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Teorie e modelli dei processi formativi:
L'insegnamento mira a fornire allo studente conoscenze riguardanti il capitale umano.
In particolare vengono spiegati i concetti di educazione, formazione ed istruzione con le loro specificità e le loro differenze, vengono elencati i 4 trend dell'educazione con tutti i fenomeni sociali ed economici connessi.
Si passa poi ad analizzare l'economia della conoscenza e l'economia dell'istruzione. Vengono presentate anche le teorie economiche principali e viene spiegato il concetto di capitale fisico e umano, viene approfondita la scuola di Chicago con i suoi fondamenti economici, i suoi autori principali (Becker, Mincer, Shultz) e il suo collegamento con la crescita economica.
Infine si affronta l'argomento del rendimento dell'istruzione sia individuale sia sociale, la qualità della scuola e l'importanza dei character skills. L'ultima parte è dedicata al lavoro e alla costituzione italiana.
Anno accademico: 2019/2020
Dettagli appunto:
- Autore: Emma Lampa
- Università: Università degli Studi di Macerata
- Facoltà: Scienze Politiche
- Corso: Scienze della Comunicazione
- Esame: Teorie e modelli dei processi formativi
- Docente: Andrea Cegolon
Indice dei contenuti:
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Teorie e modelli dei processi formativi Appunti di Emma Lampa Università: Università degli Studi di Macerata Facoltà: Scienze politiche, della comunicazioni e delle relazioni internazionali Corso: Scienze della comunicazione Esame: Teorie e modelli dei processi formativi Docente: Prof. Andrea Cegolon A.A. 2019/2020TEORIE E MODELLI DEI PROCESSI FORMATIVI Prof. Andrea Cegolon L’EDUCAZIONE è un concetto complesso per: a. La stratificazione semantica= “educazione” è un concetto che si carica di significati diversi in rapporto a diversi momenti storici e culturali: -l’educazione antica valorizza la figura dell’eroe -l’educazione medievale è ispirata alle virtù e ai valori cristiani -l’educazione moderna esalta il valore della libertà umana come un diritto (Rousseau) b. La densità semantica= “educazione” è un concetto denso di significati impliciti poiché presuppone una concezione antropologica (ovvero l’idea di un uomo educabile quindi dinamico e disponibile al cambiamento volontario), non coincide mai con un’azione costrittiva e non è un addestramento (se fosse un’azione coercitiva trasformerebbe il soggetto da attivo a passivo che riceve solo condizionamenti esterni) e necessita di conoscenze psicologiche e sociologiche. c. L’ambiguità= “educazione” non deve essere confusa con “istruzione” (questo equivoco è causato dall’importanza crescente attribuita al fattore culturale), le famiglie si preoccupano dell’istruzione dei loro figli pensando di occuparsi anche della loro educazione ma in realtà l’educazione richiede un impegno che va al di là di un’istruzione concepita come semplice acquisizione di conoscenze. Si ha educazione quando le conoscenze trasmesse a scuola non restano esterne al soggetto come semplici nozioni da ricordare, ma vengono apprese a scuola e poi fatte proprie dal soggetto che si confronta con le nuove conoscenze a partire da quelle che già possiede. Solo in questa direzione si ha l’effettivo apprendimento perché si verifica una crescita, una maturazione e una realizzazione della persona sul piano intellettuale/affettivo/ relazionale/sociale. d. L’astrattezza= “educazione” non è un concetto empirico perché non si riferisce ad un oggetto materiale. L’educazione è un’idea astratta che si forma sulla base di altri concetti, è una rappresentazione che risente anche di componenti soggettive. e. L’estensione= “educazione” assume diverse connotazioni e significati diversi in funzione dell’età cui è rivolta, infatti la ricerca educativa si è specializzata e si è definita un’educazione del ciclo di vita articolata nelle diverse età umane: educazione dell’infanzia, della pre-adolescenza, dell’adolescenza, dell’età adulta, della terza età, ecc. Questa estensione dell’educazione a tutta la vita ha comportato la valorizzazione dell’apprendimento formale (scuola) ma anche di quello non-formale (extrascolastico) e informale (esperienza quotidiana). Ci sono 2 direzioni di intendere l’educazione: dall’interno verso l’esterno e dall’esterno verso l’interno. Anche dal punto di vista etimologico ci sono 2 direzioni di senso: • Educazione come educare= il termine educare deriva da “educo” che significa far crescere/allevare/nutrire, la direzione è dall’esterno all’interno. L’educazione in questo caso dipende dall’azione dell’educatore e dall’esposizione all’ambiente. Il soggetto viene preso in carico da parte di qualcuno per essere ‘allevato’ al meglio possibile in vista di compiti che è chiamato a svolgere da parte della società in cui vive. Questo modo di intendere l’educazione richiama l’abilità tecnica del contadino di far crescere le piante o l’abilità dell’allevatore di far crescere gli animali. Questo modo di intendere l’educazione si realizza attraverso forme di apprendimento spontanee o primarie come l’imitazione (far finta di, mettersi da un punto di vista altrui, immergersi in un’altra realtà) e l’abitudine (l’acquisizione attraverso la ripetizione di azioni, con l’esercizio continuo). Il significato di educazione come educare sottolinea le azioni esteriori ma non è corretto considerare l’educando come un essere passivo perché l’imitazione umana è sempre espressione di attività e soggettività. Il rischio di questa lettura è quello di legittimare un’interpretazione antropologica riduttiva dell’educando e considerare quindi l’educando incapace di autonomia e autodeterminazione e oggetto degli interventi di altri o strumento per fini di altri. Bisogna evitare anche l’eccesso di purismo, la maggior parte delle personalità individuali appare il risultato di interventi degli educatori, dell’ambiente piuttosto che del proprio impegno, della propria libertà o razionalità. • Educazione come educere= educare deriva da “educo” che significa tirar fuori/condurre/guidare. Per spiegare questo concetto ci vengono in aiuto 3 metafore: la metafora che richiama l’arte maieutica socratica (=attraverso il dialogo si portano alla luce le idee dello studente) di tipo ostetrico (come l’ostetrica fa nascere/uscire il bambino dal grembo materno la maieutica porta fuori le idee e così l’educazione porta fuori qualcosa dall’interno all’esterno), la metafora in ambito terapeutico che allude al concetto di thérapon (=scudiero/servo che accompagnava il su padrone dalla nascita nel corso della vita e che lo incoraggiava ad affrontare le imprese della vita) e la metafora tratta dal mondo agricolo (non con l’interventismo, come accadeva nell’educazione come educare, ma con il senso contemplativo perché il contadino si compiace della pianta che segue il suo corso di crescita e cresce da sé). In base a queste metafore l’educazione è un accompagnare per mano qualcuno che cresce di per sé e si sottolinea l’importanza dell’autonomia dell’individuo ad autodeterminarsi con l’esigenza innata di portare fuori ciò che già si ha dentro dalla nascita. Non bisogna intervenire ma preservare senza contaminazione. Questi 2 modi ancora validi risentono oggi dei cambiamenti della società quindi appaiono superati e sono poco efficaci per rappresentare l’educazione nella società contemporanea perché essa non è più un impegno a termine ma si prolunga lungo tutto l’arco della vita, per questo si parla di lifelong education. Nella nostra società dell’apprendimento cambia il modo di rappresentare la realtà e le immagini cui attingere per raffigurare la quotidianità. Per cui è più efficace definire l’educazione come un processo di accumulo e di investimento tipico delle società capitalistiche. L’educazione è un termine polisemico (=dotato di più significati) in base all’età cui si rivolge (infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia), alle fasi temporali (pre-scolare, scolare, post-scolare, para-scolare, extra-scolare), agli ambiti (familiare, sanitario, scolastico, professionale, …) e alle forme (educazione fisica, musicale, ambientale, morale, civica, ..). L’educazione può essere distinta in: ➢ Educazione formale= è intenzionale, progettuale, finalizzata all’acquisizione di qualifiche o di diplomi riconosciuti formalmente, istituzionale poiché opera all’interno di istituzioni formalmente riconosciute con compiti e obbiettivi definiti (scuola, università). ➢ Educazione non formale= è intenzionale, progettuale, finalizzata all’acquisizione di conoscenze e abilità non formalizzate, istituzionale extrascolastica perché opera all’interno di istituzioni con obbiettivi educativi specifici (associazionismo, organizzazioni sportive, ..). ➢ Educazione informale= è non intenzionale, non progettuale, l’acquisizione non è specificabile, avviene casualmente nell’esperienza quotidiana nell’ambiente di vita. Queste distinzioni nella realtà possono presentare sfumature e sovrapposizioni e secondo Mialaret (pedagogista francese) ci sono 4 principali significati-costanti dell’educazione valide in ogni tempo/luogo/cultura: 1. Educazione come istituzione= è la dimensione più visibile, è il risultato dell’impegno che ogni società assume nei confronti dell’educazione delle giovani generazioni, questo impegno si concretizza in istituzioni interessate alla formazione secondo lo spirito e le leggi di un paese (in Italia questo impegno si registra nel 1860 con l’unificazione del Regno d’Italia con l’istituzione del sistema scolastico nazionale pubblico e l’affermazione dell’obbligo scolastico). 2. Educazione come azione= richiama al rapporto educativo intergenerazionale, per Durkheim è l’azione di inculturazione esercitata dalla generazione adulta su coloro che non sono ancora pronti per la vita sociale. Il suo fine è indurre nel bambino una certa quantità di prestazioni fisiche, intellettuali e morali che gli sono richieste sia dall'intera società che dall’ambiente in cui è proiettato. 3. Educazione come contenuto= riguarda il curricolo, cioè la cultura selezionata a fini educativi. Questa prospettiva offre una forma di educazione che si realizza attraverso la cultura e vede ogni società impegnata a definire e ridefinire i propri contenuti culturali. 4. Educazione come risultato= riguarda l’esito dell'educazione, cioè la previsione di ciò che una persona deve sapere e saper essere alla fine di un percorso educativo. Il fine dell’educazione è differente secondo i punti di vista: - Secondo la tesi empiristica (o culturalista) che non riconosce la natura umana, il bambino viene educato per la società, in funzione dei valori. L’educazione in questo caso è il processo attraverso il quale la società trasmette ai propri nuovi membri il patrimonio culturale che essa ha, la trasmissione di questo patrimonio consente a ciascun individuo di diventare a pieno titolo membro della società umana a cui appartiene. La tesi empiristica sostiene che adattando il bambino e integrandolo nella società si opera per il suo bene. - La tesi naturalista sostiene che il bambino deve essere educato per se stesso, per permettergli di manifestarsi secondo la propria natura. Critica la tesi empiristica perché si basa su norme scientifiche e finisce per sfociare nel conformismo totale e in alcuni casi l’integrazione sociale può essere discutibile. Siccome la società non è semplice/statica l’educazione deve preparare il bambino alla sua complessità e natura dinamica. I naturalisti vogliono fare dell’individuo un mezzo della società ma così facendo si dimenticano la dignità dell’individuo che diventa solo uno strumento. Non si educa il bambino perché resti tale ma neanche per farne soltanto un lavoratore e un cittadino, lo si educa per farne un uomo, cioè un essere capace di comunicare con le opere e le persone umane. Quindi il fine dell’educazione è quello di permettere a ognuno di completare la propria natura in una cultura che sia umana, dato che l’accesso alla cultura è ciò che distingue l’uomo dall’animale. Rousseau era un illuminista francese della metà del 1700, è considerato il primo autore di riferimento per la pedagogia moderna. Rousseau sosteneva che l’uomo deve essere educato secondo la propria natura ma non solo in funzione di essa poiché ci sono anche la società e la cultura in cui cresce come fattori da prendere in considerazione. Prima di Rousseau l’educazione serviva per l’adeguamento dell’individuo alla cultura già precostituita, ma con Rousseau l’uomo non deve più adeguarsi ai valori della società e l’educazione deve rispettare la natura umana. Dal testo di Rousseau possiamo capire che ci sono 3 maestri: la natura (fa riferimento al bagaglio che ciascuno di noi ha dalla nascita), l’uomo (fa riferimento ai valori/ costumi/usi della società i cui vive l’uomo) e le cose (fa riferimento a esperienze/fatti che contraddistinguono l’esperienza umana). Rousseau tende a privilegiare la natura come maestro perché è indipendente e non può essere cambiata a differenza dell’uomo e delle cose che possono cambiare /essere cambiati, quindi i valori e le esperienze devono essere scelti in funzione della natura. Montessori era un medico donna del 1900 che si è occupata dell’educazione, si rifà al pensiero di Rousseau secondo cui l’educazione deve privilegiare la natura umana. In questo periodo si afferma il movimento dell’educazione nuova che si rifà all’attivismo (=corrente filosofica e psicologica che vuole che l’educazione segni l’esperienza diretta). Secondo Montessori l’educazione ha bisogno di una base scientifica (=psicopedagogica) con idee chiare/precise e con metodi di osservazione diretta dei comportamenti. Secondo lei lasciar fare ai bambini/studenti quello che vogliono non è sufficiente, l’attivismo non significa infatti eliminare totalmente la figura dell’educatore/insegnante, per cui si deve ricostruire il processo di educazione dal bambino con rigore scientifico. Ferrière rientra nell’attivismo nella prima parte del 1900 (come Montessori), rifiuta anche lui l’eliminazione dell’educatore. Nel testo Ferrière propone una metafora che identifica 3 tipi di educazione tramite i tipi di giardinieri: c’è il parco francese che corrisponde all’insegnamento severo, è interventista e il giardino perde tratti della natura, fa riferimento all’educazione repressiva, c’è poi il parco vergine che corrisponde al lasciar fare liberamente al bambino ma non è detto che così cresca in modo positivo, c’è infine il parco meraviglioso che cerca il compromesso tra le due visioni precedenti, corrisponde al metodo Montessori con la libertà parziale del bambino ma con valori-guida per inserirlo nella società. Tutti e 3 sottolineano e valorizzano la natura dell’individuo ma con dei limiti, la differenza tra i 3 è storica e d’indagine, infatti Rousseau ha una visione influenzata dalla filosofica e politica, Montessori e Ferrière scelgono una base scientifica per applicare e studiare il principio di valorizzare la natura dell’individuo ma con degli insegnamenti precisi per inserire il bambino nella società. L’educazione risulta essere un metodo volto a promuovere nell’individuo ciò che è già presente ma nel fare questo si deve attingere a basi scientifiche precise come la pedagogia (per capire l’individualità) e la sociologia (per capire il contesto da cui deriva l’individuo). Testo di Pierre Richè- “dall’educazione antica all’educazione cavalleresca”: secondo questo testo l’educazione è empiristica, l’individuo deve cioè assecondare i principi stabiliti dalla società, c’è conformismo senza valorizzare le specificità dell’individuo, l’educazione è quasi coercitiva che frusta ciò che ciascuno di noi ha. L’educazione antica è legata alla convinzione della religione quindi l’educazione è impartita. Testo di Albert kriekemans-“Trattato di pedagogia generale”: secondo questo testo è necessario valorizzare i bisogni individuali di ciascuna persona, l’educazione non è solo nutrimento/allevamento/cure ma è anche dare attenzioni/carezze/tenerezza. Le specificità degli individui sono diverse in base alle fasi educative e soprattutto nelle prime fasi c’è bisogno di affetto e non solo di cure fisiche per la sopravvivenza dell’individuo. La carenza affettiva si ripercuote nella vita e per questo il ruolo della mamma nei primi anni è fondamentale perché poi da quell’attaccamento ne deriva un modo di essere. La FORMAZIONE per molto tempo è stata concepita come equivalente di educazione ma in realtà la formazione si focalizza su questioni specifiche (la formazione e aggiornamento delle competenze nel lavoro, la valorizzazione delle risorse umane nelle aziende, …), la formazione conserva però un tratto comune con l’educazione, ovvero quello di portare al compimento la ricchezza di ciascun. La formazione utilizza metodologie specifiche che rispettano le attitudini e gli interessi dell’apprendimento in età adulta (formazione professionale). Il termine formare deriva dal latino “formatio” che significa figura/specie/faccia (radice semantica) e i senso traslato designa l’immagine integrale di un essere completo/perfetto/modello di imitazione, più in generale richiama il fare nel senso di fabbricare/modellare/plasmare/costruire qualcosa. Ci sono 4 significati della formazione: 1. Formazione come l’azione con la quale una cosa si forma (es. la formazione del bambino nel grembo materno) 2. Formazione come l’azione di formare/dar vita ad una realtà sociale (es. la formazione di una squadra calcistica) 3. Formazione come il modo in cui una cosa è formata (es. la formazione della specie) 4. Formazione come il risultato dell’azione con il quale una cosa si forma (es. formazione geologica) Ci sono 2 direzioni si senso (la formazione è un diverbiale), ovvero esistono 2 modi di intendere la formazione (come per l’educazione) che indica: • L’azione esteriore con cui si forma qualcosa (formazione come variante dell’educare), è la formazione come “essere formato per”, l’individuo si modella in base a stimoli esterni in ambienti organizzati come quelli lavorativi. La formazione in questo caso prepara all’attività lavorativa e viene intesa come processo di preparazione che si caratterizza per la sua strumentalità (formare corrisponde ad acquisire «il capitale umano» necessario per svolgere una determinata funzione all’interno dell’organizzazione di cui si è parte) e significatività (formare corrisponde ad acquisire una posizione all’interno dell’organizzazione che le dà non solo una funzione ma anche un valore). • Il processo attraverso il quale qualcosa si forma autonomamente per energie e risorse interne (formazione come variante dell’educere), è la formazione come “processo di formarsi” e rimanda alla natura originaria dell’essere umano, indica l’azione attraverso la quale l’individuo si forma autonomamente, in virtù delle proprie capacità e risorse innate (la realizzazione personale nel lavoro). In questa fase la formazione è attività attraverso la quale l’uomo porta a compimento le proprie potenzialità per arrivare alla formazione di senso. Ci sono 3 paradigmi per cercare di interpretare/analizzare il rapporto tra educazione e formazione: 1) Identificazione= (formazione alias educazione), basato sull’intercambiabilità di formazione e educazione, le due realtà sono la stessa cosa, richiamo alla matrice classica con il concetto di Paideia che, nel suo significato letterario originale, significa educazione come tecnica con cui il fanciullo è preparato alla vita, questo termine si è arricchito fino ad esprimere l’ideale di formazione umana non più come preparazione alla cultura ma come azione trasformativa dell’individuo perché lo forma nella sua personalità e nel suo carattere. I latini tradussero il concetto di Paideia in Humanitas e affermavano che chi riusciva a raggiugere l’Humanitas raggiungeva uno stato di immortalità/beatitudine. Sia la Paideia che l’Humanitas non esprimono la cultura in senso quantitativo e oggettiva ma la esprimono nella sua accezione più elevata, qualitativa e personale. I tedeschi, invece, tradussero il concetto di Paideia più tardi in Bildung, ovvero un processo continuo del prender forma nel quale l’esperienza del soggetto è fondamentale. L’autore più importante del Bildung è Goethe secondo cui ciascun individuo deve fare un percorso naturale come se fosse un viaggio spirituale. Questo paradigma dell’identificazione porta a fondere l’educazione con la formazione perché allude alle trasformazioni legate allo sviluppo fisico/biologico e alla progressiva conquista della forma del neonato che via via definisce la propria fisionomia. L’educazione è formazione, anche perché i cambiamenti nel soggetto si spiegano con l’acquisizione di una forma spirituale/di una propria identità/di un proprio carattere e la cultura è il mezzo che consente questa autoformazione (infatti la cultura dei classici permetteva di innalzarsi). 2) Contrapposizione= (formazione versus educazione), in cui le due attività si separano fino a scontrarsi. Qui la formazione diviene una realtà integrante del mondo del lavoro, non ci sono aspetti interiori (come la crescita e la realizzazione) ma aspetti esteriori (quelli che vengono richiesti dal mondo del lavoro). Da questo momento la formazione si focalizza sul cambiamento richiesto al soggetto dal lavoro. Questo paradigma richiama il lavoro nel suo significato originario di attività artigianale: la parola artigiano evoca, secondo Sennet, l’immagine di un falegname, nella sua bottega, circondato da giovani apprendisti, intento ad incidere con precisione le forme per un intarsio, si apprendeva l’arte di lavorare tramite l’esperienza manuale/applicativa. Formare implica quindi un lavoro analogo a quello artigiano, ovvero cercare di promuovere dall’esterno un cambiamento nel soggetto, non a caso ma secondo un’idea che l’uomo ha formato con conoscenze/abilità. Il paradigma della contrapposizione si afferma a partire dagli anni Cinquanta (anni d’oro) con l’espansione del capitalismo fino agli anni Settanta, in cui le attività produttive crescono. In questo periodo s affermò il Taylorismo (teoria della catena di montaggio) e il Fordismo (applicazione della catena di montaggio nelle fabbriche). Con la crescita economica serviva più manodopera ma non iper qualificata, infatti le conoscenze richieste all’operaio nella fabbrica erano specifiche ma ridotte poiché doveva solo svolgere un lavoro meccanico e seguire il ritmo della catena di montaggio. La formazione si spersonalizza perché non valorizza più il potenziale intellettivo di ogni individuo. Per questo la formazione non fa più riferimento all’educazione e non è più concepita come la Paideia classica. La povertà della formazione professionale di tipo taylorista-fordista può contribuire a spiegare il pregiudizio presente nella nostra società nei confronti del valore educativo del lavoro (si definisce di serie A chi frequenta il liceo, di serie B chi frequenta il tecnico e di serie C chi frequenta il professionale) e si sminuisce il lavoro manuale a favore della cultura/intelletto. 3) Conciliazione= (formazione et educazione), in cui si registra la convergenza di formazione e educazione. Negli anni Settanta si verifica una crisi economica partita dall’aumento del prezzo del petrolio (1973) e in questa fase il modello fordista entra in crisi poiché non è più in grado di assecondare i bisogni di un mercato del lavoro più complesso (aumenta il tenore di vita e il benessere per cui i gusti dei consumatori sono cambiati e non sono più standardizzati ma personalizzati e il sistema taylorista/fordista basato sulla quantità entra in crisi, non ci si concentra solo sui prodotti primari ma anche quelli secondari). Anche il lavoro quindi cambia e l’innalzamento del livello tecnico del lavoro necessita un innalzamento dei livelli di istruzione. La risposta della scuola, nel nostro Paese, alle esigenze del mondo del lavoro fu di tipo educativo tradizionale con una scarsa valorizzazione della formazione professionale, la scuola avrebbe dovuto innalzare gli apprendimenti e rinnovare i contenuti della formazione tecnica e professionale, invece ci si limita ad ampliare il numero degli istituti specializzati e a liberalizzare gli accessi universitari anche agli studenti degli istituti tecnici. La risposta della scuola è quindi insoddisfacente. Il passaggio dall’economia industriale di tipo fordista-taylorista, a quella post- industriale di tipo cognitivo porta con sé un cambiamento nel lavoro e nella formazione, il focus non è più l’organizzazione aziendale, ma il soggetto che lavora. La formazione nella misura in cui promuove le competenze personali va intesa come strumento che può garantire il progredire della conoscenza e dello sviluppo economico. Il lavoratore non è più addestrato in forma rigida e ripetitiva ma si riappropria del patrimonio di conoscenza professionale. La fine del lavoro di tipo fordista produce la fine della separazione tra educazione e formazione e si afferma la formazione educativa (dove il sistema educativo è dato dall’insieme di formazione e istruzione) che valorizza le nuove metodologie didattiche basate sull’alternanza scuola- lavoro/stage/apprendistato formativo. L’aspetto importante del paradigma della convergenza è il ridimensionamento della scuola a favore dell’azienda, si riconosce che la formazione deve avvenire soprattutto attraverso il lavoro e al lavoro viene riconosciuta la sua valenza educativa al servizio della realizzazione della persona. In Italia con la legge 53/2003 (riforma Moratti) vengono introdotte nuove e importanti modifiche al sistema formativo per ridare alla formazione professionale/tecnica maggiore dignità/rispetto con il tentativo di valorizzare il lavoro. Il sistema formativo viene unificato a quello di istruzione con il diritto- dovere all'istruzione e alla formazione fino al 18esimo anno di età con il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale ottenuta nell'ambito della formazione professionale o nell'apprendistato. Il sistema dei licei costituiva il primo canale, il sistema della formazione viene definito secondo canale e l’apprendistato era il terzo canale. Era possibile svolgere l'intera formazione che va dai 15 ai 18 anni attraverso l'alternanza di periodi di studio e di lavoro, mediante corsi integrati, attraverso apposite iniziative didattiche definite "passerelle" e con un sistema di certificazione dei crediti formativi che rendeva possibile passare dal Primo al Secondo Canale e viceversa, inoltre le esperienze pratiche e gli stage erano riconosciuti con specifiche certificazioni di competenza. Di fatto però la legge 53/2003 non è mai stata applicata, il tentativo operato dalla legge Moratti di superare il paradigma gerarchico della separazione tra cultura liceale e cultura professionale è fallito e la causa è il pregiudizio diffuso nella nostra società secondo cui la cultura teorica /liceale è superiore a quella pratica del lavoro. Nella nostra società postindustriale risulta fondamentale per la persona la forza di autodirezione esistenziale, non è più sufficiente avere un lavoro (realtà estranea) ma si cerca nel lavoro un’attività adeguata alle proprie attese professionali e congruente con quello che si è, il lavoro è infatti un’attività adatta a manifestare la singolarità della persona, di per sé il lavoro non suscita particolare appagamento, ciò che conta è il modo con cui lo si esercita (Frankl). L’essere soddisfatti del proprio lavoro dipende dal lavoratore e non dal tipo di lavoro, il lavoro offre continue possibilità tramite le quali realizzare la propria soggettività singolare, l’importante è cercare di andare oltre la sfera delle regole professionali per far proprio il lavoro, è la personalizzazione del lavoro che offre la possibilità di dare un significato alla propria vita. Nel passaggio dalla società industriale a quella postindustriale è cambiato il modo di lavorare, le conoscenze/abilità apprese nei percorsi di istruzione e formazione non bastano più a svolgere un lavoro in modo adeguato e competente, il lavoratore, per stare al passo, è tenuto continuamente a rivedere e ristrutturare la conoscenze/ abilità apprese in precedenza e apprenderne di nuove (lifelong learner= si impara tutta la vita). Per il lavoratore è sempre più urgente il bisogno di autodirigersi/ automotivarsi/alimentarsi di creatività, il lavoratore è diventato imprenditore di se stesso, dotato di un capitale (umano) che va continuamente rigenerato e qualificato (learner attivo), deve avere un approccio pro-attivo. La formazione continua è il punto d’arrivo di percorsi/esperienze nell’ambito dell’educazione degli adulti, la premessa è la distinzione proposta da Knowles tra pedagogia (l’educazione nelle fasi iniziali, dal greco pais-paidos=bambino ago = condurre) e andragogia (la formazione in età adulta, dal suffisso andr della parola greca anér = uomo e ago = condurre). Il collegamento tra le due azioni (pedagogica e andragogica) si trova all’interno di una concezione dell’educazione considerata permanente, ovvero l’impegno che dura tutta la vita del soggetto. La formazione attiva comprende tutte le attività a carattere formativo che prevedono corsi finalizzati all’apprendimento di conoscenze e di competenze in un periodo successivo alla formazione iniziale, si tratta di attività formative rivolte ai soggetti adulti, occupati o disoccupati, al fine di adeguarne o di svilupparne conoscenze e competenze professionali, in stretta connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo e in relazione ai mutamenti del mondo del lavoro. L’educazione degli adulti si prospetta in forma diverse: come recupero dell’educazione iniziale, come valorizzazione dell’educazione informale e non formale accanto a quella formale, come contestazione del principio secondo cui un individuo apprende solo nella fase iniziale, come approdo al concetto di educazione permanente dove è esplicito il collegamento con la formazione continua. Testo di Quaglino- “fare formazione”: secondo questo testo la formazione è un’attività educativa integrale e non addestrativa. Testo di Knowles- “apprendimento autodiretto”: secondo questo testo tra pedagogia e andragogia la differenza è l’attitudine che il discendente usa, può essere pro-attivo (andragologico) o reattivo (pedagogico, per cui ha bisogno di qualcuno che lo conduce). Testo di Martinoli- “la formazione sul lavoro”: secondo questo testo la scuola non produce prodotti finiti ma semilavorati e poi è compito del lavoro aggiungere competenze/abilità specifiche per quel determinato compito, c’è quindi bisogno della teoria e della pratica che si affiancano grazie a tirocini/stage/attività pratiche per mettere in atto la teoria. Grazie alle competenze trasversali (che vengono date dalla scuola) è possibile affrontare situazioni diverse. L’ISTRUZIONE nasce con le scuole e implica un’azione di trasmissione, che avviene in un luogo organizzato (la scuola), potendo contare sullo strumento principale (la cultura) trasmissibile grazie a una strategia di conservazione delle conoscenze, consentita dalla scrittura del testo. La lezione che è l’attività principale dell’insegnante deriva dal latino “lectiolectionis” che significa lettura, infatti inizialmente l’insegnante entrava in classe e leggeva i testi poi si passava ad una lettura commentata e questo era il modo di insegnare, un metodo antico ma ancora valido/efficace poiché anche oggi si usa il libro. L’azione trasmissiva svolta all’interno della scuola e rivolta ai giovani si avvale di personale specializzato, ovvero gli insegnanti. Il termine insegnante deriva dal latino “insigno” che significa mostrare/ indicare, è l’azione di chi si propone di far apprendere un’altra persona. Secondo Olivier Reboul, la parola insegnamento implica tre realtà solidali: un’attività (la lezione), un risultato (l’insegnamento ricevuto), un’istituzione (l’istruzione pubblica o privata). Il termine “istruzione” ha due radici etimologiche: - Erudire che significa togliere protuberanze (cercare di togliere le conoscenze sbagliate) - Instruere che significa preparare a qualcosa Entrambi i termini presuppongono interventi esterni sul soggetto. C’è un rapporto tra istruzione e insegnamento, infatti secondo William l’istruzione si produce dall’azione di insegnare cui corrisponde la volontà di imparare, si può imparare senza insegnanti senza però dire di essere istruiti, si può insegnare senza la preoccupazione che l’altro impari ma in questo caso non si può dire di aver istruito. Nell’istruzione l’insegnamento è potenziato con un fine preciso. William distingue inoltre il luogo dell’insegnamento che è l’università dal luogo dell’istruzione che è la scuola in base al modo di trasmettere le conoscenze. La scuola è il luogo dell’istruzione perché il maestro ha la responsabilità di far acquisire gli insegnamenti agli alunni, la trasmissione della conoscenza in questo caso deve essere seguita con il fine di portare tutti allo stesso livello, chi istruisce fa entrare un contenuto di conoscenza/abilità nella testa dei discenti. L’università è il luogo dell’insegnamento dove si presume che gli studenti siano maturi e che abbiano un metodo di studio idoneo appeso durante il ciclo scolastico e grazie ad esso possono proseguire gli studi, la responsabilità non è del docente ma dell’alunno, chi insegna rende accessibile un contenuto di conoscenza/abilità. Il luogo dell’istruzione è la scuola e l’art. 30 della Costituzione italiana tutela il diritto all’istruzione e affida ai genitori il dovere e il diritto di istruire i figli e per questo prevede anche la scuola paterna, dove i figli non vengono mandati a scuola ma hanno un insegnamento privato a casa (soluzione poco efficace perché costosa/ scarsamente produttiva/priva di forme di socializzazione). La scuola ha il compito di istruire ma anche quello di educare e ha diverse fasi: -dai 3 ai 6 anni la scuola privilegia un insegnamento basato sul gioco e sulla spontaneità per portare un concentrato di conoscenze all’attenzione dei bambini, questo insegnamento consente al bambino di impadronirsi degli schemi fondamentali dell’azione sociale senza sforzo. Questa fase è quella scolasticamente più ricca di apprendimenti e il limite dei 5 anni viene definito da Gardner il crinale. -a partire dalla scuola primaria si attua una biforcazione metodologica, ci insegnamenti sono più formali, l’insegnante parte dalle esperienze dirette degli alunni per arrivare alle conoscenze teoriche dei libri con lo scopo di far acquisire la cultura generale/conoscenza non specifica. -nella scuola secondaria si deve sviluppare il giudizio per saper recepire con critica quello che viene trasmesso, al termine si deve fare una scelta per un indirizzo più specifico -istruzione superiore= università scelta per attitudini/interessi con lo scopo di arrivare ad una cultura specifica con conoscenze inedite ed originali. L’istruzione è un’attività complessa che si articola in: - Processi di acquisizione: l’obiettivo è l’apprendimento della conoscenza, questi processi non hanno il valore del deposito/accumulo di contenuti poiché acquisire conoscenza significa ripercorrere il processo che ha portato alle specifiche conoscenze (ogni conoscenza non è un dato isolato ma è il punto di arrivo di una successione di conoscenze legate tra loro dal processo di ricerca). - Processi di organizzazione: richiamano la pianificazione e la gestione dei contenuti da trattare: la pianificazione riguarda la preparazione della situazione di apprendimento, la gestione riguarda l’indicazione di possibili direttive per l’apprendimento futuro - Processi di valutazione: sono volti a misurare i risultati dell’apprendimento e a esprimere il peso e il valore dei risultati raggiunti in un giudizio. La valutazione non è però un calcolo né coincide con la fase finale del processo di istruzione, infatti fanno parte dei risultati raggiunti la quantità/qualità delle conoscenze raggiunte, la capacità di esporle/applicarle in situazioni diverse e i modi partecipazione con cui vengono raggiunti i risultati. Ci sono 3 aspetti connessi alla valutazione che fanno parte dell’intero processo di istruzione: la definizione dei contenuti (che cosa valutare), la scelta degli strumenti (come valutare), la scelta dei criteri (in base a cosa valutare). L’istruzione non è un’attività spontanea poiché deve promuovere l’apprendimento nello studente e necessita di essere guidata da una teoria dell’istruzione che è prescrittiva perché formula regole che riguardano il modo più efficace per raggiungere una certa conoscenza/abilità ed è anche normativa perché fornisce criteri generali e stabilisce le condizioni per soddisfarli. Una teoria dell’istruzione mira a migliorare l’apprendimento. Secondo Bruner ogni teoria dell’istruzione non può basarsi solo sul modo in cui vengono presentati i contenuti ma deve avere 4 elementi: 1. stabile quali esperienze siamo più adatte a generare nell’individuo una predisposizione ad apprendere (es. viaggio all’estero per favorire l’apprendimento della lingua straniera). 2. strutturare le conoscenze in modo tale che possano essere comprese facilmente dallo studente. Una buona struttura dipende dal modo in cui è rappresentata, dall’efficacia e dalla sua economia (non deve essere dispersiva). 3. specificare la progressione ottimale con cui va presentata la materia (partendo dall’esperienza diretta dell’alunno per arrivare all’insegnamento teorico o viceversa). 4. specificare la natura delle ricompense e delle punizioni nel processo di apprendimento, entrambi sono necessari ma in fasi diverse: nella prima fase di apprendimento l’alunno ha bisogno dello stimolo esterno per auto-motivarsi mentre nelle fasi successive il riconoscimento deve venire da sé. Conoscenza e sapere non sono la stesa cosa: la Conoscenza è la forma oggettiva del sapere (valore generale/universale) mentre il Sapere allude alla dimensione soggettiva, ovvero al modo in cui una conoscenza viene fatta propria dal soggetto in collegamento con le sue capacità/strutture cognitive. Il Sapere ingloba il processo attraverso cui la conoscenza espressa in forma impersonale/oggettiva/scientifica, si converte in un’acquisizione soggettiva. Il passaggio dalla dimensione oggettiva a quella soggettiva comporta una modificazione della conoscenza stessa. Esistono diversi tipi di Conoscenza: - Conoscenza fattuale= si basa sull’osservazione diretta ma è oggetto di molte incertezze a causa dei possibili errori di osservazione/interpretazione poiché i sensi possono essere ingannati dalle illusioni. - Conoscenza inferenziale= si basa sul ragionamento a partire da un fatto acquisito (non dall’esperienza), può essere o meno verificabile tramite l’osservazione o l’esperimento (es. conoscenze scientifiche). - Conoscenza esplicita= può essere trasferita da un individuo ad altri, indirettamente (tramite un supporto fisico) o direttamente (attraverso una conversazione). - Conoscenza tacita= ciò che conosciamo anche se non siamo capaci di esplicitarlo (es. il saper fare, l’intuizione, cioè la capacità di usare in modo inconscio la propria esperienza per risolvere problemi complessi), la maggior parte della conoscenza di un individuo è tacita e non può essere esplicitata totalmente. Esistono diversi tipi di Sapere: - Saperi teorici= riguardano la descrizione, la spiegazione e la comprensione di oggetto/ situazione/fenomeno, sono i “saperi che” (knowing-that) e non i “saperi come” (knowing–how), si manifestano in maniera dichiarativa. - Saperi procedurali= forniscono indicazioni su come fare, fissano regole per agire (es. Metodi di analisi e di risoluzione di un problema, schemi di ricerca di informazioni, regole di azioni, schemi di programmazione) La differenza tra saperi teorici e quelli procedurali può essere esemplificata attraverso la distinzione tra carta (map) e percorso (tour) poiché la carta (map) descrive senza tracciare la strada mentre il percorso (tour) traccia itinerari, indicano la via, per raggiungere una meta. - Saperi esperienziale= si ricavano dall’azione, si conseguono solo agendo (es. ballo in cui c’è l’intelligenza del corpo). La Conoscenza rinvia alla problematica dell’insegnamento mentre il Sapere rinvia a quella dell’apprendimento, quindi insegnamento e apprendimento sono attività che non coincidono e il problema è connesso al legame tra insegnamento ed apprendimento, e cioè di come avviene l’incontro tra due menti (insegnante e studente). La scuola deve rispettare il compito di istruzione ed esige un tipo di insegnamento perfettamente funzionale all’apprendere, le conoscenze vanno trasmesse nella maniera più favorevole all’alunno e per favorire l’apprendimento l’insegnante può modulare il contenuto. L’indicatore della corrispondenza tra insegnamento e apprendimento si coglie nell’attivismo del soggetto (impegno, motivazione, interesse, dialogo). La differenza tra Conoscenza e Sapere richiama la differenza tra sapere scolastico e sapere scientifico. Secondo Damiano, il sapere scolastico può essere considerato quasi un tradimento della scuola nei confronti della scienza in quanto è una banalizzazione/riduzione del sapere scientifico. In realtà non si tratta di tradimento ma della specificità del sapere scolastico rispetto a quello scientifico, per le trasformazioni che il sapere scolastico inevitabilmente subisce quando viene trattato secondo i principi della teoria dell’istruzione (il sapere scolastico si adegua al contesto scolastico con degli alunni e non scienziati). Testo “il sapere e il corpo dell’insegnante”: per favorire la conoscenza dell’alunno è importante la corporeità poiché la conoscenza è legata sì a chi la veicola ma anche nel modo in cui la veicola. Testo di Sandro Onofri: i docenti a disagio nella valutazione ricorrono a strategie, quindi la scuola è un posto di contraddizioni perché l’insegnante deve saper come valutare le conoscenze dell’alunno ma non sempre svolgere al meglio questa funzione, il compito dell’insegnante non è solo quello di trasmettere le conoscenze ma anche quelli di saperle valutare e questa contraddizione non dovrebbe esistere.
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