritto), sebbene però l’ART 12 Preleggi menzioni, come integrazione alle lacune, l’analogia e il ricorso ai principi generali del diritto. Dunque la decisione tramite consuetudine è consentita solo quando non sia possibile integrare tramite analogia. Il diritto consuetudinario, in quanto non scritto, presenta problemi di accertamento del suo contenuto. Vale da un lato il principio iura novit curia (= il giudice deve applicare la consuetudine 6di cui è a conoscenza, non è la parte interessata a farlo). Dall’altro, se la circostanza è particolarmente controversa e deve essere accertata, è la parte interessata che, in collaborazione con il giudice, deve provarne l’esistenza: tale prova può essere fornita facendo ricorso ad ogni mezzo consentito. Esistono delle raccolte ufficiali di usi (es. quelle delle Camere di Commercio) che non hanno valore di fonte normativa, ma determinano una presunzione semplice. Ci sono altri tipi di usi (uso normativo, usi negoziali, usi interpretativi), che non sono da confondere con le consuetudini. Il codice civile è un codice. Il termine “codice”, che un tempo designava una raccolta di materiali normativi (vedi il Corpus iuris civilis di Giustiniano), ora indica una legge: si tratta di un testo unico che ordina tutti gli aspetti che riguardano una determinata materia ed è caratterizzato da: 1) Organicità: disciplina complessivamente un intero settore 2) Sistematicità: coordinamento logico del materiale normativo e delle singole regole 3) Universalità ed eguaglianza: si rivolge in egual modo erga omnes Esso implica l’abrogazione di tutto il diritto precedente ad essa, l’accentramento della disciplina e la facilità del reperimento del materiale normativo. Lo scopo del codice è infatti dare alla materia un assetto organico e non precario. Dopo il Medioevo (in cui c’era molta arbitrarietà ed incertezza nell’applicazione delle leggi), tra il XVII e il XVIII la codificazione sia in campo costituzionale (Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo; Costituzione Federale americana; …) che in campo di diritto privato ha assunto una notevole importanza: era infatti il periodo dell’illuminismo (aspirazione a introdurre norme eterne). Sebbene ora il codice abbia perduto molto dal punto di vista ideologico, riveste tuttora un ruolo centrale nel sistema ed è concepito come il necessario elemento di supporto di ogni altra legge (il codice è speciale, ossia di specie, in quanto è l’unica legge a carattere generale). Il codice Napoleone (Francia, 1804) favorì la diffusione 1) dei principi di eguaglianza, 2) primato del diritto di proprietà (VS sistema feudale), 3) libertà dei commerci e delle attività economiche. Esso ebbe molto successo, tanto che venne adottato quasi integralmente anche dagli altri Paesi europei. In Italia, il codice civile ebbe una vita travagliata: emanato nel 1865, fu modificato nel 1882 e nel 1938, promulgandolo per intero nel 1942 (esso fu maturato non da giudici fascisti, ma di ideologia liberal-borghese). Il diritto civile non si esaurisce nel codice: è infatti ampliato dalla Carta Costituzionale (1948), più sensibile alle esigenze di perequazione sociale. Crebbe anche la legislazione “speciale”, che ora costituisce un mondo variegato e complesso: è dunque compito dell’interprete restituire dai frammenti sistematicità e coerenza. I codici, essendo approvati con leggi ordinarie, sono soggetti al controllo di legittimità della Corte Costituzionale e possono essere modificati (generalmente, vengono modificati tramite la Novella, ovvero sostituendo il testo con l’articolo, ferma la numerazione originaria). Le modifiche più importanti al codice civile sono state attuate in materia concernente al diritto di famiglia: inizialmente, infatti, la separazione si poteva richiedere solo se uno dei due coniugi avesse commesso una colpa; dal 1975 venne effettuata quest’operazione di novellamento. Il codice civile è diviso in 6 libri, che sono a loro volta divisi in sezioni. LIBRO 1: “Delle persone e della famiglia”, da ART 1 a ART 455 (ART 1: “Le capacità giuridiche si acquisiscono al momento della nascita”) LIBRO 2: “Le successioni”, da ART 456 a ART 809; tratta i vari tipi di successione (testamento, che riserva protezione a determinati soggetti. Successione = sostituire —> si sostituisce il titolare di un diritto. In questo libro è presente un contratto: la donazione: essa non è infatti un contratto unilaterale, in quanto c’è bisogno di colui che dona e di colui che acconsente al dono. Questo contratto è posto nelle successioni in quanto è posto in essere da persone di età avanzata. LIBRO 3: “Degli eredi e delle proprietà”, da ART 810 a ART 1172. L’ART 832:” Il proprietario ha il diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, in osservanza del rispetto dei limiti e degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico” LIBRO 4: “Obbligazioni e contratti”, da ART 1173 a ART 2059: sono approfondite le nozioni di debitore/creditore, locazione, appalto, gioco, scommesse, … LIBRO 5: “del lavoro” da ART 2060 a ART 2643 LIBRO 6: “della tutela dei diritti” da ART 2643 a 2969, libro di materia molto eterogenea. È trattata la trascrizione, l’ipoteca, testimonianze, confessioni, giuramento, … 7Le norme giuridiche hanno un grado di generalità più alto rispetto al codice civile, che è più che altro una clausola generale: esse danno una maggiore apertura verso il concreto e potrebbero per questo motivo essere definite i “polmoni del diritto”; il codice francese ha molte clausole generali, che gli permettono di rimanere da due secoli un codice giusto e “vivente”. L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi, si richiede: 1) promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica; 2) pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; 3) vacatio legis, il periodo di tempo dalla pubblicazione all’entrata in vigore della legge (di regola di 15 giorni, salvo che la legge stessa non ne stabilisca un termine diverso). La disciplina costituzionale è integrata dal Testo Unico riguardo questo tema. Con la pubblicazione, la legge si reputa conosciuta e diviene obbligatoria per tutti -> scienza legale (= vale il principio “ignorantia iuris non excusat”/ “nemo censitur ignorare legem”); la Corte Costituzionale ha però stabilito che l’ignoranza di una legge è scusabile quando l’errore di un soggetto in ordine all’esistenza o al significato di una legge penale sia stato inevitabile. Una legge può essere abrogata in vari modi: • Una disposizione legge viene abrogata quando un atto dispone che ne cessi l’efficacia (sebbene una legislazione abrogata possa venire applicata a fatti verificatisi anteriormente all’abrogazione e può venir previsto un regime transitorio). Una legge non può essere abrogata che tramite una disposizione nuova di pari valore gerarchico (= tramite una legge posteriore). L’abrogazione può essere: 4) Abrogazione espressa: la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata la legge anteriore 5) Abrogazione tacita: la legge posteriore a) risulta incompatibile (contraddittoria) con quella precedente; b) introduce una nuova regolamentazione della materia già regolata -> abrogazione non espressamente dichiarata, ma evidente. La deroga è un fenomeno leggermente diverso rispetto a quello dell’abrogazione: questa pone, solo per specifici casi, una disciplina diversa rispetto a quella annunciata dalla norma precedente, che continua ad essere applicabile a tutti gli altri casi (lex specialis posterior derogat generali). • Una legge può essere abrogata mediante referendum, qualora siano almeno 500 000 elettori o 5 Consigli Regionali a richiederlo. L’abrogazione è approvata dalla maggioranza semplice dei votanti, purché alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto. • La dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia. Ma, mentre l’abrogazione ha effetto solamente per l’avvenire (ex nunc = da ora), la dichiarazione di incostituzionalità annulla la disposizione illegittima ex tunc (= da del tempo), come se non fosse mai stata emanata. Restano salvi solo i rapporti definiti con sentenza passata in giudicato, ovvero una sentenza contro cui non siano più esperibili mezzi ordinari di impugnazione previsti dal codice di procedura civile. L’abrogazione di una norma che aveva a sua volta abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima: in tal caso, essa prende il nome di norma ripristinatoria. La fattispecie, che è descritta in astratto nella norma, determina la conseguenza giuridica prevista nel momento in cui i fatti di verifichino in concreto e di regola ciò si verifica successivamente all’entrata in vigore della norma stessa: NO effetto retroattivo, di regola. Si dice retroattiva una norma i cui effetti vengono applicati a fattispecie concrete verificatesi anteriormente all’entrata in vigore della norma stessa. L’irretroattività della legge è un principio di civiltà giuridica: la condotta dei consociati non può pertanto essere valutata in base a regole introdotte ex post facto. Tuttavia, nel nostro ordinamento solamente la norma incriminatrice penale non può essere in alcun caso retroattiva. La retroattività in ambito privatistico non è invece del tutto preclusa: 81) La Corte Costituzionale la ritiene giustificata se motivata dall’esigenza di tutelare 1) diritti e beni di rilievo costituzionale o 2) tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, purché non produca ingiustificate disparità. 2) Le leggi interpretative sono leggi emanate con lo scopo di chiarire il significato di norme antecedenti. Se una norma è retroattiva, essa si applica alle controversie che siano ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore. In alcuni casi, il legislatore cura il passaggio tra la legge vecchia e quella nuova, servendosi delle disposizioni transitorie (es. nel 1975 con l’introduzione della comunione dei beni, venne posto un lasso di tempo entro cui i coniugi potessero impedire il regime di comunione, tramite una dichiarazione unilaterale). Talvolta, però, manca una disciplina intertemporale: si parla dunque di questioni designate con il termine di “diritto transitorio”. A questo proposito, sono state sostenute due teorie: 1) Teoria del diritto quesito: la legge nuova non può colpire i diritti quesiti (= i diritti facenti parte del patrimonio di un soggetto, es. una legge dice che non esiste la proprietà per un bene di cui sono già proprietario: il bene non si tocca, perché è già nel mio patrimonio —> MA: non è sempre agevole la distinzione tra diritto quesito e aspettativa del diritto (l’insorgenza non è ancora interamente compiuta) 2) Teoria del fatto compiuto: la legge nuova non estende la sua efficacia a fatti definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge precedente, ancorché siano ancora pendenti gli effetti dei fatti stessi (= il legislatore che emana una nuova legge non ha potere su una fattispecie che si è già realizzata); la legge, se non ne è disposta la retroattività, non si applica 1) alle fattispecie realizzatesi anteriormente alla sua entrata in vigore; 2) ai rapporti “esauriti” al tempo della sua entrata in vigore —> MA: i suoi criteri sono meramente indicativi, in quanto lascia aperti in problemi di soluzione dei rapporti pendenti (= una fattispecie verificatasi nell’imperio della legge previgente non abbia esaurito tutti i propri effetti giuridici); es. matrimonio svolto prima del 1975 cui non si applica la comunione dei beni, in quanto è un fatto già interamente compiuto. 3) Occorre dunque sempre risalire alla volontà del legislatore: intendeva attribuire efficacia immediata al regolamento disposto ed estenderlo ai fatti compiuti sotto l’imperio della norma preesistente, oppure limitarne l’applicazione alle sole vicende verificatesi sotto il nuovo imperio? Si parla di ultrattività quando una disposizione di legge, derogando al principio tempus regia actum = l’atto è regolato dalla legge vigente nel momento in cui è posto in essere, stabilisce atti o rapporti compiuti nel vigore di una nuova normativa, mentre però continuano ad essere regolati dalla legge anteriore. -> clausole di ultrattività nell’ambito della clausola claims made EFFICACIA SPAZIALE DELLE LEGGI Se il danneggiante Giulio Ponzanelli investe una donna polacca a Milano, vi è un potenziale conflitto di leggi: quale diritto si deve applicare in questo contesto? Si applica la legge in materia di fatto illecito (delittum) nel luogo dove è avvenuto il fatto. Dall’articolo 16 all’articolo 31 delle preleggi (o Disposizioni Preliminari delle Leggi) c’erano 15 norme che illustravano quale diritto si dovesse applicare se la fattispecie presentava elementi di estraneità rispetto a una situazione più semplice. Queste, però, sono state abrogate dalla legge- riforma 218 del 1995 del DIP (Diritto Internazionale Privato). Vale il principio “iura novit curia”, che indica che il giudice è tenuto a conoscere il diritto (sebbene il giudice italiano conosca solo quello italiano): il giudice italiano che si trova in un conflitto di leggi, è tenuto a nominare un professore italiano o straniero che valuti il diritto del paese straniero. La norma straniera che il giudice italiano sia tenuto ad applicare in virtù del criterio di collegamento non dev’essere mai in contrasto con la clausola generale. Inoltre, bisogna specificare che una sentenza straniera dev’essere riconosciuta nel nostro Stato (es. il 9pignoramento non è stato riconosciuto in Italia). Negli Stati Uniti ci sono molti conflict of laws (= diritto internazionale privato), visto il grande numero di stati che compongono la federazione. L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE Per applicazione della legge si intende la concreta attuazione di quanto è stabilito dalla regola stessa. In particolare, il diritto privato regola l’agire degli individui nei rapporti tra loro: qualora la tutela del diritto individuale di fronte a una sua lesione preveda l’intervento dell’Autorità giurisdizionale, sarà il giudice ad applicare la legge attraverso la pronuncia dei provvedimenti (sentenza, ordinanza, decreto). L’interpretazione è l’attività tipica del giurista, confrontandosi con il testo normativo per comprenderne il valore precettivo (= la regola affermata). Interpretare (obscura explanare interpretando, Cicerone) significa attribuire un senso al testo, tra le plurime letture possibili. L’attività di interpretazione non può esaurirsi nel mero esame dei dati testuali, perché: 1) Il legislatore prescrive che è necessario attribuire alle parole il loro significato proprio (quando però quasi nessun vocabolo ha un significato univoco), che va ricavato da elementi extra-testuali, tenendo conto altresì delle intenzioni del legislatore 2) Gli enunciati normativi si riferiscono a fattispecie ipotetiche: l’interprete dovrà dunque decidere se considerare i casi concreti parte della disciplina dettata dalla singola norma (attraverso “l’estensione” o “l’integrazione”). 3) Le formulazioni legge possono apparire in conflitto tra loro: vengono dunque applicati criteri di a) gerarchia tra le fonti; b) cronologici: norme posteriori prevalgono su quelle anteriori; c) specialità: lex specialis derogat lex generali, … 4) Dinanzi ad una fattispecie concreta, difficilmente è applicabile un’unica norma, ma occorre utilizzare una combinazione di disposizioni —> interpretazione sistematica (= sulla base dell’intero sistema dell’ordinamento) In quest’ottica, assume una grande importanza l’attività ermeneutica, che dev’essere ancorata ai principi della Costituzione: infatti, tra i più significati, va scelto quello più attinente alla Costituzione. Pertanto, una norma può essere dichiarata incostituzionale qualora non sia possibile darvi un’interpretazione conforme alla Costituzione. Per questo motivo, si parla di interpretazione costituzionalmente orientata. I suoi principi infatti, non solo vincolano il legislatore, ma “entrano direttamente nel contratto” e nei rapporti tra privati. L’attribuzione a un documento legislativo dell’interpretazione più immediata e intuitiva è detta interpretazione dichiarativa. La formula “in claris non fit interpretatio” prescrive di attenersi, ove possibile, all’interpretazione dichiarativa e l’ART 12 comma 1 delle Preleggi afferma che “Nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore”.Qualora invece il processo interpretativo attribuisca alla disposizione un significato diverso da quello che apparentemente le sarebbe proprio, si parla di interpretazione correttiva (che si suddivide in 1) estensiva, 2) restrittiva, che può giungere al limite di abrogante): in questi casi, il documento è muto senza il lavoro dell’interprete e il suo significato è il risultato (e non il presupposto) dell’attività interpretativa. All’interpretazione della legge può accompagnare (e non contrapporre) l’integrazione della legge: questa consiste nell’individuazione di una regola che il documento normativo non sembrerebbe contemplare ad una prima lettura. Es. ART 2059:” Il danno non patrimoniale può essere risarcito nei soli casi previsti dalla legge”: il danno non patrimoniale è un danno che non riguarda il patrimonio (es. se rompo un oggetto, il danno non patrimoniale può essere il valore affettivo di quell’oggetto). Questa norma, a partire dal 1942, è stata portata in esame quattro volte alla Corte Costituzionale, poiché ci si domandava come mai il danno non patrimoniale non potesse essere sempre risarcito, valutando la legittimità di questa norma. Per molti anni, infatti, il “solo previsto dalla legge” rappresentava la situazione in cui il fatto illecito 2043 fosse un reato (non tutti i fatti illeciti costituiscono un reato). Questa questione è stata portata sotto l’esame della Corte Costituzionale più volte: la Corte Costituzionale, però, rigetta la questione, ancorandosi alla discrezionalità del giudice. Dal 2003, la Terza Sezione della Corte di Cassazione afferma che il risarcimento del danno non patrimoniale previsto dalla legge 2059 deve essere interpretato diversamente: tra “i soli casi previsti dalla legge”, vi sono anche i principi della Costituzione. Con questa interpretazione, se 10viene leso un diritto inviolabile, si ricorre a una sanzione sebbene il fatto illecito non costituisca un reato. Con questo procedimento di interpretazione è stata formata una nuova norma con lo stesso testo: interpretazione estensiva: viene attribuita alla norma giuridica un significato più ampio rispetto a quello che a prima vista sembrerebbe avere / interpretazione restrittiva: la norma viene interpretata in modo più ristretto rispetto a quello che a prima vista potrebbe avere. I soggetti che svolgono l’attività interpretativa sono essenzialmente di tre tipi: 1) Interpretazione giudiziale: l’attività interpretativa si traduce in provvedimenti dal valore vincolante quando essa sia compiuta da giudici dello Stato nell’esercizio della funzione giurisdizionale. Il ruolo autoritativo si applica alle sole parti del giudizio, che sono dunque le uniche destinatarie del provvedimento del giudice; per giurisprudenza si intende l’interpretazione (o l’orientamento applicativo) espresso dalla costante o tendenzialmente stabile prassi dei giudici (= l’insieme delle sentenze dei giudici). Una sentenza, tuttavia, può assumere il valore di precedente in casi simili: ciò significa che un’interpretazione data in passato può essere utile al fine della risoluzione di successivi casi analoghi. Essa non ha valore vincolante, a differenza di quanto avviene nella Common law (in Inghilterra, nei paesi del Commonwealth, a Hong Kong vige la regola dello stare decisis, ovvero della valenza vincolante del precedente. La Common Law assume dunque il valore di una consuetudine tramandata temporibus illis, che viene messa per iscritto dal giudice; qui la certezza parte dal caso concreto e dalla giurisprudenza: si dice infatti “judge made law”); nei paesi di Civil law, il precedente assume un valore non vincolante, bensì ha valore persuasivo: pertanto, ciascun giudice è libero di adottare l’interpretazione che ritenga preferibile; il giudice italiano agisce mediante sussunzione, ossia partendo dalla norma generale ed astratta per arrivare in un secondo momento alla fattispecie concreta. Dunque, la giurisprudenza non assume il valore di fonte del diritto, in quanto essa riguarda solo ed esclusivamente l’attore e il convenuto e dunque non è destinata ad essere seguita erga omnes (a differenza dei paesi della Common Law). Tuttavia, l’interpretazione giudiziale ha avuto una notevole autorità, data la tendenza degli ordinamenti della giurisprudenza a consolidarsi. Recenti leggi, hanno rafforzato il valore del precedente, accrescendo la certezza del diritto. Nell’ambito del processo civile, è conferita vincolatività alle sentenze della Cassazione a sezioni unite: i giudici di merito restano liberi di emanare decisioni difformi, mentre non avviene così per le Sezioni semplici della Corte di Cassazione: infatti, se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime la decisione del ricorso, con ordinanza motivata. Inoltre, le sentenze interpretative della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sono considerate vincolanti, così come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 2) Interpretazione dottrinale: costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, la cui autorità deriva solamente dal prestigio dell’autore. Il loro lavoro di illustrazione delle possibili interpretazioni con le relative implicazioni è molto utile ai giuristi, in mancanza del quale infatti essi sarebbero privati di un appoggio fondamentale nelle scelte che devono intraprendere con tempestività. Neppure la dottrina è una fonte del diritto: sebbene infatti il suo contenuto sia molto importante, è comunque da inserirsi in una pluralità di dottrine, talvolta contrastanti. 3) Interpretazione autentica: non costituisce una vera attività interpretativa, in quanto proviene dallo stesso legislatore che talvolta emana delle apposite disposizioni di efficacia retroattiva per chiarire il significato di altre preesistenti. L’efficacia retroattiva di una norma rende indispensabile la distinzione tra norma interpretativa, a cui tale efficacia retroattiva va applicata, dalla norma novativa con efficacia ex tunc (= solo per i fatti compiuti successivamente all’entrata in vigore della norma). Talora, la natura interpretativa di una norma è esplicitamente dichiarata (es. “si interpreta nel senso che…”); in altri casi, deve essere dedotta. In realtà, non può essere considerata realmente interpretativa la legge che mira a modificare la legge, sebbene essa si dichiari espressamente interpretativa. In ogni caso, la retroattività di una legge interpretativa non ha luogo sul giudicato formatosi sotto l’imperio della precedente. L’ART 12 comma 1 delle Preleggi afferma che “Nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la 11
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