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INTRODUZIONE
“In direzione ostinata
e contraria…”
Fabrizio De André,
Smisurata Preghiera, 1996
La recente pubblicazione (novembre 2011) del rapporto del Comitato
regionale per le Comunicazioni (Co.re.com.) ci ha restituito il quadro di una
Liguria ai vertici nazionali per la diffusione dei quotidiani sul territorio. La
stessa indagine, piuttosto a sorpresa, dopo aver analizzato soltanto le
evoluzioni del sito internet del Secolo XIX, segnala, tra gli aspetti più positivi
dei media locali: “il dinamismo e la capillarità delle testate tradizionali presenti
sul web dove vince l’originalità e la freschezza dei contenuti informativi”; il valore
aggiunto rappresentato dalle opportunità di interazione e coinvolgimento
degli utenti; il fenomeno del citizen journalism. Ma, in contesto strettamente
genovese, verrebbe da chiedersi da quali esperienze derivi tutto questo
ottimismo.
Se è vero, infatti, che la produzione giornalistica che sfrutta le nuove
tecnologie raggiunge la sufficienza dal punto di vista quantitativo, lo stesso
non può essere detto sotto l’aspetto della qualità. L’informazione locale sul
web poco si discosta da una sostanziale trasposizione sulle maglie della rete
di un prodotto originariamente pensato per i media tradizionali.
A tentare di rivoluzionare questo paradigma, fa capolino, tra la primavera e
l’estate del 2008, il progetto “Città Digitale”, lanciato dal Comune di Genova.
Inizialmente dedicato al rinnovamento tecnologico delle infrastrutture della
comunicazione, si trasformò ben presto in un’opera di radicale cambiamento
delle forme e dei contenuti del dialogo tra Palazzo Tursi e la cittadinanza,
6
puntando dritto verso un’informazione istituzionale che assumesse i caratteri
della professionalità giornalistica. Inizia così quel percorso che dovrebbe
portare al definitivo passaggio da una comunicazione riservata ai pochi
addetti al burocratese, a un sistema di informazioni largamente diffuse, con
l’obiettivo di stimolare una partecipazione attiva e diretta. Solo in questo
modo si potrà costruire quel “consenso attivo”, da non confondersi con
quello elettorale, necessario a un buon governo della cosa pubblica.
Risulta allora, indispensabile, che l’amministrazione diventi assolutamente
trasparente, abbandonando ogni retaggio propagandistico e autoreferenziale,
orientandosi verso una nuova direzione partecipata. Per fare questo, le
vecchie impostazioni degli uffici stampa risultano insufficienti, tanto da
portare gli stessi enti locali a imboccare nuove strade, come l’attivazione di
vere e proprie redazioni giornalistiche che diventino il punto focale dello
scambio tra istituzioni e cittadini, attraverso mezzi e strumenti efficaci e di
nuova generazione.
Il nostro lavoro, facilitato dall’aver preso parte attiva alle vicende di “Città
Digitale” fin dai suoi primi mesi, vuole capire nel profondo quanto questo
obiettivo sia stato fin qui raggiunto e quanta strada, invece, ci sia ancora da
percorrere.
Per cogliere a pieno il valore di questa trasformazione radicale abbiamo
ritenuto necessario partire dalle origini. Nel primo capitolo, si è cercato di
dare conto del complesso processo storico che ha portato alla possibilità e
alla necessità di questa vera e propria rivoluzione. Ma ai suoi esordi, la storia
della comunicazione pubblica era soprattutto necessità di visibilità di atti
pubblici e assolvimento di obblighi legislativi, piuttosto che bisogno di
informare direttamente i cittadini sulla vita che li circondava.
A partire dal secondo capitolo ci si addentra nelle origini della
comunicazione istituzionale genovese, raccontando, con dovizia di
particolari e diverse preziose citazioni, le avventure dei bollettini cartacei, dai
primi fogli statistici del 1874 ai veri e propri giornali dell’epoca moderna.
7
Tuttavia, buona parte della comunicazione istituzionale passava allora
attraverso numerosi convegni, nel tentativo di ridisegnare il futuro
postindustriale della città; le pubblicazioni, infatti, erano poco più che testi
formali, rispondenti a obblighi di legge.
Con l’insediamento del primo sindaco donna nella storia della città di
Genova (2007), la comunicazione dell’ente punta decisamente verso il
rinnovamento. Così, il terzo capitolo è dedicato alla “rivoluzione della rete”,
dalla costruzione del primo sito internet al progetto di Genova “Urban Lab”,
che avrebbe dovuto segnare l’avvento definitivo della nuova ottica
informativa, ma che andò incontro a ben più di qualche imprevisto. Una
storia nella storia, caratterizzata dalla continua ricerca di un punto di
riferimento univoco nel dialogo tra Palazzo Tursi e la cittadinanza.
Gli ultimi due capitoli sono indubbiamente quelli più legati alla realtà dei
nostri giorni. È qui che troviamo il passaggio concreto da una concezione più
tradizionale di comunicazione pubblica, alla vera e propria necessità di
informazione istituzionale di stampo giornalistico. Il quarto capitolo, infatti,
è dedicato alla nascita di “Genova Città Digitale”: il filo rosso della
narrazione ci è fornito da una lunga intervista a Francesco Bollorino,
consulente del Comune di Genova per questo progetto. La scelta espositiva,
in questo caso, va nella direzione di una sorta di trasporto emozionale, che
trasmette al meglio tutte le fatiche incontrate in questi primi anni di attività,
rispetto a un freddo resoconto cronologico. Forse, ne perderà un minimo la
logicità e la scientificità della trattazione, ma crediamo sia la testimonianza
migliore per far cogliere come, senza la componente umana e i sacrifici delle
persone che sono state fin dall'inizio dietro al progetto, “Città Digitale” non
avrebbe mai superato i primi esperimenti.
Più sistematica, invece, l'esposizione dell'ultimo capitolo, a dimostrazione
del fatto che, superata l'impronta un po' caotica e un po' bohémiens dei primi
passi, il cammino si è sviluppato in maniera concreta alla ricerca di una
nuova dimensione professionale. In questi passaggi, assolutamente ancora in
8
corso d'opera, sono state fondamentali le collaborazioni di Massimo Razzi e
Gianfranco Sansalone, giornalisti professionisti di conclamata fama
nazionale, che hanno messo i propri anni di esperienza a servizio dei
collaboratori più giovani. Con il loro arrivo, il Comune di Genova ha potuto
finalmente veder nascere, nel suo seno, una vera e propria redazione
giornalistica che curasse, dapprima, il nuovo giornale dedicato alle iniziative
culturali in città, “Vivere Genova”, e successivamente si dedicasse al lancio
della nuova funzione informativa del portale istituzionale, tenendo sempre
d’occhio le molteplici possibilità offerte dalle innovazioni tecnologiche.
Per concludere, prima del ricco e ragionato percorso bibliografico e di tutte le
fonti raccolte sul web, una corposa appendice che vuole, ancora una volta,
raccontare i momenti chiave del nostro percorso, attraverso le parole degli
stessi protagonisti. Un percorso che ha seguito, lungo tutto il suo sviluppo,
due linee guida portanti. La prima è rappresentata dallo sforzo di non
perdere mai il legame con l’attualità, anche nel racconto delle origini del
processo. La seconda riguarda, invece, una metodica ricerca delle fonti
originali: compito per nulla semplice sia nella parte storica, per l’infinita
mole di archivi da spulciare e la complessa opera di sintesi, sia nella parte
moderna, dal momento che non è stato possibile affidarsi ad altro oltre ai
ricordi e alle testimonianze dirette. E a proposito di queste, è bene precisare
che, nonostante si sia sempre cercato di alternare le parole dei protagonisti a
una personale critica costruttiva delle opinioni espresse, non escludiamo che,
in alcuni casi, l’attuale mancanza di prospettive per un lavoro che ci ha visti
coinvolti fin dalla sua nascita, possa, senza dubbio, aver influenzato qualche
riflessione.
9
1. IL COMUNE “COMUNICA”
1.1. Cenni di storia della comunicazione istituzionale
L’uomo, fin dalle sue origini, ha informato e comunicato. Con le pitture, i
suoni, la voce, il fuoco e via via fino alle più moderne tecnologie. Di pari
passo, più prendeva coscienza di se stesso e di tutto ciò che lo circondava,
più sentiva la necessita di dare notizie del suo esistere agli altri e di ampliare
la sua conoscenza. Prima che questi processi venissero analizzati e studiati, si
comunicava in continuazione con tutti i metodi ritenuti utili al proprio scopo,
nonostante una ridotta consapevolezza di che cosa queste azioni potessero
rappresentare oltre alla risposta a una necessità, a un istinto
1
. Un processo
che, a metà del secolo scorso, il filosofo e psicologo austriaco Paul
Watzlawick sintetizzava nell’assioma “non si può non comunicare”
2
.
Da qui vogliamo iniziare il nostro cammino all’interno di un settore molto
delicato di quella che potremmo definire una delle più basilari azioni
quotidiane: la comunicazione, così immancabile nella nostra storia tanto da
poter essere considerata una discriminante per differenziare la moltitudine di
forme di Stato e di governo che si sono susseguite fino ai giorni nostri.
Qualsiasi sistema di organizzazione del potere, dalla democrazia alla
dittatura, ha, infatti, un suo approccio ben definito nei confronti della
comunicazione. Il suo controllo, a diversi livelli e secondo i valori ideologici
propri del tempo e dell’ispirazione politica, ha determinato per secoli e
continua a determinare tutt’oggi, una delle questioni più delicate alla base
1
A. Rovinetti, Comunicazione pubblica. Sapere e fare, Milano, Gruppo 24 Ore, 2010, pp. 15-16.
2
P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei
modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio, 1971 (ed. orig., Id., Pragmatics
of human communication. A study of interactional patterns, pathologies and paradoxes, New York,
W. W. Norton & Company, 1967).
10
del rapporto tra la classe dirigente e il popolo. Un problema che può essere
affrontato con prospettive radicalmente diverse, a seconda del punto focale
su cui si vuole puntare l’attenzione. Si parlerà così di censura se si
percepiscono sensibili ostacoli che si frappongo alla realizzazione del diritto
di accesso all’informazione da parte dei cittadini; entrerà in gioco, invece, il
concetto di comunicazione pubblica se, come nel nostro caso, l’analisi
riguarda il metodo e gli strumenti che le istituzioni utilizzano per arrivare
alla gente. Quello che è certo è che l’equazione “informazione = potere” ha
consentito, e in molti casi consente tutt’ora, a chi si trovava in posizione di
comando di ottenere il consenso tout court, così come nell’antichità succedeva
ai detentori delle ricchezze o a chi si trovava al vertice della scala gerarchica
sociale e culturale
3
.
Quando l’Italia era ancora ben lontana dal poter essere considerata un Paese
unitario e dal concepire una carta costituzionale che sancisse i diritti
inviolabili dei cittadini, il primo a comprendere l’utilità della stampa come
strumento fondamentale per la propria comunicazione giuridica e
soprattutto come imprescindibile organo di propaganda, fu lo Stato
Pontificio che nel 1626 acquistò una stamperia
4
. Fin da allora, le
comunicazioni istituzionali, sia a fini promozionali dell’attività
amministrativa sia per mero espletamento di obblighi legislativi, si
manifestavano come affissioni in luoghi pubblici particolarmente frequentati
o come pubblicazioni su appositi registri passati alla storia con il nome di
“Gazzette Ufficiali”. A partire dal 1865, inoltre, l’affissione diventa anche lo
strumento utilizzato per la pubblicità normativa dell’ente locale: la Legge per
l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia
5
sancisce, infatti, la nascita
3
A. Rovinetti, Comunicazione pubblica, cit., p. 12.
4
M. Granchi, Storia della comunicazione pubblica in Italia: mutamenti istituzionali e modelli
territoriali di sviluppo, in “Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia”, n.11, Bologna, giugno
2006 (disponibile online all’indirizzo
www.storiaefuturo.com/it/numero_11/articoli/1_comunicazione-pubblica-italia~1005.html).
5
Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato A, Legge sull’amministrazione comunale e provinciale che
estende la legislazione del Regno di Sardegna (legge 23 ottobre 1859, n.3702, cosiddetta “Legge
11
dell’Albo pretorio
6
, allora noto come “albo improprio”, ovvero una bacheca o
una vetrina destinata all’esposizione di tutti gli atti che dovevano essere resi
noti alla cittadinanza
7
.
In questa prima fase, la comunicazione istituzionale era principalmente
prerogativa della Prefettura, rappresentante provinciale del governo centrale,
che favorì il radicamento di un sistema clientelare
8
, ovviamente orientato alla
diffusione dei giornali filo-governativi, utilizzati come canale preferenziale
per la pubblicazione di atti riguardanti quasi esclusivamente materie di
ordine pubblico
9
. A Genova, ad esempio, per rispondere alle norme previste
dalla legge
10
, questo tipo di documenti dal 1876 non trova più spazio sulla
“Gazzetta di Genova”, come per contro avveniva in precedenza: nuovo
punto di riferimento diventa il “Foglio periodico della Regia Prefettura.
Annunzi Legali”, supplemento del “Bollettino della Prefettura di Genova”,
esistente già dal 1866
11
.
Ma non si tratta solo di dover dar conto dell’attuazione di nuovi
provvedimenti. Nel 1893 la “Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia” si
Rattazzi”) a tutto il territorio italiano suddiviso in province, con a capo il prefetto, circondari, con a
capo il sotto-prefetto, e comuni, con a capo il sindaco sia rappresentante della collettività che organo
locale dello stato [Fonte: F. Caringella, A. Giuncato, F. Romano (cur.), L’ordinamento degli enti
locali. Commentario al Testo Unico, Milano, Ipsoa, 2007, p.11]. La stessa legge all’art.10 istituiva
ufficialmente il Consiglio comunale, la Giunta e il segretario: “Ogni comune ha un Consiglio
comunale e una Giunta municipale. Deve inoltre avere un segretario ed un ufficio comunale. Più
Comuni possono prevalersi dell’opera di uno stesso segretario” [Fonte: Comune di Gesturi - Struttura
organizzativa - Segretario Comunale,
www.comune.gesturi.vs.it/Amministrazione/StrutturaOrganizzativa/Segretariocomunale/,
ultima consultazione: 8 giugno 2011].
6
La legge 18/06/2009, n. 69 destituisce di ogni valore legale la pubblicazione in forma cartacea di atti
ad evidenza pubblica a partire dal 01/01/2010 (termine prorogato al 01/01/2010 con D. L. 29/12/2010,
n.225 meglio noto come “Milleproroghe”) obbligando, di conseguenza, le amministrazioni a dotarsi di
un Albo Pretorio online.
7
M. Granchi, Storia della comunicazione pubblica in Italia, cit.
8
Sono gli anni in cui la Destra storica gestisce, attraverso il ministero dell’Interno, un fondo destinato
all’esortazione dei giornali ad operare a fini informativi pubblici. Con l’avvento al potere della
Sinistra a partire dal 1876, il controllo dell’esecutivo sulla stampa viene sostituito dall’autorità
giudiziaria (Ibidem).
9
Cfr. A. Vignudelli (cur.), Comunicazione pubblica, Rimini, Maggioli, 1992, praecipue La
comunicazione pubblica: inquadramento fenomenologico, profili generali, elementi di diritto
costituzionale, pp. 11-87.
10
Legge 30 giugno 1876, n. 3195 - Sulla pubblicazione degli annunzi legali.
11
M. Milan, La stampa periodica a Genova dal 1871 al 1900, Milano, Franco Angeli, 1989, ad
indicem.
12
struttura attraverso una tripartizione ben definita: oltre alla presentazione
delle leggi e degli atti normativi, infatti, trovano spazio argomenti di cronaca
e attualità a fianco alla presenza di notizie scientifiche e letterarie, oltre a
un’ultima sezione destinata agli annunci legali
12
.
Nel 1915 viene sancito l’obbligo di istituzione dell’Albo pretorio, all’interno
del quale dovranno trovare spazio le delibere del Consiglio comunale, oltre
tutta una serie di atti ufficiali di carattere elettorale, economico e
amministrativo, in modo da poter essere visibili a tutti i cittadini che ne
facessero richiesta
13
.
Per tentare di porre un freno alle pratiche clientelari sempre più diffuse, la
tipologia degli atti da portare a conoscenza di tutta la popolazione e le
disposizioni circa l’obbligatorietà della loro pubblicazione si fanno sempre
più dettagliate, con il susseguirsi degli anni e delle leggi
14
. La “Gazzetta
Ufficiale” cambia più volte conformazione, a seconda del prevalere della
funzione legale
15
o divulgativa.
A partire dal 1934:
“Ogni comune deve avere un albo pretorio per le pubblicazioni delle deliberazioni, delle
ordinanze, dei manifesti e degli altri atti che devono essere portati a cognizione del pubblico.
Le deliberazioni del podestà, tranne quelle relative alla mera esecuzione dei provvedimenti
già deliberati ed approvati nelle forme di legge, devono essere pubblicate, almeno per
estratto contenente la parte dispositiva, mediante affissione all'albo pretorio nel primo
giorno festivo o di mercato successivo alla loro data.
I regolamenti comunali, dopo intervenuta la prescritta approvazione, devono essere
pubblicati all'albo pretorio per quindici giorni consecutivi.
Il segretario comunale è responsabile delle pubblicazioni.
Ciascun contribuente nel comune può aver copia integrale delle deliberazioni, previo
pagamento dei relativi diritti stabiliti dalla tariffa annessa al regolamento per la esecuzione
della presente legge.
12
M. Granchi, Storia della comunicazione pubblica in Italia, cit.
13
R. D. 4 febbraio 1915, n. 148 - Approvazione del nuovo Testo Unico della legge comunale e
provinciale, art.128: “Tutte le deliberazioni sono sempre pubblicate per copia all'albo pretorio nel
primo giorno festivo o di mercato, successivo alla loro data. Ciascun contribuente nel comune può
aver copia delle deliberazioni mediante pagamento dei relativi diritti stabiliti dalla tariffa annessa al
regolamento per la esecuzione della presente legge”.
14
Cfr. A. Vignudelli (cur.), Comunicazione pubblica, cit.
15
A partire dal 1931 l’affissione viene inibita dalla funzione di pubblica utilità legale per le norme del
soggetto pubblico centrale ma viene riconosciuto strumento per antonomasia degli Enti locali (M.
Granchi, Storia della comunicazione pubblica in Italia, cit).
13
La raccolta dei regolamenti comunali e delle relative tariffe deve essere tenuta dall'ufficio
comunale a disposizione del pubblico, perché possa prenderne cognizione”
16
.
Il processo di libero accesso agli atti ufficiali emanati dall’amministrazione si
completerà ufficialmente solo il 27 dicembre 1985 con la legge n. 816 che
all’art. 25 sancisce:
“Tutti i cittadini hanno diritto di prendere visione di tutti i provvedimenti adottati dai
comuni, dalle province, dai consigli circoscrizionali, dalle aziende speciali di enti
territoriali, dalle unità sanitarie locali, dalle comunità montane. Le amministrazioni
disciplinano con proprio regolamento l'esercizio di tale diritto”
17
.
Si passa, dunque, da “ciascun contribuente” a “tutti i contribuenti”, anche se
nella realtà delle cose la fruizione di questi documenti non sarà operazione
facile e immediata a causa delle difficoltà insite nella macchinosa burocrazia
amministrativa che da sempre contraddistingue il nostro Paese
18
.
Nel frattempo, però, gli avvenimenti nazionali e mondiali trascorsi avrebbero
segnato per sempre la storia italiana. Superata la buia parentesi del
Ventennio fascista - su cui, per opportunità di trattazione, non ci
soffermeremo - dalla dittatura di massa, perpetrata nel nostro campo
attraverso il Minculpop
19
, si passa ad un sistema democratico in cui i principi
di libertà d’espressione e comunicazione vengono riaffermati dopo anni di
durissima repressione. Vessillo inespugnabile di questo nuovo corso è senza
dubbio la Costituzione della Repubblica Italiana, approvata il 22 dicembre
1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo, che recita all’art.
21:
16
R. D. 3 marzo 1934, n. 383 - Approvazione del Testo unico della legge comunale e provinciale, art.
62.
17
L. 27 dicembre 1985, n. 816 - Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali, art. 25
18
Cfr. A. Vignudelli (cur.), Comunicazione pubblica, cit.
19
Il Ministero della cultura popolare venne formalmente istituito dal regime fascista il 22 maggio
1937, anche se si può considerare già attivo a partire dal 1922 attraverso l’Ufficio stampa del Capo del
Governo. Il dicastero era il vero e proprio punto di riferimento della propaganda mussoliniana che
passava attraverso il controllo di ogni pubblicazione, sequestrando tutti i documenti ritenuti contrari al
regime o, comunque, non conformi alle “veline”, ordini di stampa con cui venivano impartite precise
disposizioni circa il materiale da redigere (Cfr. N. Tranfaglia, La stampa del regime 1932-1943. Le
veline del Minculpop per orientare l’informazione, Milano, Bompiani, 2005).
14
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere assoggettata ad autorizzazioni o
censure”
20
.
Altro non è che la pura enunciazione del diritto di informazione.
Anche il settore della comunicazione istituzionale gode di questa ventata di
freschezza, soprattutto per opera dell’allora presidente del Consiglio Alcide
de Gasperi che, suscitando non poche polemiche, nel 1948 recupera due
organismi del disciolto ministero della Cultura popolare: il servizio delle
informazioni e l’ufficio della proprietà letteraria, che verranno prontamente
bonificati per fornire ai cittadini tutti i servizi che in qualche modo potevano
avere a che fare con il mondo dei libri e delle riviste
21
.
Come spesso capita quando si tenta di intraprendere un rapido percorso di
ricostruzione storica, più ci si avvicina alla contemporaneità più il compito di
trovare un sentiero comune a tutte le fonti che riesca sinteticamente a dare
testimonianza corretta ed esaustiva dell’accaduto risulta pressoché
proibitivo. Dal momento che questo viaggio nel tempo vuole solo definire il
contesto all’interno del quale il nucleo della nostra trattazione si concentra,
per gli anni a noi più vicini ci limiteremo a segnalare le tappe indispensabili
per poter fornire un equilibrato bagaglio di elementi necessari a
comprendere quanto sta accadendo ai giorni nostri perché, come diceva il
maestro Montanelli, “un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla
del proprio presente”.
Anno chiave per la svolta in senso moderno di tutta l’organizzazione interna
alle amministrazioni pubbliche è il 1990. Al termine del decennio precedente,
al di là delle contrapposizioni politiche, vi era una diffusa convinzione della
necessità di una profonda riforma delle autonomie locali, per sradicare
definitivamente l’orientamento burocratico alla riservatezza e all’esclusività
20
Costituzione della Repubblica Italiana, Parte prima - Diritti e doveri dei cittadini, Titolo I -
Rapporti civili, art. 21, comma 1,2.
21
M. Granchi, Storia della comunicazione pubblica in Italia, cit.
15
di accesso alle informazioni
22
. In questo senso, si può considerare
rivoluzionaria, quantomeno nei principi, la legge n. 142/1990 che dedica un
articolo proprio ai “diritti di accesso e informazione dei cittadini”:
“Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di
quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata
dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l’esibizione,
conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa
pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese.
Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti
amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi;
individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei
procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato
degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che
comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle
informazioni di cui è in possesso l’amministrazione”
23
.
Con l’introduzione di questa riserva di legge, si tenta di intraprendere un
percorso di trasformazione verso la trasparenza: un processo che prosegue lo
stesso anno con la legge 241/1990
24
sull’innovazione in materia di
procedimenti amministrativi
25
.
“Facta lex, inventa fraus”
26
dicevano gli antichi. L’inganno in questo caso
risiede nel fatto che entrambe le norme innovative, fallirono nei loro
propositi probabilmente a causa della smania di “modificare in un sol colpo
tutta la macchina amministrativa dello Stato”
27
. Tra i motivi di questo insuccesso
vi fu certamente la totale mancanza all’interno del dettato legislativo
dell’indicazione di un organismo che avrebbe dovuto occuparsi del rispetto
del diritto di accesso agli atti, lasciando tutto in mano all’improvvisazione
degli enti locali.
22
P. Mancini, Manuale di comunicazione pubblica, Roma - Bari, Laterza, 1996, p. 164.
23
L. 8 giugno 1990, n. 142 - Ordinamento delle autonomie locali, art. 7 (“Azione popolare, diritti
d’accesso e di informazione dei cittadini”), comma 3,4.
24
L. 7 agosto 1990, n. 241 - Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi, praecipue Capo V (“Accesso ai documenti amministrativi”), artt.
22-28. Art. 22, comma 2: “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di
pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la
partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
25
Cfr. A. Onorato, La trasparenza e la comunicazione pubblica attraverso un’analisi della 241/90, in
“Comunicazione Pubblica”, ottobre 1992.
26
Versione latina originale del proverbio: “Fatta la legge, trovato l’inganno”.
27
G. Scatassa, La costituzione degli Urp: strategie, risorse, professionalità, in “Atti del secondo
Forum sulla comunicazione pubblica e dei servizi al cittadino in Italia”, Bologna 13-14-15 settembre
1995, p. 42.
16
Il governo tenta di portare una soluzione alla questione nel 1993 con un
decreto legislativo
28
che sancisce l’obbligo per tutte le Pubbliche
Amministrazioni di istituire un Ufficio di relazione con il pubblico (Urp): in
un sol colpo, si propone l’accentramento delle informazioni e se ne facilita
enormemente l’accesso. Uno strumento potenzialmente efficace - al di là dei
meccanismi sorti per aggirarlo, come l’affidamento a uno o più impiegati
dell’incarico di gestire le relazioni pubbliche oltre alle mansioni già
precedentemente svolte - nella direzione del radicamento di una nuova
logica comunicativa che vede il cittadino protagonista al pari delle
istituzioni
29
. Viene individuato il profilo di un nuovo servizio che favorisce il
passaggio dalla figura di utente-cliente alla necessità di trasparenza delle
comunicazioni fino a giungere al concetto vero e proprio di comunicazione
pubblica. Una trasformazione che conduce verso una complessiva
riorganizzazione dell’ente locale puntando su un forte radicamento nel
territorio, oggi riassunto con l’evocativo termine anglosassone marketing
30
:
inizia il passaggio da modello burocratico a modello relazionale
31
. Anche in
questo caso, però, se esiste una legge che ne rende obbligatoria la
realizzazione, non esiste certo una norma che imponga la frequentazione
degli Urp: i cittadini, infatti, inizieranno a recarvisi solo quando saranno certi
di trovare un servizio, ovvero risposte e utilità per le proprie necessità
32
.
Quello che occorre non è certo un nuovo filtro burocratico tra i cittadini e
propri amministratori, ma l’inizio di un processo di semplificazione
28
D. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 - Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni
pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421, art. 12: “Le amministrazioni pubbliche (omissis) individuano
nell’ambito della propria struttura e nel contesto della ridefinizione degli uffici (omissis), uffici per le
relazioni con il pubblico”.
29
Cfr. M. Luna, Modelli di comunicazione istituzionale: il Comune di Genova, Tesi di Diploma in
giornalismo, Università degli Studi di Genova, a.a. 1996-1997, relatori proff. Marina Milan e Alfredo
Provenzali, praecipue pp. 42-47.
30
M. Granchi, Storia della comunicazione pubblica in Italia, cit.
31
A. Rovinetti, Comunicazione pubblica, cit., pp. 91-92.
32
Id., Diritto di parola. Strategie, professioni, tecnologie della comunicazione pubblica, Milano, Il
Sole 24 Ore, 2002, p. 22.
17
attraverso una struttura attiva e interattiva, che crei un nuovo legame tra chi
gestisce la cosa pubblica e le aspettative della gente. Insomma, un luogo dove
essere informati diventi un diritto per ogni cittadino e dove fornire idee,
suggerimenti e osservazioni risulti un’opportunità
33
.
La vera rivoluzione degli anni ’90, se così può essere definita, non è dunque
tanto sul piano operativo quanto piuttosto nella riflessione profonda
sull’amministrazione pubblica da un punto di osservazione assolutamente
nuovo: quello dei cittadini, che si cerca di coinvolgere in un processo di
conoscenza e partecipazione
34
. La chiave di volta nel passaggio da
formalismo e autoreferenzialità a una visione moderna, partecipata e
paritaria, è rappresentato dalla piena legittimazione della comunicazione che
da attività facoltativa e residuale diventa obbligo istituzionale, imposto a
tutti gli enti locali dello Stato in quanto funzione strategica per l’esercizio
stesso dell’attività pubblica: una funzione di cui fanno parte sia il mondo
della comunicazione che quello dell’informazione, che iniziano
progressivamente a distinguersi tra loro
35
.
La seconda metà degli anni Novanta segna il punto di non ritorno nel
processo di informatizzazione degli enti pubblici. Tra il 1997 e il 1999 il
Parlamento emana le cosiddette “leggi Bassanini”
36
per riformare un corpo
33
Id., Comunicazione pubblica, cit., p. 92.
34
Ibidem, p. 4.
35
L. Pasquinucci, L'house organ nel sistema di comunicazione locale. Il ruolo dell'Ufficio Stampa e le
prospettive del periodico nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, Tesi conclusiva del
Master per responsabili Urp e Ufficio Stampa, Toscana - Umbria, 2003. Disponibile online
all’indirizzo http://comunepiombino.verticaltech.it/virgilio/studi_ricerche/TESI%202.pdf (ultima
consultazione: 22 agosto 2011).
36
Con questo termine si fa riferimento a quattro leggi sulla semplificazione amministrativa redatte o
ispirate dal ministro per la Funzione pubblica e gli affari regionali, Franco Bassanini. In particolare si
tratta dei seguenti provvedimenti: Legge 15 marzo 1997, n. 59; Legge 15 maggio 1997, n. 127; Legge
16 giugno 1998, n. 191; Legge 8 marzo 1999, n. 50. Lo stesso ministro illustrava così l’impianto della
riforma nel 1998: “Una grande sfida per cambiare le culture dominanti, ridurre i tempi nelle
procedure, ridurre i costi diretti e indiretti, migliorare i servizi, riqualificare i dipendenti, promuovere
e diffondere l’innovazione […] poiché niente e nessuno cambia per decreto, il processo legislativo in
atto va accompagnato da un’efficace riorganizzazione, da una rilevante semplificazione, da una
diffusa informatizzazione, da una nuova idea di formazione e da profondi processi di comunicazione.
Il tutto per rispondere alle sfide della globalizzazione, ridurre i costi dell’inefficienza burocratica,
fare dell’Italia un paese moderno e capace di stare in Europa in modo competitivo” (Com-P.A.,
18
arretrato e complesso di norme e procedure ormai diventato obsoleto dal
punto di vista economico e dei rapporti con la gente. Comincia così a
prendere corpo una nuova idea di amministrazione pubblica, basata
sull’innovazione tecnologica e lo snellimento dei procedimenti di decisione e
controllo, destinata a rendere più semplice la vita dei cittadini e delle
imprese oltre che a dare agli enti locali strumenti più agili per svolgere al
meglio il proprio lavoro. È l’inizio di un processo, tutt’altro che compiuto,
che porta alla trasformazione della logica “un cittadino in meno, un problema in
meno”, ancora imperante in molte realtà quotidiane, nel nuovo obiettivo
“un’informazione in più, un problema in meno”. Pensare alla comunicazione in
questo modo significa passare dalla propaganda all’informazione, dal
silenzio al dialogo, dalla segretezza alla trasparenza ma anche dalla
contrapposizione tra uffici alla collaborazione, da un sistema di diritto-
dovere all’erogazione di un servizio fondamentale
37
.
Con l’arrivo del nuovo millennio, certamente non in maniera casuale, si
giunge alla pietra miliare e riferimento imprescindibile del nostro percorso:
la Legge n. 150/2000
38
, un provvedimento bipartisan, firmato dagli onorevoli
Franco Frattini (Polo delle Libertà) e Antonio di Bisceglie (Ulivo) e approvato
da una maggioranza ben più ampia di quella semplicemente politica. Grazie
anche ai processi di innovazione tecnologica, si tratta di un tentativo di
fissare un punto di non ritorno rispetto alle riflessioni e alle esperienze
maturate lungo il decennio precedente
39
. Per la prima volta, il legislatore
distingue in maniera piuttosto inequivocabile gli ambiti di informazione e
comunicazione, affidandoli ad attività tra loro autonome sebbene
interconnesse in maniera indissolubile.
Salone della Comunicazione Pubblica e dei Servizi al Cittadino, Atti quinta edizione, Bologna, 1998
in A. Rovinetti, Diritto di parola, cit., p. 11).
37
Ibidem, pp. 10-19.
38
L. 7 giugno 2000, n. 150, Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle
pubbliche amministrazioni.
39
A. Rovinetti, Diritto di parola, cit., p. 42.