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Diritto Tributario:
Appunti esaustivi che riassumono con precisione la spiegazione del docente e non anche i principi del volume adottato ai fini dell’esame. Dopo un'introduzione sulla storia e l'evoluzione della disciplina del diritto tributario, si approfondiscono i principali argomenti attinenti alla materia e quindi l'autonomia e il particolarismo del diritto tributario; il particolare rafforzamento dei poteri amministrativi e per l'estensione e le prestazioni imposte. Gli appunti offrono inoltre un quadro completo ed esaustivo del rinnovato panorama fiscale italiano e delle diverse tipologie di tributi (diretti, indiretti e locali): tutti gli argomenti sono esposti in modo sintetico ma chiaro ed efficace. A.A. 2021/2022
Dettagli appunto:
- Autore: Cristian Lambiase
- Università: Università degli Studi di Foggia
- Facoltà: Giurisprudenza
- Corso: Consulente del lavoro ed esperto di relazioni industriali
- Esame: Diritto Tributario
- Docente: G. Fransoni
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Diritto Tributario Appunti di Cristian Lambiase Università degli Studi di Foggia Facoltà: Giurisprudenza Corso di Laurea in Consulente del lavoro ed esperto di relazioni industriali Esame: Diritto Tributario Docente: Guglielmo Fransoni A.A. 2021/20222 Il diritto tributario nell'ordinamento giuridico. La definizione del diritto tributario ha dato luogo in passato ad infinite controversie che riguardano: - l'estensione del fenomeno tributario: i primi studi giuridici tendevano a considerare l'attività di reperimento dei mezzi finanziari assieme a quella diretta all'impiego di tali mezzi - il suo metodo di studio - i rapporti con le altre scienze, giuridiche e non. In questa prospettazione globale del fenomeno finanziario gli studi avevano per oggetto l'intera attività finanziaria dell’ente pubblico quindi: - acquisizione delle entrate - gestione ed amministrazione del patrimonio - erogazione delle spese. L'espressione “diritto finanziario” veniva così utilizzata in senso ampio riferendosi al complesso di norme che regolano la raccolta, la gestione e l'erogazione di mezzi finanziari pubblici. All' unità della materia (riferita alle molteplici attività svolte dallo Stato in campo finanziario) non corrispondeva unitarietà di disciplina essendo questa via via ispirata a principi diversi (di diritto costituzionale, di diritto amministrativo, di diritto privato ecc). Se sul piano descrittivo e tecnico-finanziario poteva essere utile considerare unitariamente i diversi aspetti del fenomeno, sul piano scientifico l'affinarsi degli studi giuridici ha condotto ad una progressiva ricerca di settori retti da principi uniformi. La dottrina ha ormai da tempo individuato un corpo di norme riferite alle entrate coattive a carattere contributivo, che ha definito diritto tributario. Diritto tributario: complesso di norme e di principi che presiedono all'istituzione e all'attuazione del tributo. Si sottolinea l’unificazione del diritto tributario intorno alla nozione di tributo. Altre nozioni di diritto tributario via via accolte dalla dottrina derivano dalle rispettive nozioni di tributo e dal metodo di studio del fenomeno. La dottrina più recente pone attenzione: - ai caratteri e ai limiti della potestà normativa tributaria - ai caratteri e ai limiti della potestà amministrativa di imposizione. Il diritto tributario è da essa definito come lo studio dell'aspetto dell’attività finanziaria pubblica che attiene all'esercizio del potere d'imposizione. Questa definizione si caratterizza per la sua scarsa impegnatività e tendenziale ampiezza perché include nell’oggetto del nostro studio tutti i tributi riferiti allo Stato e agli enti territoriali e non, e comprende sia la fase normativa di istituzione e le regole che ad essa presiedono, sia la fase di attuazione del tributo intesa come fase di accertamento e di riscossione, senza impegnarsi in sede definitoria quanto agli strumenti giuridici attraverso cui 3 si realizza il prelievo. Nel nostro ordinamento manca un corpo organico di leggi tributarie e anche lo Statuto dei diritti del contribuente, introdotto con legge 27 luglio 2000 n, 212, appare debole rispetto alla forza dei principi enunciati; di conseguenza il governo ha presentato una delega (legge 7 aprile 2003 n. 80) per fissare in un codice le norme fiscali di principio. A maggior ragione appare difficile individuare la posizione delle norme tributarie rispetto a quelle degli altri settori del diritto che entrano in contatto con la materia tributaria. Appartengono al diritto tributario: - le norme che disciplinano l'esercizio e i limiti della potestà normativa - le norme che regolano l'attuazione del prelievo attraverso l'accertamento - le norme che regolano la riscossione - le norme che regolano la riscossione l'applicazione delle sanzioni - le norme che regolano la tutela contenziosa ecc… Se nell’istituzione ed attuazione dei tributi (unificazione sotto il profilo della materia) non è consentito elaborare principi unitari ma è necessario risalire ogni volta alle norme ed ai principi di ciascun settore del diritto positivo coinvolto, non si può tuttavia dire che manchi nel nostro settore un principio generale in base al quale ordinare tutte le norme che disciplinano l'istituzione e l'attuazione del tributo. Si tratta del principio costituzionale di capacità contributiva (criterio sostanziale di determinazione del presupposto) che opera attraverso il principio di stretta legalità in tutte le fasi di attuazione del tributo fino alla concreta acquisizione del prelievo. 2. L'autonomia e il particolarismo del diritto tributario. II problema dell'autonomia del diritto finanziario va inquadrato in termini storici. Metodo economico: in una prima fase storica i problemi della finanza pubblica furono trattati da economisti o comunque di studiosi a formazione non esclusivamente giuridica. Metodo giuridico: sotto l’influsso della dottrina giuridica tedesca, si affermò anche in Italia nella seconda metà dell'ottocento. Comportava il rifiuto di metodi di indagine appartenenti ad altre scienze e di strumenti estranei alla tradizione giuridica. L'utilizzazione esclusiva del metodo giuridico non agevolava però la ricostruzione di principi generali, dei quali mancava l'espressa formulazione normativa e che erano invece piuttosto rinvenibili nelle elaborazioni delle scienze economiche. A questa fase si contrappone la reazione della scuola di Pavia (rappresentata dal Griziotti) secondo cui il fenomeno finanziario va studiato in modo integrato sotto i suoi molteplici profili giuridici, economici, politici e tecnici. In questa prospettazione, il metodo di studio del diritto tributario veniva ribaltato da prevalentemente giuridico a prevalentemente economico. Allo stato attuale nessuno più dubita che l'annosa controversia dottrinale sia stata determinata da diverse impostazioni metodologiche nello studio del fenomeno e da diverse accezioni del 4 concetto di autonomia. Nessuno più dubita dell'autonomia scientifica del diritto tributario per: - l'importanza acquisita dal tributo nell'ambito dell'ordinamento statuale - la possibilità di individuare principi comuni che disciplinano questo settore del diritto. Si tratta di principi diretti a disciplinare la ripartizione dei carichi pubblici contemperando: - l'interesse generale della collettività consistente nell'acquisizione dell'entrata - l’interesse individuale dei singoli consistente nel rispetto del loro patrimonio. È necessario stabilire oggettivamente i criteri di giustizia distributiva in base ai quali individuare la parte delle spese pubbliche che deve fare carico a ciascuno dei consociati. Si tratta quindi dei principi costituzionali ed in particolare di quello di capacità contributiva che costituisce il termine generale di riferimento sia della fase di introduzione che di quella di applicazione delle norme tributarie. Di particolarismo del diritto tributario la dottrina ha parlato trascurando il riferimento ai principi generali comuni e mettendo in evidenza le sue due caratteristiche peculiari: 1. la strumentalità: intesa nel senso di differenza rispetto ad altre attività che realizzano immediatamente i fini pubblici. Sussiste per quasi tutte le attività di gestione e di erogazione del denaro pubblico ed anche sul versante delle entrate coesistono ipotesi di attività idonee a soddisfare immediatamente gli interessi pubblici ed ipotesi di attività strumentali a tale soddisfazione. In altro senso si parla di strumentalità per indicare l'attitudine dal diritto tributario a sovrapporsi ad una realtà già qualificata da altre norme giuridiche. 2. il particolare rafforzamento dei poteri amministrativi e per l'estensione e l'importanza dei controlli (accentuazione dei poteri di controllo della pubblica amministrazione): in molti casi la cosiddetta “ragion fiscale” deforma la disciplina del tributo in funzione delle esigenze di controllo del fisco: la norma tributaria non viene scritta nel presupposto che il principio di capacità contributiva sia l'unico criterio di ripartizione dei carichi pubblici ma viene scritta tenendo conto delle maggiori possibilità evasive ed elusive del contribuente. Infatti numerose norme sono redatte in modo da prevenire l'eventuale comportamento illecito del contribuente. Questo aspetto del suo particolarismo configura il diritto tributario come un pendolo che oscilla tra: - esigenza di giustizia: espressa dal principio costituzionale di capacità contributiva - esigenza di controllo: espressa da tutte le norme che deformano il primo principio in favore dell’interesse del fisco. 3. I rapporti con la scienza delle finanze. Non si tratta più di far derivare dalla scienza delle finanze il quadro di riferimento per 5 l'interpretazione di norme giuridiche, né di far prevalere principi e finalità economiche nello studio del diritto tributario, ma si tratta di riconoscere gli intimi legami tra la scienza che studia l'istituzione e l'attuazione del tributo (giuridica) e quella che ne studia la scelta e gli effetti (economici). Il rapporto tra diritto tributario e scienza delle finanze, lungi dal manifestarsi come le due facce di un unico fenomeno (come sosteneva la scuola griziottiana) si appalesa tuttavia come un nesso, sia pure di particolare complessità, tra due scienze appartenenti a diversi sistemi. 6 CAPITOLO II - LE PRESTAZIONI IMPOSTE e IL TRIBUTO 4. Le entrate delle Stato e degli enti pubblici. I mezzi economici di cui necessitano lo Stato e gli altri enti pubblici possono derivare dalla gestione ed alienazione dei beni che loro appartengono, ovvero dall’esercizio di attività lucrative o infine da prelievi coattivi giustificati da ragioni di pubblico interesse. Secondo una tradizionale classificazione economica il prezzo privato era quello che si determinava nelle contrattazioni in base alle leggi del libero mercato (superiore al costo); il prezzo pubblico era quello fissato in base a regole pubblicistiche (copriva il costo totale del servizio); il prezzo di monopolio aggiungeva un’imposta all’ammontare del prezzo privato, in ragione della posizione monopolistica dell’ente pubblico; il prezzo politico (inferiore al costo totale del servizio) era quello dove la collettività si assumeva parte del costo e infine l’imposta costituiva la quota individuale del costo per i servizi indivisibili (difesa,..) ovvero di quelli pur divisibili, che la collettività assumeva completamente a proprio carico. Secondo una classificazione giuridica, la distinzione delle entrate si basava sulla natura del rapporto (di diritto pubblico o privato) tra esso e i cittadini. Si definiscono entrate di diritto pubblico quelle coattivamente imposte in virtù della podestà d’imperio ed entrate di diritto privato quelle che traggono origine dai rapporti contrattuali; così diciamo che i servizi indivisibili fossero finanziati da entrate coattivamente imposte, mentre i servizi pubblici divisibili da entrate di rapporti di diritto privato. Le entrate a titolo commutativo erano quelle che costituivano il corrispettivo di una controprestazione, mentre quelle a titolo contributivo erano quelle in cui la controprestazione mancava. Infine, a seconda della fonte esse si risolvono in entrate da contratto, da provvedimento e da legge, riservando al diritto privato le entrate nascenti da contratto o da provvedimento e al diritto pubblico le obbligazioni ex lege che possono nascere da fatti illeciti (sanzioni) o da fatti leciti (tributi). Comunque possiamo dire che oggi l’unica classificazione che mostra sostanziale utilità è quella che distingue tra prestazioni imposte (in cui si applica la riserva di legge art. 23) e prestazioni prive di tale connotazione. 5. Le prestazioni imposte (Art. 23 cost.) Le prestazioni imposte sono un concetto molto più ampio di entrate tributarie. C’è la categoria MAYOR delle prestazioni imposte, all’interno del quale troviamo prestazioni a carattere personale e prestazioni a carattere patrimoniale, nelle quali troviamo le prestazioni tributarie ed extra-tributarie (distinzione sulla base di un criterio contabile ossia sulla struttura del bilancio statale), e solo all’interno delle prestazioni tributarie c’è la ripartizione tra imposte, tasse e prelievo specifico. Quindi possiamo dire che le ENTRATE TRIBUTARIE sono tutti i prelievi a prescindere 7 dall’aspetto. Le prestazioni imposte, disciplinate in passato dall’art. 30 dello Statuto Albertino, secondo cui <<nessun tributo può essere imposto o riscosso, se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato>>, ora hanno un preciso riferimento normativo: Art. 23 cost. <<Nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge>>; tale norma sintetizza da un lato l’assunzione dell’elemento di coattività quale carattere essenziale di tali prestazioni, e dall’altro l’attribuzione a queste prestazioni della rilevanza giuridica. Tale articolo prevede congiuntamente prestazioni personali e patrimoniali: le prime si risolvono in attività che comportano l’utilizzo di energie fisiche ed intellettuali con la conseguenza per il privato della possibilità di determinare liberamente la destinazione delle energie medesime, mentre le seconde si rilevano per la loro attitudine a produrre una decurtazione del patrimonio del privato e quindi hanno per oggetto il denaro. Esempio delle prime è il servizio militare; esempio delle seconde può essere l’espropriazione forzata, la sanzione, ecc. Infine diciamo che il prelievo che porta al depauperamento del patrimonio del privato ha carattere AUTORITATIVO (potere dello Stato e fa parte del concetto di sovranità). Tale potere statale ha lo scopo di reperire le risorse finanziarie per assicurare a tutti i servizi generali, quindi non collegato al soddisfacimento del bisogno specifico!!! Non c’è l’obbligo di dare una giustificazione a tale prelievo da parte dello Stato. 6.I criteri di ripartizione dei carichi pubblici: evoluzione storica Occorre affrontare il problema della ripartizione dei tributi tra i consociati. Dopo le epoche remote in cui i carichi pubblici venivano addossati a soggetti estranei alla collettività, si affermarono criteri di ripartizione estremamente semplici e sostanzialmente legati all’esistenza della persona o della famiglia. Al passaggio dal principio del consenso a quello dell’autoritatività per quanto riguarda il fondamento del prelievo, si affianca il passaggio da criteri di ripartizione dei carichi pubblici semplici a criteri sempre più complessi, sostanzialmente basati sull’individuazione della ricchezza, della potenzialità economica e su principi solidaristici basati sull’appartenenza al gruppo organizzato. Nacquero così e si svilupparono le teorie della corrispettività e del beneficio dirette, la prima, a misurare il concorso del privato alle prestazioni pubbliche divisibili (a lui direttamente riferite), e la seconda a misurare la partecipazione del privato alle prestazioni pubbliche indivisibili in ragione del godimento delle prestazioni stesse. Successivamente, nel passare degli anni assistiamo al passaggio da criteri di ripartizione del carico che tengono conto del patrimonio del privato, al principio della capacità contributiva. 8 7. Il principio della capacità contributiva (Art. 53 cost.) L’art. 53 Cost. recita: <<Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività>>. Il concetto di capacità contributiva è stato coniato da i nostri padri costituenti e costituisce un UNICUM tra le costituzioni formali europee. Il 1° comma tutela due interessi di pari rango, e cioè quello della collettività al concorso di tutti alle spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica, e quello del singolo al rispetto della propria capacità contributiva, espressivo della funzione garantistica della norma. Il carattere solidaristico è altresì affermato dalla generalità del concorso; si ritrova qui il principio di uguaglianza, inteso come divieto di deroghe alla pari efficacia della legge nei confronti di tutti senza riguardo a categorie, classi e ceti sociali. La formula “Tutti” che indica la sfera soggettiva di applicazione, si estende ben oltre i cittadini (come invece indicava art. 25 stat. albert.), fino a comprendere tutti coloro che in qualche modo entrano in contatto con l’ordinamento dello Stato per essere nella collettività e coinvolti per interessi di diversa natura. Quindi ci si riferisce non solo alle persone fisiche, ma anche a quelle giuridiche. Tale termine comunque deve essere inteso in un eccezione relativa, riferito cioè non a tutti gli individui, ma solo a quelli che hanno una effettiva capacità contributiva, dopo aver soddisfatto tutti bisogni primari. L’affermazione della doverosità della contribuzione è espressa dalla formula <<sono tenuti>>; l’obbligo del concorso secondo capacità contributiva non costituisce tanto un limite od una garanzia per il cittadino, quanto un criterio di distribuzione razionale e perequata dell’onere fiscale. Venendo all’ambito di applicazione sono state escluse dall’applicazione dell’art. 53 le prestazioni aventi carattere sanzionatorio per l’evidente mancanza del requisito solidaristico. Per quanto riguarda i tributi restano esclusi le contribuzioni relative a prestazioni di servizi il cui costo di può determinare divisibilmente, mentre restano comprese quelle che hanno finalità generali; in definitiva la Corte ha sostanzialmente ricollegato l’operatività dell’art. 53 alla vecchia distinzione tra tributi volti a coprire il costo di servizi indivisibili (imposte) e tributi volti a coprire il costo di servizi divisibili (tasse). Quanto ai contributi la Corte ha applicato loro l’art. 53 rilevando il loro collegamento ad una tipica espressione di nuova ricchezza ed assimilandoli strutturalmente all’imposta. La seconda parte del 1° comma svolge la già citata funzione garantistica di vietare tributi che non si colleghino ad una capacità contributiva, quindi bisogna riferire il prelievo al soggetto portatore di capacità contributiva (propria e quindi individuale) e se interviene un soggetto intermediario (sostituto d’imposta), la capacità contributiva non è riferita a lui, ma al vero contribuente. Quando parliamo di capacità contributiva, non si presuppone solo il possesso di mezzi di 9 carattere patrimoniale, ma è qualcosa in più della mera ricchezza. Invece se parlassimo di capacità economica ci riferiremmo alla capacità di avere mezzi di carattere patrimoniale. Esempio: il soggetto A ha un alto guadagno che spende quasi totalmente; il soggetto B detiene molti averi di alto valore. Tra i due, il soggetto B ha capacità economica, mentre A ha capacità contributiva. Quindi si può affermare che per esserci capacità contributiva occorre che ci sia capacità economica ma, viceversa, la presenza di capacità economica non necessariamente porta a dire che ci sia capacità contributiva. Di seguito facciamo un altro Esempio per capire il vero concetto di capacità contributiva: Es. il sig. A ha un grosso patrimonio in appartamenti dati in affitto, con i canoni di affitto percepiti il sig. A paga le imposte e conduce una vita agiata. Se immaginiamo che per un anno il sig. A non percepisce gli affitti allora lui si trova con un grosso patrimonio ma senza liquidità per pagare le imposte che dovrà ugualmente pagare. Il sig. A, allora, è un soggetto dotato sia di capacità economica (possiede un grosso patrimonio immobiliare) sia di capacità contributiva perché il suo patrimonio è traducibile in denaro cioè il contribuente per far fronte alla necessità di liquidità può vendere un appartamento. Viceversa Il sig. B che possiede un Tintoretto originale avrà più difficoltà a tradurre il suo patrimonio in denaro e pertanto è soggetto con sola capacità economica. E’ possibile trovare delle situazioni al di sotto delle quali non c’è capacità contributiva. Proprio per far fronte a questa situazione la Corte costituzionale ha coniato il famoso istituto del “minimo vitale” il quale prevede che, affinché ci sia capacità contributiva da parte del singolo individuo occorre che sia in grado almeno di soddisfare i bisogni primari. Ne consegue che per tutti i soggetti che non riescono a soddisfare i bisogni primari non è possibile parlare di capacità contributiva. Prima il minimo vitale veniva calcolato con l’individuazione di un livello di reddito al di sotto del quale non si aveva il cd. Minimo vitale, mentre nell’attuale sistema (riforma Tremonti) è stabilito attraverso un sistema di detrazioni e deduzioni con l’individuazione della cd. NO TAX AREA. Sono strettamente dipendenti dal principio della capacità contributiva tutte le misure che consentono di tener conto della situazione personale e familiare del contribuente potendo affermare che 1° e 2° comma hanno un’impostazione personale. Infine, diciamo che una sentenza della cassazione ha riconosciuto come indice di capacità contributiva il possesso di un’auto d’epoca di valore, in quanto la cassazione sostiene che tali beni comportano spese notevoli che svelerebbero una determinata capacità contributiva del proprietario. Altri beni d’epoca, ad es. un castello non sono stati considerati indici di cap. contr. Si potrebbe dire che l’accertamento della capacità contributiva andrebbe fatta caso x caso. La giurisprudenza della Corte ha individuato il principio di capacità contributiva come limite alla legittimità della norma impositrice e ciò ha fatto distinguendo, in alcune sentenze, tra limite assoluto (inteso cioè come requisito oggettivo di qualunque presupposto cui si potesse ricollegare la partecipazione alle pubbliche spese Es. sarebbero incostituzionali tributi aventi come presupposto il lavoro domestico, l’attività ricreativa,…) e il limite relativo (inteso nel 10 senso di giustificazione della diversa contribuzione imposta a seconda della capacità contributiva). Riguardo le agevolazioni fiscali, si è posto il problema perché per alcuni si e per altri no quasi entrando in contrasto col principio di uguaglianza? Bisogna prima di tutto vedere il fine delle agevolazioni e poi il concorso alle spese pubbliche alcuni possono farlo con i tributi, altri con la ristrutturazione di un immobile storico con agevolazione. Requisiti della capacità contributiva: CERTEZZA Con riferimento a questo principio la Corte ha preso in esame le numerose presunzioni, dichiarando legittime le presunzioni relative (dove è ammessa la prova contraria del contribuente) Es. Studi di settore usati per l’impossibilità di fare un controllo e per facilitare il lavoro della PA, mentre illegittime le presunzioni assolute (è una certezza assoluta e quindi non si ammette prova contraria al contribuente) Es. minimum tax e il redditometro non sono passati al vaglio della Corte Costituzionale perché ad ogni bene corrispondeva un valore e quindi in base a questi si determinava il reddito di un soggetto; tenendo conto che un bene può essere donato, regalato,…non era possibile calcolare il reddito in tale modo, in quanto in presenza di presunzione assoluta. In riferimento al periodo attuale abbiamo anche il decreto Bersani, il quale vuole la dimostrazione di tutti i costi del c/c, che anche se presunzione relativa è molto difficile da dimostrare. PROF: la ricchezza sottoposta a tassazione deve essere corrispondente a quello di cui effettivamente beneficia il corrispondente (differenza tra ricavi e costi). Ma chi non detiene le scritture contabili, come fa a dedurre i costi? Il legislatore individua dei costi in via forfettaria (per semplificazione) ma in questo modo c’è chi ne ha vantaggio e chi ne ha svantaggio. EFFETTIVITA’ Deve essere effettiva, ossia deve essere una potenzialità economica reale che non sia disturbata da oneri, componenti di costo,…che di fatto ne annullano la potenzialità economica. Si deduce la non imponibilità della potenzialità espressa dai mezzi economici necessari alla mera sopravvivenza, cioè del cd. Minimo vitale. Tizio che guadagna 10000€ di reddito annui, possedendo 25 case, l’amministrazione finanziaria (nell’applicazione più rigorosa del principio della certezza) non potrebbe dire: “tu hai 25 case, per cui non puoi dichiarare 10000€”, ma dovrebbe andare a scoprire tutte le ricchezze che Tizio non ha dichiarato. Il principio di effettività ha avuto un suo sviluppo che lo porta ad essere distinto dal principio della certezza: secondo la corte costituzionale non è possibile che siano tassate formule o 11 espressioni di ricchezza al lordo, ma occorre che siano di volta in volta considerati tutti i costi che hanno concorso alla formazione di quella ricchezza; se l’applicazione dell’effettività fosse rigorosa sarebbe un inferno! Tassare il reddito di una società è semplice, in quanto esse hanno un impianto contabile. Ma pensando, ad es., ad un impiegato o a un pensionato, essi non possono dedurre i costi (ad es. la benzina che consumano per andare al lavoro): per far ciò occorrerebbe che ciascun impiegato avesse una propria contabilità analitica. Non vi è l’applicazione rigorosa dell’effettività: per i redditi di lavoro dipendente o per i pensionati, dove la deducibilità dei costi è prevista per via forfetaria, cioè per un quota fissa all’anno che il legislatore stesso prevede. In questo caso viene comunque rispettata l’effettività, perché c’è una deducibilità dei costi, anche se forfetaria. Anche nel caso della determinazione catastale dei redditi riscontriamo l’anomalia, in quanto l’immobile non viene tassato prendendo in considerazione i costi che effettivamente necessitano, ma x raggirare il problema si sono stabiliti dei costi forfetari (non effettivi). [compromesso Corte Costituzionale] PROF: problema delle presunzioni: 1°livello di presunzione: presunzione semplice utilizzata da chi mette in atto un percorso logico-deduttivo 2°livello di presunzione: doppia presunzione, da una cosa nota si arriva ad una cosa ignota con un doppio passaggio Presunzione assoluta: non ammette prova contraria Presunzione relativa: ATTUALITA’ Il legislatore non può pretendere pagamenti anticipati rispetto alla manifestazione della c.c. e non può disporre di prelievi di carattere retroattivo. Anche questo principio non trova nella pratica un’applicazione rigorosa, intanto perché i fenomeni tributari retroattivi non sono sempre sfavorevoli al contribuente; es.: il condono è retroattivo e favorevole al soggetto passivo; per cui se il principio di attualità fosse rigoroso il condono sarebbe illegittimo sul piano costituzionale. La corte costituzionale per evitare fenomeni di carattere retroattivo, tenendo conto della realtà delle cose, ha ipotizzato una distinzione: • retroattività propria: sarebbe illegittima costituzionalmente. E’ un fatto pregresso che non ha alcun riferimento con la situazione attuale. Es.:si tassano tutti gli studenti di Economia e Commercio del 1/1/2004. • retroattività impropria: molto diffusa nel diritto tributario (si pensi alla rivalutazione degli immobili): si ha quando il legislatore tributario assume un fatto pregresso, ma con riferimento alla situazione attuale. Es.: si tassano tutti gli studenti alla data odierna, immatricolati nel 2001: vi è un riferimento ad un fatto pregresso, ma i cui 12 effetti sono ancora attuali. In questo tipo di retroattività, il problema relativo al principio dell’attualità è ridimensionato dal fatto che si assume una questione pregressa, ma la si attualizza perché ne perdurano gli effetti. In sintesi la retroattività propria è esclusa, mentre quella impropria è in genere legittimata dalla corte. In realtà la corte ha sanato anche qualche caso di retroattività propria, nel caso dei tributi straordinari, la cui ratio era quella di provvedere alle spese di guerra. Anche gli “acconti” sono un anticipo del prelievo e può qualificarsi come in “contrasto” con la capacità contributiva; la Corte ha comunque legittimato l’acconto ai fini dell’interesse fiscale per tutti. Il 2° comma dell’art. 53 dice che il nostro sistema tributario è ispirato a criteri di progressività. E’ un principio PROGRAMMATICO, non obbligatorio. V olendo fare un paragone con l’Europa, il nostro è personale e progressivo, mentre in Europa è reale e proporzionale (IV A); se in Italia si volessero cambiare secondo il modello europeo, bisognerebbe cambiare la Costituzione, ossia l’art. 53, altrimenti tutti i tributi potrebbero essere dichiarati incostituzionali. Il 1° tributo a scardinare la caratteristica della personalità è stata L’IRAP. A questo punto è utile fare la distinzione tra: ➢ Tributi personali: sono strettamente ancorati alle caratteristiche del soggetto. Sono rappresentate dalle imposte sui redditi perché ancorate alla capacità reddituale del singolo. ➢ Tributi reali: prescindono dalle caratteristiche dell’individuo e pongono la loro attenzione sul bene o sul negozio oggetto d'imposizione. Le più rappresentative di questa categoria sono le imposte patrimoniali Il tributo è progressivo quando l’aliquota cresce all’aumentare della base imponibile, in misura più che proporzionale. I tributi progressivi hanno un sistema di aliquote: quante più sono le aliquote, tanto più progressivo è il tributo e corrispondono aliquote basse a redditi bassi e aliquote alte a redditi alti. Mentre, il tributo è proporzionale quando il prelievo avviene in misura fissa in ragione agli averi di ognuno; l’imposta aumenta in misura proporzionale rispetto all’aumento dell’imponibile; così l’IV A è al 20% in misura fissa. 13 Esistono 3 tipi di progressività: • Continua: meramente teorica per cui all’aumentare di 1€ di imponibile si può determinare la sua aliquota di riferimento. Questo tipo di progressività non esiste nella realtà. • Per scaglioni: es.: si pensi alla progressività dell’IRPEF Scaglioni aliquote Es.: 5 0 5 3% reddito 20: 10 6 15 7% 20 16 40 20% il reddito si ripartisce per scaglioni: così i primi 5 vengono tassati al 3%, i secondi 10 al 7%, i restanti al 20%. • Per classi: non esistono più nel nostro ordinamento. Scaglioni aliquote Es.: 0 5 3% reddito 20: 6 15 7% 16 40 20% 20 Chi percepisce un reddito di 20, sarà tassato con l’aliquota della classe d’appartenenza del proprio reddito (cioè al 20%). Essa è più pesante di quella a scaglioni; ad es.: a chi guadagna 16 in questo caso gli conveniva guadagnare 15, perché sarebbe stato tassato di meno. I tributi che in Italia danno maggior gettito sono l’IV A e le accise, entrambi reali e proporzionali. L’ex IRPEG, oggi IRES, il registro, il bollo sono proporzionali. L’IRPEF è in teoria progressiva, ma in realtà lo è solo sulle aliquote lorde; non lo è per le aliquote nette. NB. 2 sono i problemi relativi alla capacità contributiva: 1) Questione Irap. Esiste la situazione in cui il contribuente che chiude il bilancio in negativo deve comunque corrispondere il tributo. Diverse volte è intervenuta la Corte, ma se dichiarasse incostituzionale l’Irap il bilancio statale andrebbe in fallimento. 2) Riguarda la riforma del 2001 sulle autonomie locali (governo Berlusconi). Nei sistemi federali esiste una Camera delle regioni dove c’è il confronto tra Stato e Regioni sulla somma dei tributi per vedere se vi è la violazione della capacità contributiva. C’è quindi il problema di capire in quale sede devono essere individuate le sinergie tra centro e periferia, data la presenza di diversi legislatori ????????? 14 Tassazione proventi illeciti In passato tali proventi non erano tassati perché non si concepiva la creazione di reddito da un’attività illecita, quasi a non voler dare la dignità di reddito. Da un certo punto in poi sono stati tassati, con la salvaguardia dalla tassazione di quelli precedenti a tale inizio. 2 sono le considerazioni che possono essere fatte: su un bene sequestrato viene tolta la capacità contributiva; una certa corrente è attenta a distinguere le sanzioni antitrust dalla benzina dei gommoni per trasporti dei clandestini. Possiamo dire che se il provento è tassabile, di conseguenza il costo è deducibile, con un’attenta distinzione tra i costi come le sanzioni dell’antitrust e la benzina del trasporto clandestino. ??????????