1
CAPITOLO 1
Introduzione
L’ebollizione è un meccanismo di scambio termico utilizzato in numerosi processi
energetici e sempre più frequentemente come tecnica per il controllo termico di sistemi
dissipativi.
Nell’ambito del controllo termico di componenti ed apparati elettronici, numerose tecniche
sono state progressivamente condotte per limitare le temperature degli elementi dissipanti.
L’evoluzione tecnologica nel settore della componentistica elettronica ha comportato
una progressiva riduzione delle dimensioni dei componenti con incrementi notevoli delle
potenze dissipate per unità di volume. In tali condizioni il controllo termico ha richiesto
l’adozione di tecniche di refrigerazione sempre più efficienti e tra esse, l’uso di liquidi
refrigeranti.
Per flussi termici specifici inferiori a 1 W/cm
2
si utilizza la refrigerazione ad aria, per
flussi superiori si ricorre a quella con liquido; per valori maggiori a 3 W/cm
2
, si rende
spesso necessaria la refrigerazione con ebollizione, che consente tra l’altro di avere
sopraelevazioni di temperatura limitate.
Esistono due diverse soluzioni di impiego: la prima prevede il contatto diretto con il fluido
e consente di smaltire un flusso termico molto elevato, mentre la seconda interpone delle
piastre tra i componenti e il liquido.
Il metodo del contatto diretto mediante immersione è più efficace in quanto permette
una notevole riduzione delle resistenze termiche, delle quali la più rilevante è quella
liminare esterna. Utilizzando questa tecnica è importante un’attenta scelta del fluido che
deve presentare una elevata compatibilità chimica ed elettrica con i componenti elettronici
e con i vari materiali dell’apparecchiatura; l’attenzione della industria elettronica per la
refrigerazione si è rivolta per questi motivi ai fluidi dielettrici; tali fluidi, sebbene non
presentino ottime caratteristiche inerenti lo scambio termico (come un freon ad esempio l’
R113), possiedono un’ottima compatibilità e stabilità chimica ed un potenziale di capacità
distruttiva nei riguardi dell’ozono nullo (ODP=0,00).
L’ebollizione è un fenomeno molto complesso e molti fattori influenzano l’efficacia
dello scambio termico: le proprietà fisiche e di trasporto del fluido, la pressione, la
morfologia superficiale, il sottoraffreddamento del liquido, la geometria della superficie
scaldante, solo per citarne alcuni.
Scopo del presente lavoro è quello di valutare l’effetto combinato dell’orientazione e
del confinamento della superficie scaldante sullo scambio termico nell’ebollizione di fluidi
dielettrici, ed in particolare nel caso di HFE-7100
®
.
2
1.1 Controllo termico in elettronica per ebollizione
L’utilizzo dell’ebollizione per la refrigerazione inizia ad avere maggiore sviluppo
durante i primi anni ‘60, sebbene per particolari applicazioni (militari ed aerospaziali),
fosse già presente alla fine degli anni ‘40.
Il metodo dell’ebollizione per immersione diretta dell’elemento dissipante consente al
fluido refrigerante di raggiungere tutte le parti mantenendo limitati gli incrementi della
temperatura del componente stesso, anche in presenza di ampie variazioni di flusso termico
disperso.
I principali problemi riscontrati nell’utilizzo di tali tecniche di raffreddamento furono la
difficoltà nel mantenimento della purezza del fluido refrigerante e l’incertezza sull’innesco
dell’ebollizione, quest’ultima dipendente da diversi fattori tra cui l’elevata bagnabilità dei
fluidi dielettrici che di fatto provoca l’allagamento della quasi totalità dei potenziali centri
di nucleazione e conseguente surriscaldamento che può portare il componente da
refrigerare ad una temperatura troppo alta prima di innescare l’ebollizione.
Altro problema riguarda la condensazione del vapore prodotto la quale può avvenire
secondo le due modalità seguenti:
-Vapor Space Condenser: l’apparecchiatura è immersa in un liquido bollente.
Il calore è trasferito all’esterno attraverso un condensatore ad aria o ad acqua fredda. Il
condensatore è di solito alettato.
- Submerged Condenser: l’apparecchiatura è immersa in uno spazio riempito di fluido
dielettrico e raffreddata con un condensatore ad aria o ad acqua fredda. Sono utilizzate,
internamente/o esternamente delle alette
La pressione del sistema deve rimanere il più possibile costante e vicina a quella
atmosferica, per evitare eventuali trafilamenti dannosi, indipendentemente dalla
temperatura esterna; inoltre l’eventuale presenza di gas incondensabili non è gradita.
Durante l’ultimo ventennio il controllo termico dei componenti elettronici mediante
ebollizione in contatto diretto ha avuto un ulteriore sviluppo grazie alla crescente
disponibilità di refrigeranti dielettrici chimicamente stabili. Essi presentano in particolare,
la curva di ebollizione molto ripida, il che consente di mantenere la temperatura dei
componenti pressoché costante, anche a seguito di rilevanti variazioni del flusso termico
smaltito.
L’affidabilità del sistema è stata incrementata maggiormente utilizzando una tecnica
(“passiva”) che non richiede nessun organo che faccia circolare il fluido.
Come già accennato la temperatura all’innesco dell’ebollizione può risultare anche
elevata con escursioni notevoli; per limitare tale fenomeno sono state proposte e studiate
diverse soluzioni, fino ad arrivare a quella di Nakayama et al. (1984); essa prevede
l’introduzione di un dissipatore cilindrico poroso, saldato al componente che fa aumentare
il numero dei centri di nucleazione, favorendo così l’innesco dell’ebollizione. Il controllo
dell’escursione di temperatura all’innesco dell’ebollizione, (“temperature overshoot” ) è
quindi il problema maggiormente sentito, unitamente al controllo del flusso termico critico;
risulta interessante la soluzione proposta da Bergles e Kim (1988) la quale prevede la
sistemazione di un generatore artificiale di bolle sotto il componente, attivando
repentinamente l’ ebollizione.
3
Da tale panoramica generale sull’ utilizzo dell’ebollizione, emergono diversi problemi
ancora in fase di studio e di risoluzione, sebbene essa sia sempre più ampiamente utilizzata
come tecnica di refrigerazione per componenti elettronici.
1.2 Caratteristiche dei fluidi dielettrici - Caratteristiche dell’ HFE-7100
In generale i componenti elettronici, quali chip o processori, non devono superare la
temperatura di 85°C, ciò per evitare il danneggiamento degli stessi e la propria vita utile.
In figura 1.1 è mostrato come il fattore di guasto f, definito come il rapporto fra la
probabilità di guasto alla temperatura T e la probabilità di guasto a 85°C, subisca un rapido
incremento per valori di temperatura del componente elettrico superiori a 85°C.
Il controllo della temperatura è quindi molto importante e, a tal proposito, recenti studi
hanno dimostrato che il flusso termico specfico medio smaltito da un circuito integrato
(con superficie di rame liscia) immerso in un fluido dielettrico risulta essere maggiore di
15 W/cm
2
; attualmente nei processori ad alte prestazioni tale flusso raggiunge i 50W/cm
2
e
in pochi anni potrebbe raggiungere e superare i 100W/cm
2
.
Come accennato in precedenza un valido metodo per il raffreddamento è quindi offerto
nell’utilizzo di fluidi dielettrici. Le proprietà termofisiche di tali fluidi influenzano
direttamente l’efficacia della refrigerazione per immersione diretta dei componenti
elettronici.
F
a
t
t
o
r
e
d
i
g
u
a
s
t
o
f
Temperatura [°C]
14012010080604020
0
1
2
3
4
6
7
8
9
10
Fig.1.1 Andamento del fattore di guasto in funzione della temperatura.
4
Le caratteristiche che rendono un fluido particolarmente adatto a tale scopo sono:
- buone proprietà dielettriche (alta rigidità dielettrica, bassa costante dielettrica)
- stabilità termica a temperature superiori ai punti di ebollizione nominali;
compatibilità con i materiali usualmente utilizzati in elettronica (ridotta azione
solvente e comportamento chimico inerte)
- assenza di tossicità e infiammabilità
- punto di solidificazione sufficientemente basso
- stabilità chimica nel campo di utilizzo
- compatibilità con i vari materiali.
Nei fluidi dielettrici normalmente la compatibilità è buona con i metalli (acciaio, ghisa,
ottone, rame, stagno, piombo), anche se alle alte temperature alcuni di essi possono
catalizzare la decomposizione dei fluoderivati.
In generale quindi i fluidi dielettrici presentano elevata compatibilità con le sostanze che
compongono i contenitori e con i sigillanti utilizzati nelle apparecchiature elettroniche,
anche se possono esistere specifiche incompatibilità (ad esempio l’FC-72
®
può causare
dilatazioni dal 5 al 10% del Teflon).
Effettuando un confronto tra fluido dielettrico e acqua si nota che l’impiego di
quest’ultima è molto limitato a causa dalla bassa rigidità dielettrica, dall’ elevata
temperatura di solidificazione e per il problema del filtraggio. I fluidi dielettrici inoltre
presentano, rispetto all’acqua, valori minori del calore specifico e della conduttività
termica, minore entalpia di vaporizzazione, densità molto più elevate, minore viscosità e
tensione superficiale .
Tuttavia l’elevata bagnabilità, caratteristica di questi fluidi, produce la de-attivazione
dei centri di nucleazione più grandi con la conseguente necessità di un surriscaldamento
maggiore della superficie per avere l’innesco dell’ebollizione.
Quando l’ebollizione è iniziata e l’intera superficie è attiva, la temperatura superficiale
decresce rapidamente: si crea quindi un’isteresi nella curva di ebollizione caratterizzata da
una temperatura di parete più bassa quando si opera a flussi termici decrescenti; tale
fenomeno è causa frequente di malfunzionamento dei sistemi elettronici.
Nella scelta del fluido refrigerante occorre porre attenzione alla sua temperatura di
saturazione a pressione atmosferica; infatti, per ovvie ragioni, è preferibile che il sistema
funzioni a circa 1 bar ed è necessario che la temperatura di saturazione a tale pressione sia
ben inferiore a 85°C sia per ottimizzarne il funzionamento sia per limitare il numero di
avarie.
La temperatura di saturazione a pressione atmosferica, non deve essere nemmeno troppo
bassa (rispetto all’ambiente) in quanto, in fase di riposo, la temperatura del componente
coincide con quella esterna e quindi la pressione potrebbe raggiungere valori molto bassi,
con conseguenti possibili infiltrazioni di aria all’interno.
Per quanto riguarda la compatibilità con l’ambiente e con l’uomo, i fluidi dielettrici,
presentano tossicità bassa o praticamente nulla; infatti l’ODP (Ozone Depletion Potential),
ovvero l’indice della capacità distruttiva nei confronti dell’ozono da parte di un cloro-
fluoro-carburo (calcolato sulla base di ugual massa rilasciata nella bassa troposfera,
rispetto al CFC con comportamento peggiore assunto come riferimento, ossia il fluido
R-11 per il quale si assume convenzionalmente ODP=1) relativo a HFE-7100
®
ha un
valore nullo .
Anche il GWP (Global Worming Potential), ovvero il parametro che informa quanto una
sostanza utilizzata per una certa applicazione possa essere dannosa ai fini dell’effetto serra
e che prevede come riferimento l’anidride carbonica, (per cui il GWP della CO
2
ha un
5
valore unitario), presenta, soprattutto per HFE-7100
®
, valori molto modesti, ossia pari a
320; più elevato è il valore relativo al fluido dielettrico FC-72
®
(pari a7400) ed ancor di più
per la maggior parte dei freon per i quali si arriva a valori pari a 20000; ciò significa che
un freon ha un potenziale di surriscaldamento 20000 volte quello della CO
2
, (a parità di
numero di molecole immesso) sebbene occorra tenere conto dell’influenza del tempo di
decadimento; per tale ragione si dovrebbe parlare più precisamente di TEWI (Total
Equivalent Warming Impact), il quale tiene conto di quest’ultimo aspetto. (Infatti
2
ii CO
i
TEWI= GWP m + α E⋅ ⋅
∑∑
, dove m
i
sono le masse di fluido consumate nell’arco
della vita dell’attività in studio, E è l’energia primaria consumata nello stesso arco di
tempo ed α è la produzione specifica di CO
2
).
L’ HFE-7100
®
( C
4
F
9
OCH
3
) (insieme al HFE-7200
®
) introdotto recentemente dalla 3M
Company, sostituisce l’ FC-72
®
(C
6
F
14
) in quanto abbina a proprietà termofisiche
leggermente superiori una migliore compatibilità con l’ambiente.
Nelle tabelle 1.1-1.2-1.3 sono riportare, e messe a confronto, le principali proprietà
termofisiche del FC-72
®
e del HFE-7100
®
.
Tab. 1.1
HFE-7100
®
C
4
F
9
OCH
3
(0,1 MPa) FC-72
®
C
6
F
14
(0,1 MPa)
Proprietà fisiche
Punto di ebollizione [°C] 61 56
Punto di congelamento [°C] -135 -90
Peso molecolare [g/mole] 250 338
Densità (liquido) [kg/m3] 1370.2 1602.2
Densità (vapore) [kg/m3] 9.87 13.21
Viscosità (liquido) [kg/m s] 3.70 x 10-4 4.33 x 10-4
Calore specifico (liquido) [kJ/kg K] 1255 1101
Calore latente di vaporizzazione [kJ/kg] 111.6 88
Conduttività termica (liquido) [W/m K] 0.062 0.054
Tensione superficiale (liquido) [N/m] 1.019 x 10-2 7.93 x 10-3
Tab. 1.2
HFE-7100
®
C
4
F
9
OCH
3
FC-72
®
C
6
F
14
Proprietà ambientali
ODP - Ozone depletion potential 0.00 0.00
GWP - Global worming potential 320 7400
ALT - Atmospheric lifetime [anni] 4.1 3200
Tab. 1.3
HFE-7100
®
C
4
F
9
OCH
3
FC-72
®
C
6
F
14
Proprietà elettriche a 25 °C
Costante dielettrica 7.39 (100 Hz – 10 Mhz) 1.75 (1 Khz)
Resistività [W cm] 3.3 x 10
9
1.0 x 10
15
6
1.3 Scopo del lavoro
L’efficienza della refrigerazione per contatto diretto mediante ebollizione, come
accennato in precedenza, dipende da diversi fattori.
Questo lavoro è mirato a studiare l’influenza che la configurazione della superficie
scaldante ha sui coefficienti di scambio termico nella regione dell’ebollizione
completamente sviluppata.
In particolare verrà studiato l’effetto combinato dell’orientazione e del confinamento di
tale superficie; infatti al variare di tali parametri, le prestazioni di scambio possono subire
significativi cambiamenti.
Conoscere ciò che accade ad una certa distanza da una parete o per una certa inclinazione
della superficie scaldante oppure per diversi valore di pressione risulta utile in quanto non
sempre è possibile avere i dissipatori nella posizione e nelle condizioni corrispondenti allo
scambio termico ottimale.
7
CAPITOLO 2
Ebollizione : Generalità e fenomenologia
2.1 Ebollizione in liquido stagnante
Lo scambio termico nei liquidi in ebollizione avviene sia attraverso la convezione,
potenziata dall’agitazione dovuta alla formazione di bolle nascenti nel fluido, sia sotto
forma di calore latente nel passaggio di fase da liquido a vapore.
Lo studio di questo fenomeno risulta essere molto complesso a causa dell’elevato numero
di varabili in gioco, tra cui le proprietà del fluido (in fase liquida e di vapore), la geometria
del sistema, le caratteristiche della superficie e le condizioni operative
Ad oggi non esiste un’ adeguata rappresentazione del fenomeno dell’ebollizione, fondata
su un modello fisico-teorico di carattere generale.
I primi a interessarsi di scambio termico in ebollizione e a rilevare l’esistenza di un flusso
termico massimo e di uno minimo, furono rispettivamente Leidenfrost nel 1756 e Lang nel
1888.
Tuttavia il primo a individuare chiaramente, anche grazie a osservazioni fotografiche, la
presenza di vari regimi di ebollizione, fu Nukiyama nel 1935; egli evidenziò la differenza
tra i meccanismi di scambio termico nei vari regimi.
Un’ulteriore verifica di tali teorie venne grazie alle osservazioni sperimentali di
McAdams nel 1941 e, successivamente, di Farber e Scorah (1948 ).Tali esperimenti furono
condotti su un filo di rame riscaldato elettricamente e immerso in acqua stagnante in
condizione di saturazione.
Nella figura 2.1 è rappresentata la curva di ebollizione (qualitativa) per fluidi dielettrici
a pressione atmosferica, in scala bilogaritmica, esprimendo il flusso termico scambiato in
funzione del surriscaldamento di parete; è inoltre mostrata qualitativamente la morfologia
di bolle di vapore tipica per ogni regione caratteristica della curva di ebollizione.
Inizialmente (tratto AÎC fig. 2.1) si assiste alla formazione di bolle in particolari punti
della superficie (i centri di nucleazione) le quali aumentano di dimensione fin tanto che le
forze ascensionali e le correnti circostanti non ne provocano il distacco. Facendo
aumentare flusso termico o temperatura si osserva l’aumento sia dei centri di nucleazione
attivi, sia della velocità e della frequenza di formazione di bolle che tendono ad unirsi in
colonne di vapore.
L'inizio dell' ebollizione (punto A fig. 2.1) può essere preceduto da una convezione
naturale monofase seguita da un brusco decremento del surriscaldamento di parete; tale
comportamento è mostrato nella figura 2.2; il primo tratto (tratto aÎb fig. 2.2) rappresenta
la fase iniziale durante la quale la temperatura di superficie supera la temperatura di
saturazione di pochi gradi. Aumentando il surriscaldamento di parete e superando un
valore critico, si ha l'innesco dell'ebollizione: su tutta la superficie si attivano i centri di
nucleazione con conseguente brusca diminuzione della temperatura di parete dovuta all'
aumento improvviso del coefficiente di scambio termico che si instaura nel passaggio da
convezione naturale monofase ad ebollizione (tratto bÎc fig. 2.2)
8
Il crollo della temperatura che accompagna l'inizio dell'ebollizione è chiamato, come già
accennato,"temperature overshoot".
Fig.2.1. Curva di ebollizione. – Morfologia delle bolle
Fig. 2.2 Convezione monofase e
“temperature overshoot”
In prossimità del massimo flusso
termico tali colonne di vapore aumentano il loro numero fino a non permettere più al
9
liquido di scendere verso la superficie calda per alimentare l’ebollizione; in queste
condizioni si ha il massimo flusso termico smaltibile e il punto “d” è detto “punto di burn –
out”
Se si innalza la temperatura di parete in modo tale che la quantità (Tp-Ts) superi il
valore critico che si ha in corrispondenza del flusso termico massimo, si può assistere a
uno dei due seguenti eventi:
1) Se la variabile controllata è la temperatura della superficie scaldante, si ha
l’ebollizione in regime di transizione con diminuzione del flusso termico.
2) Se invece è il flusso termico ad essere la variabile indipendente, ed è il caso del
filo riscaldato elettricamente, si ha la transizione da ebollizione nucleata a
ebollizione a film, con brusco aumento della temperatura dell’elemento scaldante
(salto dal punto “C” al punto “E” fig. 2.1); è necessario che la temperatura di
fusione del materiale riscaldato sia sufficientemente alta e superiore a quella
raggiunta nel punto “E”.
Nel regime di ebollizione a film instabile (zona di transizione) sul filo riscaldato si
succedono fasi di ebollizione pellicolare stabile a fasi di ebollizione a nuclei; nel regime di
ebollizione a film stabile invece, un sottile strato di vapore ricopre costantemente la
superficie. Si comprende quindi che il passaggio da ebollizione nucleata a ebollizione a
film non è immediato, ma che invece è rappresentato da una fase instabile di transizione.
Quando la superficie scaldante è coperta dal film di vapore stabile, a causa della più
bassa conducibilità termica di quest’ultimo rispetto al liquido, a parità di flusso termico
scambiato, è necessaria una differenza di temperatura molto più elevata rispetto al caso di
ebollizione a nuclei.
Percorrendo in senso inverso la curva di ebollizione, riducendo il flusso termico, dalla
zona di ebollizione a film stabile si scende fino al punto “D”, a cui corrisponde il minimo
surriscaldamento necessario per il mantenimento dell’ebollizione a film; riducendo ancora
il flusso si passa istantaneamente al regime di ebollizione a nuclei, con un brusco e
rilevante abbassamento del surriscaldamento di parete (tratto DÎF ).
Con un ulteriore diminuzione del flusso, la curva dell’ebollizione si fonde con quella
della convezione, senza salti di temperatura.
2.2 Caratteristiche dell’ebollizione nucleata
Per spiegare la formazione di bolle nel liquido, si può utilizzare o la teoria della
nucleazione eterogenea o il processo di attivazione di nuclei stabili intrappolati nei
micropori di una superficie solida.
Un liquido può essere surriscaldato e mantenersi in uno stato metastabile nel quale non c’è
la comparsa di bolle anche per un tempo relativamente lungo, pur trovandosi nella regione
di vapore saturo: l’innesco dell’ebollizione dipende infatti da quanto il liquido è
surriscaldato.
L’approccio al problema scelto è quello proposto da Thormalen (1986).
10
2.2.1 Nucleazione omogenea ed eterogenea
Secondo la teoria della nucleazione omogenea, il processo cinetico di formazione di
nuclei stabili di vapore, che possono agire come nuclei per le bolle, è dovuto alle
fluttuazioni termiche del liquido surriscaldato: tali fluttuazioni, infatti, provocano la
formazione di agglomerati di molecole dotate di energie corrispondenti alla fase di vapore.
E’ necessario però un elevato surriscaldamento per consentire la generazione di nuclei
di vapore in un fluido omogeneo: il limite cinetico di surriscaldamento, rappresentato in
figura 2.3 , è quindi un limite superiore teorico all’esistenza del liquido surriscaldato.
Fig.2.3. Regione di nucleazione omogenea ed eterogenea e di attivazione dei nuclei per
acqua (Thormalen, 1986)
La rugosità superficiale, con la presenza di micropori che funzionano da centri di
innesco alla formazione del vapore, influenza non tanto il processo di ebollizione in sé,
quanto il surriscaldamento al quale inizia il cambiamento di fase. La nucleazione è
eterogenea se non vi sono gas o vapori intrappolati nelle cavità all’inizio dell’ebollizione.
Nella nucleazione omogenea l’energia necessaria per la formazione del nucleo di
vapore di dimensioni critiche, è quella attribuibile alla formazione dell’interfaccia liquido-
vapore, a cui si somma il lavoro di formazione del volume di vapore:
σπRV)p(pσAL
lvlvomo
2
3
4
=⋅−−⋅=
dove
omo
L = lavoro omogeneo di formazione del nucleo
lv
A = area dell’interfaccia liquido-vapore
V = volume del nucleo
R = raggio del nucleo
σ = tensione superficiale
11
L’equazione di Laplace-Kelvin fornisce il raggio di un nucleo in condizioni di
equilibrio:
)()(
22
lvls
v
lv
vvpp
v
pp
R
−⋅−
⋅
=
−
=
σσ
(2.1)
Nel lavoro eterogeneo di formazione del vapore su una superficie solida, occorre
considerare anche l’energia che compete all’interfaccia solido-vapore:
VppAAL
lvsvlvete
⋅−−⋅⋅+= )()cos( σβ
dove
ete
L = lavoro eterogeneo di formazione del nucleo
sv
A = area dell’interfaccia solido-vapore
β = angolo di contatto
Il volume di un nucleo eterogeneo può essere uguagliato al volume di una sfera con
raggio di equilibrio R e fattore di forma
1
c :
3
3
4
1
πRcV =
l’area dell’interfaccia liquido-vapore all’area di una sfera di raggio R e fattore di forma
2
c :
2
2lv
R4πcA ⋅=
l’area dell’interfaccia solido-vapore all’area di una sfera di raggio R e fattore di forma
3
c :
2
3sv
R4πcA ⋅=
i fattori di forma sono specifici per le singole geometrie dei centri di nucleazione.
La velocità di formazione dei nuclei di vapore in regime stazionario, per la nucleazione
eterogenea, è espressa, secondo Thormalen, dall’equazione:
2
l
3
ete 2
v
ρ 2σ 4π R σ F
I N c exp( )
ρπmF 3KT
⋅ ⋅⋅
=⋅ −
⋅
(2.2)
dove N = numero di molecole per unità di area
m = massa molecolare
K = costante di Boltzmann
F = fattore di energia (rapporto tra lavoro eterogeneo e omogeneo di formazione dei
nuclei)
132
omo
ete
2c)cosβc3(c
L
L
F −⋅+==
12
Superficie
Vapore
Liquido
Fig.2.4. Nucleo di vapore su di una superficie piana ideale (Thormalen, 1986)
Il fattore di energia dipende dalla geometria del centro di nucleazione, espressa
attraverso i fattori di forma, e dalla bagnabilità, della quale si tiene conto attraverso l’
angolo di contatto.
Se il fattore di energia è maggiore di 1, il nucleo di vapore si formerà più probabilmente
all’interno del liquido omogeneo che non sulla superficie solida; valore di F minori di
zero non hanno significato fisico, in quanto corrispondono a una curvatura concava
dell’interfaccia liquido-vapore.
Non esiste un’espressione unica per il fattore di energia in quanto esso dipende dalla
particolare geometria della microcavità, che condiziona quindi anche il calcolo della
velocità di nucleazione eterogenea. Ma la microgeometria della superficie non è facile da
determinare in quanto è molto complessa e ineguale: in generale si considerano presenti
tutti i tipi di microcavità.
2.2.2 Innesco dell’ebollizione
Se sono presenti nuclei di vapore intrappolati nelle microcavità della superficie, i quali
possono funzionare da generatori di bolle, non è possibile usare la teoria della nucleazione
eterogenea.
Una superficie con numerose fessure frastagliate e un fluido che bagna poco il solido
favoriscono la formazione di molti centri di nucleazione: un criterio per stabilire
l’attitudine di una superficie a comportarsi in questo modo è fornito dalla condizione di
equilibrio e dal criterio di stabilità.
13
Condizione di equilibrio.
Un nucleo di vapore è in equilibrio con il liquido circostante se la curvatura
dell’interfaccia liquido-vapore segue l’equazione di Laplace-Kelvin (2.1).
Se il liquido è sottoraffreddato, l’interfaccia liquido-vapore presenta una curvatura
concava, come appare dalla figura 2.5.
Fig.2.5. Condizioni per l‘intrappolamento del vapore in un liquido sottoraffreddato
(Thormalen, 1986)
La cavità è in grado di catturare il vapore solo se rispetta determinate condizioni
geometriche: tali condizioni sono esplicitate in figura 2.5 per alcune configurazioni.
Se il liquido è surriscaldato, l’interfaccia liquido-vapore presenta una curvatura
convessa; le condizioni per l’angolo della cavità e il raggio della bocca sono mostrate in
questo caso in figura 2.6.
Fig.2.6. Condizione per l’intrappolamento del vapore in un liquido surriscaldato
(Thormalen, 1986)
14
Fig.2.7. Regione dei centri di nucleazione potenzialmente attivi in funzione del
sottoraffreddamento per differenti angoli delle cavità (Thormalen,1986)
La figura 2.7 rappresenta le condizioni di intrappolamento del vapore in funzione
dell’entità del sottoraffreddamento (le curve valgono a pressione atmosferica e angolo di
contatto di 70°).
A ogni raggio di curvatura dell’interfaccia liquido-vapore corrisponde una certa
differenza di temperatura: essa è positiva se il liquido è surriscaldato, è invece negativa se
il liquido è sottoraffreddato.
Noto il raggio di curvatura, attraverso l’equazione di Laplace-Kelvin (2.1), si può
ricavare la differenza di pressione isoterma; da quest’ultima è possibile ottenere la
differenza di temperatura isobara corrispondente attraverso un’equazione di stato.
Per temperature lontane da quella critica si può usare la trattazione di Kelvin, che
esemplifica la bolla, sferica e in equilibrio termodinamico e meccanico, con la situazione
di figura 2.8.
Fig.2.8. Rappresentazione schematica di un sistema liquido-vapore in condizione di
equilibrio